I morti di Christian Kracht (La nave di Teseo 2021) compone una narrazione ambientata nel mondo del cinema nel periodo di passaggio dal muto al film sonoro, siamo agli inizi degli anni ’30, Hollywood domina la scena mondiale e il Giappone intende contrastare questa espansione coloniale attraverso un’alleanza con la Germania di Weimar ingaggiando un regista svizzero Emil Nägeli per un film da girare in Giappone. Tre i protagonisti del romanzo, uno è Emil Nägeli appunto, regista di nicchia che si rifà alla lezione stilistica di Yasujirō Ozu, quindi il regista Masahiko Amakasu che opera come funzionario per conto del governo nipponico e infine Ida von Üxküll, fidanzata del primo ed attrice in erba che andrà in avanscoperta in Giappone in attesa dell’arrivo di Emil. Costui intanto si trova a Berlino per concordare il finanziamento del film e il cast degli attori da scritturare. Immagina di creare un film sui generis del tutto in antitesi con gli auspici delle autorità tedesche, spinto in questa direzione dal regista Fritz Lang e dal filosofo Siegfried Kracauer in fuga verso gli States.
Nägeli è contrario all’introduzione del sonoro in quanto il sonoro avrebbe per sempre deprivato il film dalla magia del suo messaggio subliminale, dal potere delle sue immagini, dissacrando lo scopo profondo consistente nella sua evocazione della vita oltre l’umano, oltre il dialogo. Invece di essere un’arte che superasse le contingenze della vita con tutte le sue brutture ed asperità, il cinema sarebbe diventato una mera riproduzione della vita. Per Emil esistono solo cinque registi degni di questo nome, Bresson, Vigo, Dovzhenko, Ozu, e lui stesso. Un suo film basato sulla vita di Madame Tussaud, la creatrice del museo delle cere di Londra e celebre medium, subì una implacabile censura e da allora la carriera di Emil è rimasta sostanzialmente al palo. Ora questa occasione di un film in Giappone gli offre l’opportunità di un rilancio, dovrebbe esserne entusiasta, eppure la morte recente del padre, il sentore che il mondo si avvia verso il disastro, il disgusto che prova per come la Germania si sta avviando verso il caos e presto verso la dittatura e la guerra, tutto ciò lo consuma, lo fa sentire più vecchio, lo fa soffrire di paure immaginarie, lo rende persino più vacuo nel pensare. Un senso di morte subdolamente lo ha afferrato come mai prima.
Il libro si apre con la scena perfettamente descritta di un rituale seppuku che un militare giapponese si infligge auto riprendendosi con una cinepresa. Strano esordio come se Kracht seguisse qui la normazione del teatro Noh in cui la scena iniziale (Jo) deve incardinare quasi ex abrupto tutto il senso dell’intero racconto drammatico che avrà il suo pieno svolgimento nella parte mediana (jo) per poi concludersi nel dispiegarsi crudo e deflagrante del climax solo nella parte finale (kyu). Il filmato del suicidio passerà incomprensibilmente nella mani di Masahiko Amakasu che come funzionario del governo sarà il responsabile del coinvolgimento del regista svizzero nell’operazione, cioè quella di una formulazione di un Asse della cellulosa nippo-tedesca in campo cinematografico per fronteggiare l’invasiva influenza americana coi suoi film che in buona parte sono solo cliché di boss, ladri, prostitute oppure western dove gli indiani saranno sempre i cattivi da annientare. Il racconto si interseca con rimandi alle infanzie dei due registi entrambe segnate dalla solitudine e da un rapporto complesso coi rispettivi padri. Amakasu già da bambino si rileverà un portento negli studi e nell’apprendimento delle lingue, e seppure esiliato in un collegio duro nella disciplina ed atroce nei rapporti tra gli alunni, senza il conforto dei genitori, Amakasu diverrà un freddo e raffinato intellettuale e un regista stimato seppure inquadrato nelle file del governo.
Anche per Emil l’infanzia si rileverà segnata da una sensibilità quasi morbosa e da un mancato raccordo col padre, padre che il figlio vedrà morire sotto i propri occhi in un letto d’ospedale quando il padre stava per chiedergli un ultimo favore, quell’ultimo favore che rimarrà per sempre un enigma per il figlio. Nel mentre che Nagel a Berlino si accorda con il Ministero della cultura del Reich sulla produzione del film ed ottiene un finanziamento da capogiro, Amakuso riceve a Tokyo Ida von Üxküll di cui diverrà presto l’amante, entrambi ospiti di vari ricevimenti in cui conosceranno Charlie Chaplin in visita a Tokyo, già celebrità globale, lo stesso Chaplin che un gruppo di cospiratori nazionalisti (contrari al Trattato di Londra del 1931 sulla riduzione degli armamenti navali) voleva uccidere assieme al Primo Ministro Tsuyoshi se non fosse stato per il figlio di costui che decise di cambiare programma e accompagnarlo ad un incontro di Sumo, Chaplin sfuggirà alla morte al contrario del Primo Ministro (15 maggio 1932).
