Un viaggio approfondito ed esaustivo dedicato alla produzione sperimentale di Franco Battiato: questo in sintesi il senso e il contenuto di Battiato. Cafè Table Musik, volume firmato da Carlo Boccadoro e portato in libreria ora da La nave di Teseo.
Un viaggio, quindi, nell’universo creativo del grande musicista e cantautore siciliano, che prende le mosse dalle partiture inedite ritrovate nel 2021, svelando aspetti della sua biografia creativa fino ad oggi poco conosciuti e indagati. In questa occasione, anticipiamo una parte della preziosa introduzione di Carlo Boccadoro.
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Con atteggiamento di autentico musicista d’avanguardia, Battiato rivolgeva la propria attenzione unicamente al presente; ogni progetto valeva per l’occasione in cui veniva creato. Un concerto, un disco, una volta realizzati, venivano superati e si passava alla prossima idea. La possibilità che qualche altro esecutore potesse riprendere quei brani in un ipotetico futuro non veniva minimamente considerata, ciò che importava era solamente l’hic et nunc. Un modo di pensare non dissimile da quello di compositori come John Cage, Terry Riley e Harry Partch, che non hanno mai voluto catalogare per i posteri la propria opera: non a caso Battiato disse in una intervista nel 2009 di considerarsi “per natura l’opposto di Stockhausen, che era un fanatico della storicizzazione dei propri lavori”. Durante gli ultimi venti anni ho sollecitato più volte lo stesso Battiato e alcuni dei musicisti che avevano partecipato alla realizzazione di questi album in modo da poter ritrovare qualcosa di scritto, ma senza risultati: nessuno ricordava che fine avessero fatto i materiali originali e non esistevano neppure delle fotocopie, a parte quella de L’Egitto prima delle sabbie.
Nel 2021, il ritrovamento di alcune partiture ha gettato una luce diversa sullo sviluppo autoriale dal compositore; prima che questi spartiti tornassero a disposizione, chi si occupava criticamente della produzione degli anni Settanta (esistono diversi libri che dedicano spazio al Battiato sperimentale) doveva farne un’analisi basandosi unicamente sull’ascolto delle registrazioni discografiche. Osservando le partiture, invece, si vedono differenze notevoli tra quella che è la stesura scritta delle composizioni e ciò che effettivamente si ascolta nei dischi: sezioni tagliate, strumentazioni differenti, cambi di tessitura e di articolazione, ordine interno di alcune sezioni modificato: una serie di dettagli che dimostrano il certosino lavoro compiuto da Battiato in studio di registrazione, completando partiture che per lui evidentemente erano un punto di partenza, modificabile durante il confronto reale con i musicisti che le avrebbero interpretate. Il cammino disegnato da questi lavori tra il ’74 e il ’78 è molto vario dal punto di vista stilistico, ma saldamente unificato dalla coerenza del progetto iniziale dell’autore: esplorare a fondo l’universo sonoro degli strumenti acustici. Battiato abbandona il suo amato sintetizzatore VCS3 con cui ha realizzato i primi dischi da solista, elimina qualsiasi strumento legato al mondo del rock e si concentra in modo continuo, quasi maniacale, su elementi selezionati con cura. Il pianoforte, la voce e il violino sono quelli che lo interessano maggiormente e sui quali concentra come un raggio laser tutta la propria attenzione. Non estraneo a questo interesse è l’incontro con musicisti di grande caratura, che lo spingono in questa direzione: Antonio Ballista in primis, ma anche Alide Maria Salvetta, Bruno Canino, Roberto Cacciapaglia e Giusto Pio. Un piccolo gruppo di fedelissimi amici che condivide la fiducia nelle capacità di Battiato come autore di musica cameristica, anche quando il mondo della musica classica sembra respingerlo con indifferenza e talvolta acribia. Molti di questi esecutori lavoravano abitualmente con figure di primo piano dell’avanguardia di quegli anni come Luciano Berio, Salvatore Boccadoro, Sciarrino, Paolo Castaldi, Luis De Pablo, Niccolò Castiglioni, Franco Donatoni: il fatto che gli stessi interpreti di questi autori non guardassero a Battiato come a un parvenu ma come a un compositore da prendere sul serio deve essere stato indubbiamente un segnale importante di incoraggiamento per il musicista siciliano.