Una domanda decisiva: “Era libera, viva e libera. Poteva tranquillamente continuare da dove Béatrice aveva dovuto fermarsi, sì, se ne rendeva conto in quel momento, ogni giorno era un giorno guadagnato, ogni giorno era una vittoria, invecchiare non era una sconfitta, era anzi una conquista! Cosa ne avrebbe fatto di quella libertà? Sarebbe riuscita un giorno a scrivere libri belli come quelli di Béatrice?”.
Sobri litigi coniugali: «Una puttana di merda, ecco cosa sono per mia figlia, una puttana di merda! E tu, Gérard, sei un viscido ipocrita! Eccoci sistemati per benino!».
Le buone abitudini: “Alle cinque del pomeriggio c’è il tè, alle sette l’aperitivo, loro due soli o con qualche amico, sempre amici di Thomas accuratamente selezionati, rapporti di lunga data, provenienti dallo stesso giro, con i quali è impensabile discutere o arrabbiarsi. Le conversazioni sono sempre interessanti, cadenzate dagli ultimi libri letti, dalle mostre che bisogna assolutamente vedere e dalle uscite dei film. Non c’è posto per le pause imbarazzanti o la noia”.
È in libreria Qualcosa da dirti di Carol Fives (Edizioni E/O 2024, pp.160, € 17,00 con traduzione dal francese di Alberto Bracci Testasecca).
Carole Fives, nata nel 1971 a Le Touquet, vive a Lione ed è autrice di romanzi e racconti, anche per bambini. Ha pubblicato con Gallimard opere come Une femme au téléphone, Tenir jusqu’à l’aube e Térébrenthine. In Italia è uscito Fino all’alba (Einaudi, 2020), finalista al Prix Médicis e al Prix Wepler.
Elsa è una scrittrice in crisi di ispirazione, con alle spalle qualche romanzo pubblicato da una piccola casa editrice. Nonostante creda nel proprio lavoro, è consapevole che non raggiungerà mai il successo della sua autrice preferita, Beatrice Blandy, di cui ha letto più volte tutti i libri. Beatrice, però, è morta improvvisamente a causa di una malattia incurabile. Anni dopo, Elsa incontra il vedovo di Beatrice, Thomas, con cui inizia una relazione. Questo legame le apre le porte della casa di Beatrice, alimentando la sua curiosità: a cosa stava lavorando Beatrice prima di morire? Ha lasciato qualcosa di incompiuto che potrebbe ispirare Elsa? Quella che inizia come una storia d’amore si trasforma in un thriller letterario, in cui Elsa segue le tracce di una scrittrice defunta, con la quale condivide ora l’uomo. Le sue scoperte, però, la cambiano profondamente, e Thomas se ne accorge presto. Questo romanzo breve di Carole Fives è un originale equilibrio tra storia d’amore e giallo, con un finale inaspettato.
L’opera tratta il tema dell’ispirazione e di come riconquistarla. Nel dilemma tra scegliere la vita o rifugiarsi nei propri spazi interiori l’autrice ci ha regalato un romanzo che racconta mondo della letteratura con le sue emozioni, vanità e grandezze.
Carlo Tortarolo
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Elsa Feuillet ammirava Béatrice Blandy. Era una scrittrice di cui poteva rileggere i romanzi ogni anno senza mai stancarsi. Più che la storia, dato che non c’era una vera e propria storia nei suoi libri, le piaceva l’incisività della scrittura, il modo in cui vedeva il mondo. Elsa Feuillet si ritrovava in ogni sua pagina e in ogni suo personaggio, era la donna che prende a bordo l’autostoppista in piena notte, quella che prepara la cena per un amante che non arriva mai o quell’altra (era la stessa o una diversa ogni volta?) che va in metropolitana con le mani sporche di sangue. Leggere Béatrice Blandy dava a Elsa Feuillet la sensazione di capire meglio se stessa, era una vocina che la trascinava e le diceva “guarda le cose da quest’angolatura e vedi com’è diversa la vita, più intensa, più vera…”.
