La vita di Carla Tolomeo è un nastro d’organza che lega la letteratura del secolo più violento. È un viaggio per poltrone – tante volte – perché la Tolomeo ha il dono della visionaria che scorge negli oggetti la storia di chi li ha posseduti e ne viene rapita.
Le poltrone diventano feticci, simulacri perché alcune cose si salvano mentre altre si perdono e tutto avviene per un motivo. Sempre.
Nei suoi racconti ogni volta si parte per una meta lontana alla ricerca di qualcosa che poi si smarrisce. Arriva sempre qualcuno che fa una richiesta e si riparte. Si approda come trascinati dalla tramontana del dovere. Tavolini di caffè a Buenos Aires, case polverose e piene di libri ad Atene o foreste in Paraguay.
Con lei sempre la storia, gli autori.
In questo Atene, 1984, inedito splendido, regalato a Satisfiction, si parte per vedere il Casanova di Fellini e ci si ritrova a casa di Ghiannis Ritsos.
Il poeta greco che, più di chiunque altro, mi pare quindici, è stato vicino a vicino al Nobel senza mai possederlo.
Scriveva poesie come racconti, in cui le persone parlavano e anche le cose. Nella sua casa di Atene, nel nulla che gli rimaneva, Carla trova una poltrona di broccato bianco che ferisce la vista per quanto è diversa dal resto.
Il poeta le racconta che, di una vita di dissipazione e accanimento, le resta quella. È la testimonianza che altre vite sarebbero state possibili, che erano vere.
Carla la porta con sé immortalandola sulla pellicola e poi su tela, impedendole di scomparire.
Pierangelo Consoli
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Atene, 1984
Correvano i primi anni ottanta, ricevo un invito dall’Istituto Francese di Cultura in Atene: devo presiedere una tavola rotonda su Casanova dopo la proiezione del film di Fellini. In quegli anni dedicati allo studio e alle ricerche su Casanova mi sono successe le cose più strane, quasi che una parte dello spirito d’avventura dello scrittore si fosse spalmato su di me; sono stata invitata a Praga, a Budapest a Zagabria, ho sempre incontrato personaggi incredibili, devoti a Casanova.
Ho tenuto lezioni all’università, discusso, litigato e appreso, il filo che ci univa ci portava lontano, era una splendida avventura. Adesso è la Grecia, sul film di Fellini ho idee precise, ne avevo già tanto discusso con Tonino Guerra quando preparava il Film, gli ho sempre contestato l’impossibilità, da romagnolo, di entrare nelle sottigliezze dello spirito veneziano. So che hanno persino scomodato Gustavo Rol a Torino per entrare in contatto con lo spirito, ne sono stati pesantemente insultati, sembra che Casanova non abbia gradito.
Non so che cosa succederà ad Atene, vedremo il film in anteprima e sarà sicuramente un bel film, sicuramente lontano anni luce da Casanova. Parto con Giancarlo, i miei appunti e un po’ di disagio perché non conosco i miei interlocutori e, quando si tratta del grande veneziano non ci sono sfumature, o è amore o è odio.
Non sono capace di gestire l’odio.
A Atene nevica, sembra che sia un evento straordinario, guardo dalla finestra mentre la neve si accumula per le strade, molti dei nostri programmi sono saltati perchè le strade sono poco agibili e il Partenone irraggiungibile, aspettiamo che passi il tempo, che arrivino le sei di sera e qualcuno ci prelevi.
Siamo alloggiati in una zona molto bella con giardini e cani sciolti, mansueti, tanto simili a quelli dipinti sui vasi. Sorprendentemente qualcuno ci cerca, è lo scrittore Crocetti che a Milano mi ha proposto di illustrare una raccolta di versi di Ritsos, ha saputo del nostro arrivo e propone di incontrare il poeta. Decidiamo di affrontare insieme quest’avventura e saliamo su uno di questi taxi collettivi che girano per tutta la città fermandosi a richiesta, è strapieno ma a poco a poco la gente scende, qualcuno mi ha salutata <<stessa faccia stessa razza>> e normalmente sono facce improponibili. Stiamo viaggiando verso la periferia, le case sempre più brutte e mal tenute, leggo Koraka, finalmente arriviamo.
Ritsos è molto bello, il profilo sembra ritagliato da una di quelle monete su cui è scritto”Temistoclès” o “Leonidas” ci accoglie in una grande stanza piena di libri, riviste, oggetti e pietre. Grandi pietre rotonde e piatte sulle quali dipinge.
