Paolo Mascheri (1978) è considerato da critici letterari come Filippo La Porta e Andrea Di Consoli uno dei migliori scrittori della sua generazione. Ha esordito giovanissimo con la raccolta di racconti Poliuretano, uscita nel 2004 per Pendragon. Nel 2008 ha pubblicato il romanzo Il gregario per Minimum Fax, con il quale ha vinto il Premio Perelà, e nel 2021 il romanzo L’albero delle farfalle per peQuod. Il suo ultimo libro apparso di recente in libreria è: “Chiudi gli occhi Nina” (Edizioni Clichy, 2024). Vive e lavora in Toscana.
#
Sei un affermato romanziere, presente da anni sulla scena letteraria italiana con notevoli riscontri da parte della critica ufficiale, eppure per alcuni anni non hai pubblicato nuovi libri. Rispetto ai tuoi tempi utili a immaginare storie, quanto vissuto del quotidiano è spunto per i tuoi racconti, quanta finzione narrativa ti aiuta ad affrontare il caos del vivere?
Ti ringrazio per l’affermato anche se non sono così sicuro di esserlo. Tornando alla tua domanda, ti confesso che sono una persona curiosa e mi piace conoscere persone con vite o interessi o professioni diametralmente opposti dai miei. Credo che questa curiosità che si alimenta attraverso il vissuto quotidiano sia una parte molto importante per il processo creativo. Per il resto se le storie non spiegano più l’origine della vita o del mondo, sono tuttavia indispensabili per cercare di dare un ordine al caos. Sono anche convinto che nessun strumento, nessuna indagine scientifica né nessuna analisi sociologica abbiano la forza del romanzo nel carpire lo Spirito del tempo.
Con le tue storie indaghi la fragilità delle relazioni umane, ricreando conflitti che sono ben riconoscibili rispetto al tuo stile e alla tua formazione autoriale. Ammesso che esista – concretamente – una definizione utile di processo creativo, tu quando pensi e scrivi storie, come organizzi il tuo lavoro?
Inizialmente mi focalizzo sul personaggio principale, cerco di vederlo, poi viene la trama. Quindi organizzo una scaletta. Cerco di tenere con me la storia più possibile, cerco di diventare una sorta di medium in grado di riportare la voce della storia e dei personaggi, questo equivale col lasciarsi del tutto andare rispetto all’idea. Quando questo succede, quando questo soffio di irrazionalità invade il lavoro scientifico, la scaletta viene irrimediabilmente alterata, e i personaggi prendono vita.
Quali sono gli autori classici da cui non vorresti mai separarti? Quali gli autori contemporanei viventi per te canonici?
Ne dimenticherò sicuramente molti, comunque ci provo: Dostoevskij, Kafka, Joseph Roth, Philip Roth, Magda Szabò, Antonia Pozzi, Toni Morrison, Alice Munro, Don Robertson, Sandor Marai, Thomas Hardy, Richard Yates, Marguerite Yourcenar.
Tra i viventi: J.M. Coetzee, Ian McEwan, Stefano Simoncelli.
Che rapporto hai con il cinema e i fumetti? E quali sono i tuoi autori preferiti di questi due medium narrativi?
Sui fumetti devo ammettere la mia colpevole ignoranza. Invece il cinema mi ha molto stimolato. Charlie Chaplin, Billy Wilder, Joseph L. Mankiewicz, Paul Schrader, Clint Eastwood, Lars Von Trier, Claire Denis, Ulrich Seidl, Nuri Bilge Ceylan, Paul Thomas Anderson.
Ogni scrittore immagina un lettore ideale. O forse no. Per te esiste? Se sì, il tuo lettore ideale come è fatto?
Se lo immagino, immagino una persona sensibile, critica, senza pregiudizi.
Quale tipo di storia non scriveresti mai?
Viviamo tempi estremamente pericolosi per la libertà artistica. Sono tempi in cui troppo spesso si pretende di correggere la società attraverso il cinema o attraverso la letteratura. Mentre gli artisti vanno lasciati liberi. La letteratura non nasce per migliorare l’umanità, nasce semmai per raccontarla portando alla luce le contraddizioni di ciò che significa essere umani.
Se la letteratura ti migliora come essere umano lo fa solo incidentalmente e perché ti permette di comprendere gli altri. Ma non è questo il suo fine.
Un’arte condizionata nel messaggio che deve dare è un’arte di regime.
Ecco, anche a costo di non avere mai grande visibilità, farò di tutto per mantenere la mia scrittura libera da ogni condizionamento, come è sempre stata fino a qua.
Ti andrebbe di raccontarci cosa hai guadagnato sul piano esistenziale da quando hai deciso di dedicarti all’arte del raccontare storie?
Ho conosciuto molte persone, alcune di loro mi hanno riempito di incoraggiamenti, di parole e di affetto. E questo è ed è stato impagabile. Senza sapere se ci sono riuscito, ho cercato di acuire la mia capacità di comprensione e di ascolto.
In fondo, alla fine della corsa del vivere quotidiano, tu perché compri-leggi-scrivi libri?
Perché nella scrittura ho trovato la mia identità. E perché scrivere è l’unica fragile, inutile arma che ho per rispondere al passare del tempo e, per dirla con Richard Ford, al processo di sottrazione graduale della vita.
Ti andrebbe di svelarci quali temi tratta il tuo prossimo romanzo?
Parlerà di legami, redenzione, solitudine e amore.