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Carla Tolomeo inedita. Sciascia

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Dopo aver festeggiato i 20 anni di attività di Satisfiction insieme a scrittori come Enrico Remmert, Stephen King, Vitaliano Trevisan, Raul Montanari ed Enrique Vila Matas, in occasione dei 22 annni della rivista pubblichiamo i racconti di autori che da anni contribuiscono a creare Satisfiction.

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Correvano i primi anni ‘70, Leonardo Sciascia ci invita al Teatro Argentina per la rappresentazione delle Controversie Liparitane.

L’avevo quasi dimenticato, la mia testa è carica di ricordi, ho vissuto intensamente tante vite, e differenti, ma una vacanza a Lipari e un libro di storia sfogliato nelle ore morte mi riportano a quella sera.

La vacanza è venuta fuori all’improvviso, e senza programmare mi ritrovo all’aeroporto di Catania che ricordavo di dimensioni ridotte, caldo e disorganizzato. Aerei in ritardo e si raggiungevano a piedi attraverso la pista, mentre dall’alto l‘onnipresente Etna ci salutava nel candore di un’ultima nevicata.

Da quella neve tardiva conservata nel buio delle cantine erano nate le granite: limonate e orzate immerse nel composto un po’ ghiacciato, sopravvissuto al sole e all’estate. Erano anni in cui il tempo si dilatava, i giorni duravano tanto e le notti portavano amici, wiskey sauer, e spremute di limoni raccolti dall’albero, ancora tiepidi per l’ultima carezza del sole. La fine dell’estate ci sorprendeva, ci costringeva al viaggio di ritorno, verso Fontanarossa direzione Milano, ci rimmergeva nel quotidiano scomodo del vecchio aeroporto, rumoroso, precario, e nei tempi morti delle lunghe attese, degli inevitabili ritardi. Una volta G. nelle more di una lunga e scontatissima attesa, avendo sfogliato tutti i quotidiani e relativi inserti era ripassato all’edicola sperando che qualche foglio stampato gli fosse sfuggito … lo vedevo tornare con un fumetto: Versione erotica e sporcacciona dei promessi Sposi.

Nelle performances dei Bravi, nelle smanie dell’Innominato, Don Rodrigo onanista, don Abbondio istruttore di Lucia e Gertrude scatenata si svolgeva la fantasia torbida sorretta da disegni circostanziati di un malato mentale; allibiti abbiamo sfogliato il corposo fumetto per poi abbandonarci a risate solenni e riparatrici.

Adesso l’aeroporto di Catania è un modello di razionalità, tutto nuovo, in ordine, niente ricorda l’antica casualità e il mediterraneo disordine, se non fosse per qualche cadenza siciliana in mezzo alle lingue del mondo parrebbe di essere in Svizzera.

Il tempo non promette bene e l’ultimo pezzo per mare, prima di raggiungere l’isola, è un po’ burrascoso ma l’arrivo mi consegna a una realtà di calma, giardini fioriti, bouganville e muretti a secco; annuso l’aria che sa di mare e di terra e mi sento felice.

Di Lipari ho questo ricordo: ho ritrovato i tempi lunghi delle estati in Sicilia, il calore degli amici e i miei passi perduti.

Avevo dimenticato, Sicilia erano gli amici, le serate in viale Scaduto da Sciascia, i suoi silenzi e le parole che gli uscivano all’improvviso, sempre cariche di significati, mai casuali. In una di queste sere, il finocchio dolce servito come dessert, aveva preso a raccontare di Lipari, della sua storia di contese tra potere temporale e Stato. Le bolle dei re Normanni assegnavano alla Chiesa ampie rendite ma nel tempo la Spagna tendeva a riappropriarsi di tanti privilegi, nascevano le dispute.. le Controversie.

Stava appunto scrivendo di questa, tra le più lunghe e ricordate.

Roma 1970

Forse la fine di gennaio, un tardo pomeriggio pieno di nuvole spazzato da uno scirocco umido, ma l’atmosfera a teatro è calda e di grande aspettativa; la dedica a Alexander Dubcek ha messo in fermento le opposte fazioni intellettuali e da destra e da sinistra ognuno è pronto a cogliere riferimenti, parallelismi deduzioni sul presente, le polemiche si annusano nell’aria mentre ci dirigiamo ai posti a sedere.

