Nessun romanzo può essere pari a una biografia, sempre che la vita narrata sia stata una vera vita. Con gli abissi, le altezze, le cadute, il coraggio e anche la paura, tutto l’insieme di momenti e giorni e anni sui quali si stende la memoria. Senza infingimenti, con la forza della verità e del ricordo.
Leggere, ripercorre la lunga strada che ha portato una vita a diventare impareggiabile per me è quasi un fatto privato, come una lunga confessione tra il (o la) protagonista, dopo saremo uniti per sempre, i suoi ricordi si sovrapporranno ai miei, diventeranno parte della mia vita. Mi è successo con Caterine Mansfield, con Karen Blixen, con Giacomo Casanova.
Mi viene spontaneo chiedermi, quando affronto questi percorsi così ricchi e ben documentati (come in questa biografia di Chaplin, edita da Mattioli 1885 e magistralmente tradotta da Mantovani, che sto divorando), se l’autore nel corso della sua vita abbia tenuto diari, appunti, brevi scritti o se, un bel giorno, si sia seduto a uno scrittoio e iniziato a ricordare e scrivere, scorrendo le Memorie di Lorenzo da Ponte, di Solzenycin ,del Cardinal di Retz, soprattutto di Casanova che negli anni è diventato il mio “alter ego”. Lui vecchio e malato a Dux, nel grigiore della Boemia, e anche maltrattato da quel mascalzone di Feldkirchner, ma le sue pagine ci regalano la freschezza, i tremori, i palpiti, e le emozioni, e i dialoghi, il profumo del suo tempo ineguagliabile. Come poteva ricordare tutto, dame e cavalieri, città, strade, palazzi, locande e situarli nella precisa successione temporale che due secoli dopo avremmo tentato di ricostruire e verificare? Tutto preciso, tutto rientrava nei documenti paralleli, solo in un caso Giacomo ci avrebbe fornito dettagli e notizie sbagliate: sull’età delle sue donne. Ma è facile dedurre che non volesse ingannare, ma fosse lui stesso ingannato.
Casanova e Chaplin hanno avuto vite lunghe e avventurose, tanti amori, l’esilio , la morte lontano dalla patria. Infanzie difficili, padri smemorati, e la capacità di cimentarsi in tante direzioni diverse per trovare la giusta sede per il loro esuberante talento.
Questa autobiografia di Chaplin è uno straordinario romanzo, una vita raccontata nei dettagli senza la minima enfasi, anche quando la circostanza potrebbe permetterla. La sua infanzia, l’Inghilterra di quegli anni non è poi così distante da quella raccontata da Dikens: mobili pignorati, stanzette fredde e squallide, fame e freddo. Ma ai Fratelli Chaplin non mancava l’amore e il rispetto verso la mamma, cantante che aveva perso la voce, il marito e anche la speranza. Intorno la grande Londra ostile e indifferente, i secchi di carbone da riempire, l’odore stantio della miseria e lei che sprofondava nella melanconia, nella depressione fino alla follia. I due ragazzi come foglie al vento, tra istituti di beneficenza, visite alla mamma in ospedale, l’ospitalità rabbiosa della nuova donna del padre. Gli alterchi, le sbronze, il padre sempre più idropico, fino alla morte. I due fratelli reggono a tutte le intemperie lavorando, inventandosi ruoli fino ad approdare al teatro, che è la vera vocazione, forse trasmessa da quella nonna zingara di cui non si parla quasi mai. Il teatro in quegli anni giocava un ruolo molto importante in ogni strato della società , sia in Inghilterra che poi in America. Le pieces erano molto seguite, dalla capitale le compagnie teatrali si spostavano in provincia e il pubblico rumoreggiava, applaudiva, esprimeva dissenso come in uno stadio ai giorni nostri. Il teatro era l’unica forma di comunicazione che unisse testo immagine personaggi e anche accompagnamento musicale. Non c’era ancora il cinema che avrebbe sovvertito tutti i parametri e occupato ogni spazio. Chaplin ci racconta con semplicità e precisione i suoi esordi sul palcoscenico, i suoi primi trionfi ma anche le disastrose cadute, sottolineate con fischi e urla di dissenso dal pubblico; ma ha capito che questa è la sua vita, discute i compensi, guadagna e risparmia tanto da potersi garantire un vero appartamento che riempirà di mobili d’occasione accuratamente scelti dal rigattiere di fiducia.
Dell’America, dove sbarca con la sua compagnia, e dove sa che dovrà tornare, ci dà un racconto dettagliato e preciso come una cronaca dei tempi: L’America è veloce, tutto avviene in fretta e tutti sembrano aver fretta, il vero volto , quello che incanterà l’autore, si accende di sera, con le luci di Broadway. Allora tutto diventa Teatro, finisce la frenesia, inizia il grande spettacolo di cui Chaplin è interprete ma anche spettatore.
Dal teatro al cinema muto, da attore a regista e produttore, intanto il mondo andava mutando, l’America maccartista non poteva accettare un uomo libero, lo scaccerà vilmente mentre è in viaggio verso l’Inghilterra, negandogli il diritto di tornare.
Pochi autori hanno saputo raccontarci e mettere a confronto due mondi e due società così diverse: Inghilterra e America. Tra questi due poli si svolgerà la vita di Chaplin, che alla fine troverà un esilio confortevole in Svizzera: Rifiutato dall’America, non più capace di vivere a Londra, si ritirerà con la terza, e definitiva, moglie Oona a Vevey dove vivrà fino alla fine dei suoi giorni.
Difficile aggiungere commenti al lucidissimo scritto di GP Serino che introduce alla lettura di questa biografia che è un romanzo, da leggere e rileggere perchè abbraccia quasi un secolo di Storia, di guerre, di grandi cambiamenti che hanno segnato il ‘900 insieme alla vita di un grande uomo, forse il più grande attore del secolo.
Vorrei per concludere ricordare una frase stralciata da una lettera di Chaplinal fratello Sidney, sempre presente nella sua vita. << Volevo cambiare il mondo, l’ho fatto soltanto ridere!>>