Per chi non conoscesse ancora Carla Tolomeo, è il caso di fare una piccola ricerca o rileggersi gli altri racconti inediti che, questa donna dalla biografia impossibile, ha voluto regalare a “Satisfiction”.
Compagna del grande Vigorelli, si è affrancata da un’ombra tanto ingombrante con tutta la forza del suo talento e della sua cultura.
Nata artista, nel tempo si è fatta scultrice, pittrice, scrittrice e studiosa. Artigiana. Si è fatta un nome a prescindere, si è guadagnata il rispetto.
In questo racconto dal titolo Casanova, l’autrice ci mostra come l’amore per il famoso Giacomo – per Casanova non esistono definizioni calzanti e ognuna esclude troppo perché gliela si possa attribuire – sia più che una passione, una opportunità.
Occasione, questa volta, che non è solo quella di viaggiare, di fare incontri curiosi – come sempre nella vita le è accaduto – ma di mostrare la sua capacità di comprendere più di molti, di tramutare in arte la vita sulfurea, che ha avuto la fortuna e il coraggio di vivere.
Pierangelo Consoli
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Casanova
C’è stato un periodo della mia vita in cui dipingevo, dipingevo soltanto, non avevo ancora scoperto il piacere di affrontare un bel pezzo di marmo o trasformare una sedia in capolavoro. Disegnavo e dipingevo, con qualche divagazione nell’atelier di Igino Cerastico dove imparavo la nobile arte dell’Acquaforte. Ma, a mano a mano che acquisivo capacità e malizie, diventava più difficile raccontarmi per immagini ed esprimere la complessità del mio mondo in cui sarebbero dovuti convivere Casanova e Carpaccio.
Mi dibattevo tra due passioni.
Un giorno ho iniziato a disegnare i momenti della vita di Casanova che più mi avevano colpita. Henriette che incide con il diamante l’addio, la fuga dai Piombi, lui sul tetto di Palazzo Ducale in attesa che la luna tramonti e non lo proietti più nel mezzo della piazza. Il segno, il disegno diventa il mio unico linguaggio. Ho un entusiasmo febbrile e lo trasmetto a chi mi ascolta, ne parlo a lungo con Soavi e vedo un lampo nei suoi occhi (scopro mesi dopo che ha affidato a un pittore di Praga il compito di illustrare la nuova agenda Olivetti. Il tema? Casanova).
Per fortuna Leonardo Sciascia condivide le mie emozioni, mi scrive uno straordinario incipit agli Arcani, ventidue incisioni in cui riassumo nei simboli la vita, gli eventi e la passione per il gioco di Casanova. Disegno, disegno, ogni giorno scopro qualcosa che si può esprimere con un segno nero sulla carta, mi sembra di aver acceso una fonte di energia che mi porta indietro nel tempo. Venezia diventa il luogo dove tornare.
Con emozione di notte attraverso piazza San Marco, e guardo la luna. La mia è una innocente forma di esaltazione, pari a quella provata in San Giorgio degli Schiavoni a cercare di decodificare il mio amato Carpaccio. Insomma, a Venezia mi succede di subire una sorta di partecipazione sentimentale che mi costringe a una continua verifica. Mi chiedo chi sono.
L’essere accolta nel gruppo dei casanoviani complica il mio equilibrio perché questi erano folli ma per davvero, la mia follia diventava casalinga. Vivevamo in un continuo scambio di epoche. Ogni campo, ogni ponte era parte di un itinerario tracciato da una avventura di Casanova, trovavamo riscontri con quel che restava e quanto descritto nelle Memorie in un gioco di specchi e di rimandi tra epoche e differenti realtà. Un mecenate, monsieur Gruet, aveva messo a disposizione un’ampia foresteria in Ca’ Vendramin alla Giudecca, ci chiedeva soltanto di creare una raccolta e un catalogo di tutti i documenti e reperti che saremmo riusciti a strappare all’oblio, e noi fedelmente raccoglievamo lettere, lettere di credito, denunce, tabacchiere, oggetti e documenti che emergevano da un passato sempre meno oscuro e delineavano la schiettezza, la sincerità del racconto casanoviano in ogni suo dettaglio.
Il gruppo allora era composta da personaggi assolutamente diversi ma uniti nella fede in Casanova. Grande animatore Rives Childs, ambasciatore americano che si era imbattuto in Casanova durante la guerra: in una villa veneta saccheggiata dai tedeschi aveva trovato un superstite esemplare delle Memorie illustrato dal Chauvet. Ne era rimasto colpito, aveva deciso di conoscere quello scrittore e quel mondo e non se ne era più liberato. Gli facevano corona Samaran, Chiara, Mars, Bagnasco, Luccichenti, Leeflang, Watzclavich, Baccolo.
Giancarlo (Vigorelli, ndr) ed io eravamo stati accolti con entusiasmo, certo più per lui che per me, lui il letterato importante, di peso internazionale, io… la “figa appresso”, come mi aveva definita lo scultore Broggini in un suo messaggio, avendoci intravisti in Stazione a Milano. Il silenzio era la mia forza e la mia dimensione: stavo zitta, ascoltavo, immagazzinavo.
Tuttora vivo di rendita.
