Pier Paolo Di Mino
Pier Paolo Di Mino è nato a Roma nel 1973. Ha diretto la rivista Erre! Fra le sue opere Il re operaio e Visiorama (La scimmia edizioni) e Storia Aurea (Edilet). È coautore del film Fine pena mai (regia di Lorenzo Conte e Davide Barletti, con Claudio Santamaria e Valentina Cervi), del romanzo Fiume di tenebra (Castelvecchi), e dei saggi romanzati Il libretto rosso di Garibaldi e Il libretto rosso di Pertini (Purple press). Ha partecipato alle antologie Biglietto, prego (Zero 91) e Trema (Arcoiris).
Da molti anni scrive un romanzo dal titolo Lo splendore, e porta avanti il progetto artistico e letterario Il libro azzurro, una sezione del romanzo la cui iconografia, in un serrato dialogo fra immagini, idee e parole, è curata da Veronica Leffe.
Veronica Leffe
Veronica Leffe è un’artista visiva. È stata art director della rivista di letteratura «R!» e della casa editrice La Scimmia Edizioni. Nel 2010 ha realizzato le illustrazioni per «Storia aurea», poema in versi di Pier Paolo Di Mino (Edilet) e per «Mai Morti», antologia di racconti a cura di Marco Lupo e Luca Moretti (Dissensi). È autrice di una serie di ritratti d’autore che ha pubblicato per varie riviste. Alcuni dei suoi ritratti sono diventati istallazioni sui muri cittadini in performance di Poster Art. Porta avanti il progetto artistico e letterario «Il libro azzurro», legato a «Lo Splendore», romanzo di Pier Paolo Di Mino, del quale cura l’iconografia in un serrato dialogo fra immagini, idee e parole.
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A Pier Paolo:
Con il godibilissimo primo volume dell’opera letteraria “Lo Splendore”, appunto il capitolo iniziale intitolato “L’infanzia di Hans”, hai dato inizio alla pubblicazione in formato cartaceo di un’opera mondo(nata dal percorso artistico legato al progetto tuo, per le parole, e di Veronica Leffe, per l’iconografia, de “Il libro Azzurro”) a cui avete dedicato tanti anni della vostra ricerca artistica e in toto della vostra vita. Grazie al supporto storico e costante del tuo agente letterario Leonardo Luccone di Oblique Studio, e al lavoro di consulenza editoriale di Giulio Mozzi che opera per Laurana Editore di Milano, nonché alla cura editoriale di Greta Bertella, questo libro è approdato in libreria e ha fatto tanto parlare della magnifica storia da te immaginata, e messa in campo. Una storia che mi pare di capire ha una gestazione antica, e che trova forza nelle tue attese di sguardo e di pensiero, in primo luogo, e di estrema forza linguistica sulla pagina. Il libro si è classificato primo nelle Classifiche italiane di qualità della rivista L’Indiscreto, ha trovato un suo spazio in molte librerie italiane e il passaparola sui social lo ha spinto ad arrivare fra le letture preferite di molti lettori attenti, quelli che gli addetti ai lavori chiamano i “lettori forti”. (mi scuso per la lunga premessa, ma era fondamentale, ora vengo alla domanda!). Tu come scrittore quando decidi di metterti a lavorare con le parole e quando nasce in te il primo pensiero che ha prodotto in te la consapevolezza artistica utile a osare, a scrivere – in tempi difficili come questi – un’opera che ha il respiro del grande classico europeo, ma che approda anche sul comodino di quel lettore che – forse – oggi legge meno classici di un tempo, rispetto ai propri padri e nonni, eppure è ancora alla ricerca di Grandi Storie come la tua.
Sì, una decisione c’è. C’è sempre. Ecco, scrivere è il modo in cui ho deciso di rimanere vincolato alla necessità, o alla realtà. Questa libertà almeno l’abbiamo: decidere come essere schiavi della necessità, o della realtà. Sono sempre tentato dalla ribellione, sia chiaro: lì fuori tumultuano le stagioni, e l’aria e la luce variano di continuo, e gli oggetti variano nell’aria e nella luce; e il gioco è bello, e la bellezza fa quell’effetto: ti chiama. Rispondo al richiamo trattenendo il fiato, e stringo i denti per fermare un po’ di bellezza; e, con la bellezza stretta fra i denti, ogni giorno decido di scrivere. Da circa tre lustri, nello specifico, decido di scrivere questo romanzo, “Lo splendore”: o, meglio, di trascrivere in un romanzo la storia dello splendore. La storia dello splendore viene molto prima della mia decisione di scrivere. Viene molto prima di me, che ci lavoro da solo cinquantadue anni. Da bambino, come tutti, devo avere avuto vissutezza, in un dato momento (fuori dal tempo) dello splendore: e così è iniziato questo lungo e paziente lavoro artistico, raccogliendo impressioni, sensazioni, emozioni, trasformandole in un sentimento, quello della vita, e, a mano a mano, in tutti i sentimenti di cui è fatta la vita, e quindi in pensieri (se questa è la vita, come va vissuta?), e fantasie, e fantasticherie che ho sentito il naturale bisogno di verificare nell’esperienza altrui, cercando la testimonianza di questa esperienza soprattutto nelle anime migliori, le più secche, quelle racchiuse nei libri: e quindi, a un certo punto, è venuto da sé dare espressione, con immagini e parole che fossero le più esatte e originali (ossia più fedeli all’originale; le meno improvvisate e nuove che ci fossero), allo splendore con una storia, un romanzo. Come vedi non c’è bisogno di una grande fede, nemmeno oggi, per un’impresa artistica di questo genere, perché un’impresa artistica di questo genere è comune a chi vive avendo a che fare con quell’esperienza comune che permette di avere vissutezza dello splendore. E non posso dire di aver osato molto: ancora una volta una civiltà crolla, e i fenomeni sono sempre gli stessi: oppressi da fantasiosi miti di benessere, produttività, progresso, i più degli uomini impegnano l’anima per un po’ di successo e una stozza di pane, e a seguire: non si leggono più i libri (tutt’al più i libri sono prodotti di intrattenimento o, che è lo stesso, oggetti simbolici dell’accumulo capitalistico di un presunto sapere), le scuole di retorica e i teatri e le pinacoteche vengono disertati, si abbandona il pensiero, crollano le facoltà razionali e cognitive; e, quindi, pestilenze e guerre; e, quindi: ovunque mi volgo vedo naufragio. Eppure qualcuno che cerca l’esperienza dello splendore, non fosse altro per sopravvivere alla catastrofe, si trova sempre. Questa bella compagnia l’ho data sempre per scontata.