Quando Emil arriva a Tokyo è pieno di speranze, va dal barbiere, per nascondere la calvizie si fa convincere ad indossare un parrucchino, si fa fare una pulizia facciale accurata. Con Ida e Amakuso Emil vivrà giornate di letizia in cui Emil riprende tutto quanto fanno con una cinepresa a mano finché scopre Ida e Amakuso durante un amplesso e decide di filmarli di nascosto nonostante lo sbigottimento, il denso sapore di sconfitta. Il giorno stesso abbandona Ida al suo destino e parte per un viaggio erratico, dapprima nel sud del Giappone, poi verso nord-est, dove filmerà pellegrini, incidenti d’auto, stazioni di campagna, anziane nella raccolta del riso, bambini che giocano, bambù piegati dal vento, spiagge desolate, non mangia più, non si lava, il suo peregrinare non ha fine, uno scrittore forse omosessuale gli dice che al mondo ci sono solo due topoi affini tra loro, il sesso e il suicidio. Si dirige ad Hokkaido, prende un traghetto per le isole Curili che confinano con la Siberia. Vorrebbe dirigersi in Unione Sovietica ma gli agenti di confine lo dissuadono, armi in pugno. Si imbarca su un peschereccio che rastrella granchi. Torna ad Hokkaido, girovaga, dorme sotto le stelle finché capisce che un’ombra lo segue, gli tende a volte la mano, è quella del padre, solo allora capisce che il padre ha smesso di amarlo quando lui il figlio si rifiutò di stringergli ancora la mano per pudore. Che quel gesto ha segnato la sua vita. Per sempre. Il libro prosegue con le avventure di Chaplin di ritorno negli States assieme ad Ida e Amakuso di cui non sveleremo l’epilogo. Intrigante però l’atmosfera degli anni ’30 in una California vitalizzata dal mercato azionario ed immobiliare, dal Jazz, da Steinbeck, Faulkner, Anderson, Jean Harlow e Clark Gable, Bogart, Gary Cooper e fiumi di whisky. Quel clima di scelleratezza prima della grandine della Grande Depressione. Hollywood spensierata e gaudente coi sceneggiatori e i registi quasi tutti comunisti convinti e plausibili.
Lo stilema del libro di Kracht non procede verso un obiettivo morale, il libro pare un thriller ma non lo è affatto, può persino sembrare un noir politico, fatto di congiure, di relazioni internazionali inficiate dall’odio e dal commercio, per Kracht però non esistono i cattivi, solo il disgusto è imputato, lo svolgimento delle scene ricambia il lettore con una precisa delineazione dei caratteri dei personaggi, del loro fascino, delle loro idiosincrasie, del loro punto di rottura, la narrazione li segue in alcuni passaggi cruciali dell’infanzia come se lì dimorasse il tarlo che li annienterà nell’età adulta, li segue poi nella loro interrelazione dapprima vincente e pacifica, poi rovinosa, tutto è però appena accennato, qualche linea di colore identificativa, subito si volta pagina, non si spiega, si va al cambio di scena, un racconto dunque frammentato, distonico, che non cerca mai gli effetti dello spettacolo, dell’eclatante, del manicheismo, qui siamo immersi saggiamente dentro un linguaggio scenico e narrativo che riporta alla lezione di Ozu e Vigo, la rappresentazione pura e semplice del quotidiano, del suo trascorrere verso l’ignoto e dunque verso la sola certezza terrena: la morte che per ognuno attende.
Libro vibrante di folgorazioni, con una struttura sintattica essenziale mai pronunciata, con rilievi narrativi che s’incentrano sulle azioni, sulle compulsioni suscitate da queste azioni, da cui si derivano i tratti psicologici reali, le ambizioni nascoste, le paure. Tutto ciò delineando il clima dell’epoca in un Giappone modernissimo ma ancora arcaico, poi nella sfavillante Hollywood temeraria e venefica, in mezzo Berlino centro culturale pregno di spunti ma anche cancro del risentimento che divora masse di disperati senza più un dio che li protegga. Libro da leggere due volte, da tenere in libreria in vista come fosse un vademecum sempre buono alla bisogna. Bellissimo!
Marcello Chinca