“The Art of Fielding” by Chad Harbach.
Nel 2004 Chad Harbach è stato fra i fondatori della rivista n+1, una delle pubblicazioni più interessanti nel panorama americano degli ultimi anni (fra gli altri fondatori anche il Keith Gessen di “tutti gli intellettuali giovani e tristi” pubblicato nel 2009 da Einaudi). n+1 si proponeva (e si propone) come obiettivo di rivitalizzare il dibattito intellettuale, con articoli che spaziano dalla politica alla letteratura. Harbach vi ha scritto saggi sull’ambientalismo, su David Forster Wallace e sui Red Sox. Ecco, il baseball costituisce una delle grandi passioni di Harbach (come di molti altri scrittori americani, a partire da Stephen King, autore di un racconto molto bello sul baseball – e inedito in Italia – dal titolo “Blockade Billy”), che ha una vera e propria passione per la dimensione sportiva: alle superiori praticava contemporaneamente baseball, golf e basket. Mentre si occupava di n+1 Harbach ha lavorato al suo “romanzo sul baseball” per nove anni – affrontando difficoltà economiche, la frustrazione di essere un editor senza un proprio libro in circolazione e le complicazioni date dal fatto di dover gestire 475 pagine di prosa. “Non pensavo di metterci così tanto, quando l’ho iniziato nel 2000,” ha dichiarato Harbach “è parecchio angosciante dedicare così tanto tempo a una cosa senza sapere quello che ne verrà fuori”. Il libro è diventato leggendario ancora prima di uscire (tanto è vero che è il primo romanzo d’esordio ad avere un altro libro scritto su di esso contemporaneamente alla pubblicazione, “How a Book is Born: The Making of art of Fielding” di Steve Blass). Harbach ha colto tutte le potenzialità letterarie della materia che aveva in mano. “Quello che mi affascina nel baseball,” ha detto “è che sebbene sia uno sport di squadra, e un team di baseball è una specie di famiglia, i giocatori nel campo sono tutti molto soli. Il tuo compagno di squadra dipende da te e tu da lui, ma nei momenti che contano ti devi tirare fuori dai guai da solo”. Il romanzo è stato acquistato da Little Brown, dopo un’asta feroce, ed è stato pagato a una delle cifre più alte per il romanzo di un esordiente. Uno dei suoi modelli è, appunto, Wallace, il cui “Infinite Jest” gli ha insegnato che si può scrivere un “romanzo importante e contemporaneamente bello”. Uno dei temi principali di quello che si può già definire un piccolo (non a livello di dimensioni!) capolavoro è l’amicizia maschile nelle sue varietà, dall’antagonismo fino al vero e proprio amore – ed è per questo che un altro riferimento forte fatto da Harbach è “Moby Dick” con la sua rappresentazione di un mondo esclusivamente maschile. “Un team di baseball, in fondo, è come l’equipaggio di una nave,” dice l’autore. La storia principale è quella di Henry Skimshander, un ragazzo del midwest con un talento per il baseball. All’apice del successo, Henry perde il suo coraggio. Il libro si basa sull’esperienza reale di un lanciatore dei Pittsburgh Pirates dei primi anni settanta. Franzen ha definito il libro “un puro divertimento, dove le pagine si divorano. Una sorta di Tom Jones ambientato nel mondo dei college e del baseball”. John Irving ha scritto che è dai tempi di “Lonesome Dove” di Larry McMurtry che non è così dispiaciuto di lasciare un gruppo di personaggi. Il libro uscirà a breve anche in Italia, pubblicato da Rizzoli, con il titolo “L’arte di vivere in difesa”.
(Nicola Manuppelli)
“Where Things Come Back” by John Corey Whaley.