Elsa Feuillet non aveva mai cercato di conoscere Béatrice Blandy. Leggere le sue opere le bastava. Pensava che gli scrittori mettessero il meglio di sé nei libri, quindi che motivo c’era di andare in libreria o a un salone del libro per vederli in carne e ossa? Cosa importava sapere se scrivessero con la stilografica Montblanc o con la penna d’oca, se lavorassero fino a tardi la notte o cominciassero all’alba? E poi anche Elsa Feuillet scriveva, aveva pubblicato qualche romanzo, ma una specie di pudore la tratteneva
dallo spedire lettere appassionate alle autrici che amava. Certo, capitava che si incontrassero tra scrittori a un festival o a un salone del libro, e quindi sì, se avesse visto Béatrice Blandy sarebbe senz’altro andata da lei, le avrebbe detto qualcosa tipo “adoro i suoi libri”, una cosa breve, due o tre parole, avrebbe trovato il coraggio, ma l’occasione non si era mai presentata. Poi aveva letto la notizia su Internet: Béatrice Blandy era morta. Un cancro fulminante, se n’era andata in poche settimane. Sui giornali e sui social era stata una pioggia di omaggi, Béatrice Blandy era una letterata che aveva ricevuto premi prestigiosi, viveva a Parigi, era conosciutissima nell’ambiente, tutto il gotha letterario era sotto shock. Anche Elsa Feuillet. Non viveva a Parigi, ma nei giorni successivi alla sua morte si era intristita. Non ci sarebbero più stati romanzi della grande scrittrice? Più niente? Non era la sola ad ammirarla, nel giro di pochi mesi le erano stati dedicati libri e documentari, ognuno voleva dare la propria testimonianza di quanto Béatrice Blandy avesse influenzato la sua vita e il suo lavoro, ognuno voleva onorarla a modo suo, con un film, una canzone, un romanzo… Quanto a Elsa Feuillet, le restavano i suoi libri, avrebbe sempre potuto leggerli e rileggerli. La sua opera avrebbe impregnato lentamente quella di Elsa, era in qualche modo la sua eredità.
Béatrice Blandy aveva scritto poco, solo cinque romanzi in trent’anni, ossia uno ogni sei anni. Non era di quelle autrici onnipresenti, quelle che devono parlare a tutti i costi e monopolizzano i talk show, no, nelle interviste spiegava che per lei la scrittura rispondeva a una specie di urgenza in mancanza della quale le era impossibile mettersi al lavoro. I suoi erano romanzi brevi di un centinaio di pagine, testi folgoranti, forti, e a Elsa piaceva anche quella brevità, quel modo che aveva Béatrice Blandy di non dilungarsi. Le sembrava una forma di educazione, una maniera di non occupare troppo terreno, di lasciare spazio agli altri, e ogni volta che rileggeva uno dei suoi cinque libri ritrovava quello spazio accanto a lei. Era come un dialogo tra loro sempre coinvolgente e appassionante, un viaggio da cui tornava diversa ogni volta. Elsa sentiva di avere come un debito nei suoi confronti. Dopo averle trasmesso tanta bellezza, Béatrice Blandy non c’era più e lei non aveva potuto dirle niente, peccato. In verità avrebbe voluto conoscerla, farle sapere quanto i suoi testi le avessero cambiato la vita, come fossero stati loro a darle la forza di mandare quello che scriveva alle case editrici, di continuare nonostante i rifiuti e pubblicare in un primo momento racconti, poi romanzi brevi sul modello dei suoi.
Nel momento di consegnare il nuovo manoscritto all’editore Elsa fu tentata di dedicarglielo: “A Béatrice Blandy, scomparsa troppo presto”. No, era ridicolo. Eccessivo. Chi era lei per parlare così della sua morte? Meglio evocarla in maniera più discreta, magari con una citazione, sì, una frase di Béatrice Blandy in esergo, un modo di renderle omaggio senza strafare.