Tra il nostalgico “c’era una volta” e l’arrendevole “tiriamo a campare” c’è l’audace e fantasioso azzardo dell’ “inventiamoci qualcosa di bello”. È così che, un po’ per gioco, un po’ per noia, sulle verdi e carezzevoli colline di Firenze, in un giorno di maggio, a villa Peyron nasce la brillante idea di organizzare un convegno su Cibo e Cultura con partecipanti provenienti da ogni parte del mondo. E sembra già sentire l’eco incessante e spavaldo di un Decameron edizione 2020, rivisitato in tempi di Pandemia.
Se poi si aggiunge l’imprevisto, rappresentato dal dover rimanere per una causa non specificata chiusi in una sorta di clausura involontaria, costretti a sperimentare una convivenza senza canovaccio tra sconosciuti, quello che doveva essere soltanto un week end alternativo diventa l’esperienza di una settimana imprigionati tra le maestose mura di quella magica villa, trascorsi a raccontarsi novelle. E allora ecco che si sviluppa improvvisamente un collettivo di idee, riflessioni sui temi più disparati della vita. Un cerchio magico che anziché giocare a risico o a burraco, finisce per svelare a ciascuno la vera essenza di se stesso. Come in un grande e unico specchio che restituisce a ciascuno l’immagine più vera di sé. Tutto raccontato nel dettaglio dalla voce narrante di Rollone il Vichingo, un gatto dal pelo rosso e un “sorriso che in bocca tiene farfalle”, che vede e sa tutto quello che non dice e ha “la prontezza borgatara perfetta per le risse e le sveltine”.
Uno spettacolo bizzarro di anime, mine vaganti nell’ eterea imperfezione. Del resto è proprio l’essere così imperfetti che ci rende indispensabili. Ne Il cielo stellato fa le fusa edito da Rizzoli 2020, giunto alla quarta ristampa e che insieme ai suoi libri precedenti le fa raggiungere il traguardo di oltre 70mila copie vendute, Chiara Francini nell’illustre lingua toscana impreziosita da preziosi arcaismi, narra quasi una storia di animazione targata Disney. Personaggi umani che più umani non si può. Perfino il gatto è umano. Parla, spia, s’intrufola, tra storie di donne e uomini che sono in realtà più sagome. Perché il vero protagonista è la location con le sue paesaggistiche suggestioni.
Ogni storia raccontata, vivace e ricca di particolari, ha qualcosa che vale la pena tramandare. E raccontarselo sembra essere l’unica garanzia di sopravvivenza. La Francini scrive facendo recitare a ciascuno una parte. E in questo emerge a chiare lettere la sua profonda vena di attrice. Personaggi-attori che starebbero benissimo in scena: la ruspante domestica toscana che ha chiamato il figlio Enrico in onore di Berlinguer, l’oste toscano l’Cioni “dalla favella cortigiana e l’Ego patriarcale”, la bella Clara, ricercatrice appassionata di Filologia romanza, la severissima bidella ucraina Oksana, l’inquieta Lauretta, e così via. In mezzo c’è perfino il racconto di un caso vero di avvelenamento industriale nell’America del secolo scorso, che causò la morte di tante donne operaie. Il racconto nel racconto si dipana con un narratore al giorno e tanto entusiasmo e curiosità. Un ricco menù con una pietanza regina: il “cielo stellato”, un “piatto di fulgida origine contadina, tipico dei Campi Bisenzio” che garba a chi ha fame di ricordi e sete d’amore.
Elena Orlando