Catherine Lacey, nata a Tupelo, nel Mississippi, meno di quarant’anni fa, è tra le voci più innovative della letteratura nordamericana di questo secolo. Dopo i successi di Nessuno scompare davvero, Le risposte e A me puoi dirlo (in Italia editi da Sur), è arrivato in libreria in questi giorni Biografia di X (ancora con Sur e con la traduzione di Teresa Ciuffoletti), romanzo che ha sfiorato il Pulitzer e che lo scorso anno si è guadagnato buoni consensi, recensioni lusinghiere su riviste come Esquire e New Yorker. Dico subito che è un libro ostico (ricordate l’incipit di Case di foglie di Mark Danielwski? “Questo non è per te… Se siete fortunati vi stancherete di questo libro”), letteralmente straordinario (fuori dall’ordinario), un libro che ci dà la misura del funambolismo di Lacey, e di come la scrittura tra le sue mani diventi un magma inarrestabile, ingestibile, scomposto fino all’irritabilità. La protagonista della storia è un’artista osannata per i suoi romanzi ma anche per altre performance: installazioni architettoniche, collaborazioni musicali con Tom Waits a David Bowie. Delle sue origini e della sua identità sappiamo poco o nulla. Prima del 1982, anno in cui ha adottato lo pseudonimo di X, potrebbe essere stata Dorothy Eagle o Clyde Hill o ancora Caroline Walker o Bee Converse. Un solo dato certo: X è morta nel 1996 “Il suo cuore ha ceduto, ha ceduto e basta, così dal nulla, succede spesso”.
La biografia procede attraverso una serie di interviste a persone che l’hanno conosciuta, frequentata, amata o detestata, accusata di mistificazione. Più che un libro ostico, come dicevo prima, è un libro strano, indecifrabile come l’identikit della protagonista. L’autore, il “vero” autore del libro, è CM Lucca, ex giornalista investigativa e vedova di X, che per contrastare una precedente biografia, piuttosto imprecisa e sciatta, decide di raccontare la giusta versione dei fatti. Il racconto della vita di X si intreccia a quello della nazione, ma quella degli Stati Uniti è una storia artefatta e riscritta secondi i canoni dell’ucronia (Complotto contro l’America di Philip Roth, Il sindacato dei poliziotti Yiddish di Michael Chabon…): negli anni ’40, l’elezione alla Casa Bianca di una donna socialista ha portato alla secessione di alcuni stati del Sud (la Grande Disunione, processo inverso rispetto all’Onan di Infinite Jest di Wallace), che si sono trasformati in una feroce teocrazia, in netta contrapposizione con gli stati del Nord, che invece perseguono politiche democratiche e progressiste. Il confronto-scontro tra le due Americhe, così diverse per non dire opposte e divise da un muro, è uno dei punti centrali e di maggiore forza del romanzo, sempreché apprezziate simili forme di narrazioni. Scorrendo le pagine di questa lunga opera di ricognizione, a un certo punto scopriamo che X è originaria del Sud. Non si tratta di un dettaglio di poco conto: il fatto che la protagonista sia cresciuta sotto una dittatura sposta infatti il punto di osservazione, ribalta i paradigmi, e costringe il lettore a riconsiderare tanto la sua arte, quanto il misterioso rifiuto di una identità singola.
Le sinapsi interpretative sono multiple ma non tutte fondate. L’idea e il desiderio del travestimento X li conserverà anche al Nord “un solo nome, semplicemente, non bastava a contenerla”, con Lacey che intanto si diverte a confondere i piani della storia lasciando il lettore attonito, a volte smarrito nel dedalo delle numerose ricostruzioni, ipotesi, testimonianze e verità fluide, in mezzo a note, allegati, rimandi, materiale fotografico. Biografia di X è certamente un romanzo sul senso e sul significato dell’identità, di una donna come di una nazione (della cultura di una nazione). Una storia d’amore e di inganni ma anche una gigantesca allegoria sulla realtà e la sua rappresentazione, con la vita e l’arte che si dissolvono in un terribile gioco delle apparenze. Un’opera ambiziosa e distopica che fa pensare a Borges e a Luigi Pirandello.
Angelo Cennamo