Di certo Sciascia sapeva e io ricordavo l’amicizia di G. con Dubcek, i giorni fatali della primavera di Praga: a Kampa Vladimir Holan urlava << Prashe Prashe >> agli invasori, gli studenti invertivano le indicazioni stradali per confondere i carri armati e Dubcek si sacrificava alla prepotenza per salvare il suo paese. L’ho sempre sentito come un moderno Amleto, sempre pensato alla sua personale tragedia, alla grandezza nel cedere alla prepotenza per evitare l’inutile massacro, consapevole che soltanto la Storia gli avrebbe restituito l’onore.

Prima della Storia ci prova Leonardo Sciascia, gli dedica questo pezzo di teatro da un suo testo del 69 sulla stupida prepotenza del potere.

Ho dimenticato il nome del regista, sicuramente importante, per ritrovarlo ho sfogliato le pagine del Dramma senza fortuna, di certo aveva un suo messaggio.

Cercava rumors e voleva polemica quando affidava ad attrici i ruoli degli alti prelati coinvolti nella disputa; ricordo il Monsignore, Vescovo di Catania, la cotta e il piviale rosa sul grande seno traballante e voce da contralto, simile a Renato Zero attraversava istericamente la scena distogliendo l’attenzione dal testo e suscitando bordate di risatine tra il pubblico, era già una precisa scelta di campo.

Salivano ironia e malumori, si perdeva il significato spezzettato dai movimenti di scena degni di un vaudeville, Sciascia assisteva immobile. Lo sbirciavo incuriosita e ammirata dalla sua mancanza di reazioni: non cambiava espressione e guardava nel vuoto, ho pensato in quei momenti che lo scrittore capace di grandi passioni, emozioni, giudizi si nascondeva, difendendosi, in quella maschera impassibile e irraggiungibile.

A Lipari mentre sfoglio il volume sulla travagliata storia di quest’isola, di decime assegnate da Ruggero, di Vescovi insaziati e insaziabili mi assale la nostalgia. Non per i miei anni passati, vivo bene anche ora, ma per le passioni, le fedi autentiche sbandierate, le cattiverie costruttive, le polemiche dettate dall’intelligenza, dai giusti confronti tra quel presente e un passato non ancora sepolto, la voglia di cambiare qualcosa.

Mi mancano le voci di Sciascia, di Giancarlo, mai sussurri e neanche grida, ma parole chiare.

Per tutta la durata della rappresentazione appare evidente la volontà della regia di sovrapporsi al testo, correndo il rischio di manometterlo, l’interpretazione partigiana ha privato gli spettatori di tante sottili parole bisbigliate. Abbassa il valore, non scava, mutila forse non sapendolo, anteponendo la propria lettura alla serenità del testo.

Si alzano segni di sorpresa prima, di malumore poi, qualcuno zittisce, qualcuno applaude a scena aperta. Insomma, una prima movimentata; Sciascia è pallido e dopo due parole veloci con G. si allontana.

Sicuramente aveva presente, aveva consultato questa corposa e minuziosa storia della piccola isola, la tengo tra le mani mentre guardo intorno il mare infinito e l’Etna che, coperto di neve, si staglia incredibilmente bianco tra cielo e mare.

Anche quella sera, usciti da teatro, il mondo era apparso bianco, un bianco immacolato che copriva strade palazzi, silenzioso perchè un metro di neve sceso a sorpresa aveva fermato i mezzi e le persone. Indifferente alle passioni e alle polemiche la natura affermava in definitiva la sua superiorità sulle nostre pretese, sulle parole e sulle vanità; assistevamo immobili allo spettacolo di una Roma inedita, senza clamori nè rumori, privati della nostra autonomia, aspettando un cingolato, qualsiasi cosa che ci riportasse a casa.

Mi emoziona la consapevolezza che a Lipari, un libro trovato sulla scrivania di Lilly, letto per curiosità e poi per passione possa risvegliare tanti ricordi e buttare un ponte per quel passato mai veramente passato.

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