Di questi tempi, parlare di Con tutti i mezzi necessari. Viaggio in Transiberiana di Caterina Orsenigo – pubblicato da Prospero Editore – è un atto di un gioioso andare “controcorrente”. Sì, perché quando una scrittrice e una pittrice decidono di intraprendere un viaggio inteso come profondo allontanamento dalle regole quotidiane, dalla propria lingua e dai più scontati mezzi di comunicazione – niente telefoni e internet – si è più prossimi al “perdersi” che al visitare paesi sconosciuti.
In questo caso, il viaggio lungo la Transiberiana porta da Milano a Pechino, attraversando Moldavia, Russia, Mongolia e deserto di Gobi dura quaranta giorni, a bordo di automobili e van, tremi e autobus, ma anche cavalli e cammelli. Un modo per spostare il proprio sé da un’altra parte, lungo un piano inesplorato, attraverso scoperte, incontri – turisti organizzati e persone “qualunque”, figli di nomadi della Mongolia e allevatori di pecore – letture. Lungo il percorso, chilometro dopo chilometro, riecheggiano le parole della grande viaggiatrice Anne Marie Schwarzenbach, ma anche di Marguerite Duras,
Caterina e Greta viaggiarono per le steppe verdi della Mongolia, attraversando paesaggi immensi, pianure che corrono fino all’orizzonte e al cielo; e poi i canyon rosso intenso di Bajanzag, la striscia di deserto sabbioso, gli altipiani grigi che a volte si scorgono all’orizzonte, il silenzio in cui rimbomba solo il vento o il frinire degli insetti.
Dalle pagine di Con tutti i mezzi necessari si leva il suono irresistibile dell’andare, di quel “sentimento” antico e profondo che ha, tra i tanti meriti, quello di concorrere rimodulare di volta il volta il punto di vista, il sentire, lo sguardo come fosse un meccanismo di rinnovamento in movimento. Leggendo il libro è possibile, in qualche modo, accedere all’esperienza che vi viene raccontata e, stranamente, compiere almeno un passo di lato rispetto alla propria più o meno irremovibile posizione. È una questione di prospettive.