Ci incontravamo a Venezia, ma potevamo partire per destinazioni variamente casanoviane, per verificare un dettaglio, completare un puzzle, fornire prove certe della straordinaria sincerità di Casanova. Poteva essere Roma sulle tracce di Henriette che ci avrebbe trascinati a Parma e non solo. Potevano essere le Calabrie dove il racconto di un festino stranamente riecheggiava uno stralcio del divino Marchese. Che mi era diventato familiare ascoltando Luigi Baccolo, altro casanoviano devoto a De Sade. Attraverso le sue parole De Sade acquistava una dimensione umana, una povera vita spesa per accontentare le voglie dei suoi editori e i suoi bisogni personali. Ascoltandolo, leggendo le Memorie entravo nel secolo che aveva dato vita a personaggi irripetibili, Lorenzo da Ponte, de Bernis, il Conte di San Germano, Cagliostro. Avventurieri, principi, cortigiane si muovevano disinvolti in un secolo feroce ma comunque più libero, più autentico dell’800, che avrebbe costretto tutti a una castità ipocrita, alle fanciulle concesso di morire di tisi. Non più avventurieri, tavoli di zecchinetta, persino le Memorie sarebbero state rimaneggiate, considerate un romanzo erotico sarebbero state farcite di passi spuri pieni di banali riferimenti carnali.
Amavo e amo il 700, l’unico secolo a cui era data una possibilità a chiunque, purché avesse ingegno, coraggio e fantasia.
A Murano abbiamo visitato i resti del convento di Santa Maria degli Angeli, in silenzio, quasi commossi ci siamo inoltrati nel chiostro, poi nell’orto e qui ritrovavamo nel muro di cinta, coperto d’edera, la porticina attraverso la quale M.M. fuggiva per raggiungere Casanova (mi dicono che quell’orto è stato distrutto dal progresso che avanza).
Monsieur Mars allora aveva superato i cento anni, viaggiava accompagnato da una figlia «très vieille, helas !!» e approfittava volentieri dei sobbalzi del motoscafo per dedicarsi alla “mano morta” sicuro dell’assoluta impunità, aveva uno sguardo acuto e birichino «dediè à Casanova» borbottava, se gli rivolgevi uno sguardo severo. Abbiamo visitato i Piombi, la presunta cella di Casanova, ripercorso passo a passo la sua fuga con Balbi, trovando ogni volta riscontri precisi sull’autenticità del racconto.
Sono infinite le avventure sui suoi passi perduti, mi riservo di scriverne ancora.
Correva l’anno 1998, anniversario della morte di Casanova a Dux, in Boemia e qualcuno in Italia pensava di rendere omaggio alla memoria organizzando una mostra, un convegno, insomma la solita fiera delle vanità che si scatena intorno ai cadaveri eccellenti. Avevo già preso qualche distanza dai nuovi casanoviani, il gruppo storico si era un po’ disperso, raggiunto da una brutta notizia: il mecenate che ci aveva ospitati e riuniti a Venezia era scomparso, portando con sé tutti i documenti, sembra che a Parigi Mitterand avesse voluto indagare sull’origine della sua ricchezza.
In un ultimo convegno veneziano, ospiti di Orazio Bagnasco, avevo incontrato professori nordici che misuravano le distanze percorse in Europa da Casanova, o il costo attuale del suo vivere. Mancava l’aura romantica dei primi convegni, mancava la passione e la partecipazione sentimentale, soltanto il padrone di casa, anzi del palazzo, riportava agli antichi splendori. Arrivavo da Praga dove avevo tenuto due lezioni all’Università su Casanova, scegliendo di parlare del grande lavoro di Piero Chiara che, primo in Italia, ci aveva dato la traduzione dell’edizione originale, la Brochkaus.
Insomma si parla di una Mostra, di Incontri , tavole rotonde… Se ne parla in giro. Un gran fiutatore di eventi non si poteva far sfuggire l’occasione: mi cerca Maurizio Costanzo e mi invita a parlare di Casanova. Naturalmente sono lusingata, so che dovrò affrontare trabocchetti, un pubblico che ama il gioco al massacro e mi sento pronta, però voglio anche dare un segno ai Casanovisti e invito a presentarsi con me una pallida e seria studiosa germanica, incontrata da Bagnasco, che mi sembra possa reggere al confronto. Sobrie, serie, preparate sediamo al Teatro delle Vittorie, Costanzo ci guarda in tralice, è evidente che sta studiando il modo migliore per far salire gli ascolti. Alle sue domande, incalzanti, rispondo con allegria, a qualche cenno malizioso tengo testa e ribatto con pari malizia, ci divertiamo ma è evidente che non gli basta e da gran maestro del trabocchetto si rivolge alla studiosa pallida e seria e le chiede a bruciapelo se essere Casanoviana abbia implicazioni sessuali, se Casanova si manifesti indirettamente. E lei cade nel tranello, si anima, si trasforma e ammette in un delizioso accento teutonico di essere sicura d’aver scopato con Casanova, non direttamente, ma per interposto amante: a Torcello, in una locanda, lontani da occhi indiscreti incontrava un signore (tutti gli addetti ai lavori avevano così la conferma di un pettegolezzo che circolava nel milieu casanoviano) e ogni volta che si abbracciavano era certa che Casanova agiva attraverso il suo amante e le regalava gioie celestiali. La trasmissione ha avuto una impennata di ascolti, il pubblico era piegato in due dalle risate, lui incalzava e lei ammetteva lasciandosi sfuggire particolari che mandavano in estasi un allegrissimo Maurizio Costanzo.
È finita così, lei convinta d’aver rivelato la congiunzione astrale tra Casanova e chi lo ama, io certa d’aver fatto una figura ridicola e neppure divertente e Costanzo che immediatamente mi invita per un incontro su Cagliostro, ma questa volta vado da sola.
Quell’anno a Dux si sono svolte le celebrazioni in morte di Casanova, la cui tomba non è mai stata ritrovata. È stato l’ultimo grande raduno dei casanoviani.
Carla Tolomeo
Fotografie inedite di Carla Tolomeo Vigorelli