Gli chiedo il permesso di fotografare e mentre si immerge in un lungo discorso con Giancarlo e Crocetti io giro per la stanza, colpita dalla povertà delle suppellettili che solo i libri ammassati e i mille oggetti riescono a nascondere.
Sono abituata alla sobrietà delle casa degli scrittori, ho viaggiato in Romania in Jugoslavia (allora si chiamava cosi) in Spagna abbastanza da capire quanto il superfluo ci abbia influenzati esteticamente, ma poche volte mi sono trovata in una situazione di non memorie, niente che riporti a un passato, a una vita vissuta, a una famiglia. Idoli africani, piccoli dipinti, un narghilè, Dante Alighieri in bassorilievo di marmo, pietre tonde e posaceneri. Il poeta fuma in continuazione.
Vorrei dirgli che ho letto i suoi versi, che alcuni mi hanno commossa fino alle lacrime, che ho pianto quando i suoi ricordi sono diventati i miei, e questa è la forza della poesia, ma gli uomini sono immersi in lunghe conversazioni tra nuvole di fumo e non riesco a trovare uno spazio in cui infilarmi, così continuo la mia perlustrazione nella stanza in penombra.
Qualcosa di chiaro attira la mia attenzione, mi avvicino, tocco: è una poltrona, antica, ricoperta di broccato bianco, così diversa, così lontana da tutto l’arredamento che non posso far a meno di fotografarla, devo usare il Flash, gli uomini smettono di parlare e si voltano verso di me.
Devo fare un inciso: le sedie, le poltrone hanno sempre attirato la mia attenzione, le fotografo, le disegno, le dipingo, i miei quadri hanno per soggetto l’oggetto poltrona, che per me è un racconto: di presenze, di assenze, di vite comunque, di cui serba e trasmette la memoria. Ho dedicato un ritratto a Proust che in verità è la sua chaise longue preferita, ho dipinto una grande poltrona che occupa tutta la tela, un po’ in luce e un po’ in ombra, ed è la mia storia, la mia casa, la mia famiglia. Non ho altre parole per spiegare quanto l’oggetto mi attragga e mi emozioni, e quanto queste emozioni si siano concentrate, riversate su quella bianca e polverosa poltrona in un angolo della stanza di Ritsos.
E il poeta capisce e racconta. La sua vita è una serie di devastazioni, familiari per la follia del padre, personali per la malattia che l’ha perseguitato e costretto a ricoveri, poi politiche e in due diverse epoche: 1948 a Limonov, e 1967 a Leros e Jaros è stato deportato e privato di ogni residuo bene. Ha molto pudore nel parlare di queste persecuzioni, degli anni terribili in quei luoghi di funesta memoria, cerca di non scivolare nel patos e le sue frasi sono brevi e asciutte: nel 1967 il regime ha infierito sulla sua casa, tutto è stato distrutto o devastato… è rimasta soltanto questa poltrona, questa bianca poltrona oggetto di famiglia che li aveva seguiti nelle peripezie di una vita pericolosa, sfuggita all’ultima persecuzione e ora rifugiata in quest’angolo, unica memoria di un passato e di altre vite.
Tornata a Milano ho ancora addosso l’emozione di quell’incontro, la voce di Ritsos, la stanza, la memoria di una vita tra poesia e sofferenza così dipingo un grande quadro: una stanza, sulle pareti si delinea il labirinto, al centro del labirinto e sul fondo la bianca poltrona per Ritsos.
Passa qualche anno, Crocetti ha pubblicato “il funambolo e la Luna” con le mie illustrazioni e sto preparando una mostra per la Galleria del Naviglio che allora era la più vivace, la più innovativa la più aperta a Milano. Cardazzo era un po’ sulfureo, gli dovrò per sempre le mie prime mostre .
Era il 1988, Vittorio Sgarbi passa dal mio studio per scrivere l’introduzione al catalogo; tra tutti i dipinti scova il grande quadro appoggiato al muro e che è sempre rimasto a raccontare a me, e solo a me, l’emozione di un giorno ad Atene.
Lo sposta, lo mette in luce, lo sogguarda a lungo, poi dice << parlo di questo, soltanto di questo >>.
Il quadro è ancora nel mio studio, Ritsos è morto nel 1990, non sono più tornata ad Atene.
Carla Tolomeo
Fotografie inedite di Carla Tolomeo