Dopo il Grande Romanzo Americano, una breve segnalazione per il romanzo di un altro esordiente (28 anni) che forse farà molta strada. Si tratta di John Corey Whaley, nato a Springhill in Louisiana, terra dove, come lui stesso racconta, ha imparato a “essere ironico e raccontare storie”. A differenza di harbach, Whaley confessa di essere terribile negli sport, ma di sapere andare in kayak e suonare molto bene il bongo (è anche un grande appassionato di musica, fra i songwriter che predilige il grande Bonnie prince Billy). “Where Things Come Back” è un libro per ragazzi, che però si inserisce perfettamente in quel filone della letteratura per ragazzi americana che è contemporaneamente spunto di riflessione per gli adulti – un libro introspettivo e misterioso e accattivante, che ha per protagonista Cullen Witter. È l’estate che precede il suo ultimo anno di superiori e suo fratello Gabriel, quindici anni, è scomparso. Solo che nel piccolo paese dell’Arkansas in cui abita (che lui odia e che è popolato da persone che preferirebbe non conoscere) tutti sembrano occupati dall’improvvisa apparizione di un picchio che si credeva estinto. Il romanzo, mantenendo i toni dell’ironia, si muove fra commedia e malinconia. “L’ultimo anno di università,” spiega Whaley “stavo tornando a casa e ho sentito la storia su NPR di questo picchio estinto che qualcuno aveva visto in una piccola città dell’Arkansas. Gli abitanti del posto erano eccitati e raccontavano di come questo desse alla loro città un nuovo senso di speranza, perché i turisti provenienti da tutto il mondo potevano arrivare lì per cercare questo uccello. Ho pensato a una specie di parallelo: mentre il ragazzo protagonista del mio libro è preoccupato per il fratello scomparso e cerca di tenere unita la sua famiglia, tutti gli altri sono presi da queste sciocchezze”. Il libro è un romanzo sulle seconde possibilità (tutto può accadere una seconda volta, così come il picchio che riappare improvvisamente) e si iscrive perfettamente nella grande tradizione degli storyteller del sud degli Stati Uniti, pur mantenendo la dimensione di libro per ragazzi.
(Nicola Manuppelli)
(Nicola Manuppelli)
“Where Things Come Back” by John Corey Whaley.
Dopo il Grande Romanzo Americano, una breve segnalazione per il romanzo di un altro esordiente (28 anni) che forse farà molta strada. Si tratta di John Corey Whaley, nato a Springhill in Louisiana, terra dove, come lui stesso racconta, ha imparato a “essere ironico e raccontare storie”. A differenza di harbach, Whaley confessa di essere terribile negli sport, ma di sapere andare in kayak e suonare molto bene il bongo (è anche un grande appassionato di musica, fra i songwriter che predilige il grande Bonnie prince Billy). “Where Things Come Back” è un libro per ragazzi, che però si inserisce perfettamente in quel filone della letteratura per ragazzi americana che è contemporaneamente spunto di riflessione per gli adulti – un libro introspettivo e misterioso e accattivante, che ha per protagonista Cullen Witter. È l’estate che precede il suo ultimo anno di superiori e suo fratello Gabriel, quindici anni, è scomparso. Solo che nel piccolo paese dell’Arkansas in cui abita (che lui odia e che è popolato da persone che preferirebbe non conoscere) tutti sembrano occupati dall’improvvisa apparizione di un picchio che si credeva estinto. Il romanzo, mantenendo i toni dell’ironia, si muove fra commedia e malinconia. “L’ultimo anno di università,” spiega Whaley “stavo tornando a casa e ho sentito la storia su NPR di questo picchio estinto che qualcuno aveva visto in una piccola città dell’Arkansas. Gli abitanti del posto erano eccitati e raccontavano di come questo desse alla loro città un nuovo senso di speranza, perché i turisti provenienti da tutto il mondo potevano arrivare lì per cercare questo uccello. Ho pensato a una specie di parallelo: mentre il ragazzo protagonista del mio libro è preoccupato per il fratello scomparso e cerca di tenere unita la sua famiglia, tutti gli altri sono presi da queste sciocchezze”. Il libro è un romanzo sulle seconde possibilità (tutto può accadere una seconda volta, così come il picchio che riappare improvvisamente) e si iscrive perfettamente nella grande tradizione degli storyteller del sud degli Stati Uniti, pur mantenendo la dimensione di libro per ragazzi.
(Nicola Manuppelli)