Nel 1896, in Calabria, venne fondato un paese che aveva un nome davvero bello: Eranova.
Nel 1983, questo paese non c’era più.
Ma come è possibile cancellare un paese? Cosa significa precisamente?
Perché dentro un paese, per quanto piccolo, vivono delle persone, nascono bambini, si creano legami, ci sono delle attività, una memoria collettiva, un’identità condivisa.
Eranova non era uno di quei posti – come tanti se ne trovano in Italia – che muoiono perché nessuno più ci vive o perché tutti se ne sono andati; Eranova, negli anni settanta, quando viene designato a far posto al quinto polo siderurgico nazionale, era vivo, pieno di uliveti e di aranceti, un luogo turistico che gli eranovesi non desideravano lasciare e nel quale avevano investito, costruito case e dove sognavano di tornare molti di quelli che erano emigrati in Germania o in Svizzera senza mai dimenticarlo.
Progetto insensato quello del polo siderurgico perché nasceva in un momento in cui quel settore era già in crisi. Più di 1000 miliardi di lire gettati al vento, regalati alla mafia e agli amministratori corrotti.
A Eranova vivevano circa duecento famiglie che si ritrovarono senza casa e senza una destinazione certa. Campi molto vasti furono ridotti in cenere seguendo un progetto che non vide mai la sua realizzazione.
Quella che ci racconta Carmine Abate nel suo Un paese felice edito da Mondadori, è una storia tanto triste e insensata, quanto reale.
Reale e dimenticata, colpevolmente.
Abate ha ricostruito questa storia recandosi sul luogo, parlando con gli ultimi testimoni di questa ingiustizia di stato che ricorda le lotte in Val di Susa, dove da anni si consuma una battaglia molto simile a quella che Abate ci racconta in questo un romanzo in cui la cronaca si affianca alla storia d’amore tra Lina, ragazza battagliera, originaria di Eranova, che come suo nonno non vuole rassegnarsi alla scomparsa del paese tanto amato e di Lorenzo, giovane studente di lettere che diventerà poi insegnante di italiano con velleità da scrittore, amante di Garcia Marquez e che scorge, in Eranova, una novella Macondo.
Le pagine di Abate sono sempre scorrevoli, di lettura piacevole e non particolarmente impegnativa. Le storie dei tanti personaggi si intrecciano per dar vita ad una trama che passa dall’incanto, alla tragedia e alla disfatta.
Quello che maggiormente ci resta è un briciolo di rabbia per come sono state e ancora vengono condotte tante operazioni in questo paese pervicacemente e colpevolmente governato male. Ogni città di provincia ha i suoi mostri ecologici e le sue storie di abbandono, di sperpero in nome di un progresso e di un’occupazione che poi non è mai avvenuta.
Anche a Eranova si parlava di occupazione, di posti di lavoro, di trasformazione del territorio, di ricchezza e di progresso perché il vocabolario della propaganda non è cambiato di una sillaba come non lo è quello del disagio e della povertà.
Pierangelo Consoli
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Carmine Abate, Un paese felice, Mondadori 2023, Pp. 260, euro 18,50