A Veronica:
Sei una validissima artista che lavora con suggestioni visive e immagini, matite e pennelli da anni. Nel progetto comune con Pier Paolo “Il Libro Azzurro” hai lavorato alla ricerca iconografica utile alla storia. Mi pare di capire che questo contagio artistico di coppia, abbia creato nel vostro caso uno strabiliante cortocircuito creativo: tu elabori immagini, che nascono dalle parole, che poi approdano agli occhi del lettore come ulteriore codice comunicativo. E questo ciclo si rinnova di momento in momento lungo tutta la storia narrata. Ti andrebbe di raccontarmi se è accaduto con altri vostri lavori, in primo luogo, e se era voluta questa dinamica oppure se è del tutto incidentale (eppur preziosa)?
Per il mio lavoro artistico l’incontro con Pier Paolo è stato fondamentale. Ci siamo conosciuti all’università, durante i nostri corsi di studi presso la facoltà di Lettere a “La Sapienza”: era la fine degli anni ’90. La scena Underground a Roma era molto vivace, Pier Paolo aveva appena fondato una rivista di letteratura e arte che si chiamava «R!» dove fui arruolata subito come illustratrice, fumettista e copertinista. Allora pubblicavamo le nostre opere narrative e figurative sulla carta stampata. In modo spontaneo abbiamo cominciato a lavorare insieme: Pier Paolo scriveva brevi sceneggiature per i miei fumetti, io realizzavo illustrazioni per i suoi racconti. Fu naturale per noi condividere idee, confrontarci su ogni aspetto della nostra produzione artistica, in uno scambio sempre vivace, ininterrotto: poteva capitare che io creassi delle figure partendo dalle sue storie, ma anche che le sue storie cambiassero dopo aver visto le mie immagini. Fin da quegli anni posso dire che il nostro lavoro è stato sorretto intenzionalmente dall’idea rinascimentale espressa dal motto Ut pictura poesis (Come nella pittura così nella poesia). Un esempio concreto di questa intenzione lo abbiamo realizzato nella pubblicazione di «Storia Aurea», un racconto in versi di Pier Paolo, per il quale ho curato le figurazioni. Poi l’esperienza Underground si è esaurita, e per noi è iniziato un lungo periodo di riflessione e di ricerca, un rallentamento necessario per mettere a fuoco una nostra visione più autentica. Io ho cominciato a lavorare con maggiore libertà, sperimentando non solo le tecniche pittoriche, ma anche l’uso del digitale. Pier Paolo ha cominciato a scrivere un lunghissimo romanzo. Chiusi nei nostri laboratori, eravamo alla ricerca di una forma che rappresentasse il Mondo: il suo ordine, la sua armonia; una forma che, ci pareva, dovesse assomigliare agli antichi poemi, o alle antiche cattedrali medievali. Questa fantasia della cattedrale, per la verità, ci venne durante un viaggio a Ravenna: entrando nel sacello di Galla Placidia ci sentimmo rapiti da quelle immagini e da quell’atmosfera. Nel mondo classico, o nel Rinascimento, la civiltà era sorretta da storie e da miti che si incarnavano in figurazioni straordinarie, e quindi ci è venuto spontaneo muoverci in quella direzione: il nostro lavoro doveva essere come una cattedrale di parole che si specchia in una cattedrale di immagini. Da quel momento Pier Paolo costruisce la sua cattedrale di parole attraverso il romanzo intitolato «Lo splendore» del quale io curo l’iconografia, componendo un ciclo figurativo, in un serrato dialogo fra immagini, idee e parole.
A Pier Paolo:
Nella superlativa postfazione di Mozzi a “Lo Splendore”, Giulio racconta in modo ammaliante l’eziogenesi dell’opera mistica Il libro dello splendore di Moshe de León, e altre peripezie legate a quell’autore che attingendo alle grandi opere della tradizione cabalistica, e anche a una grandiosa dose di ingegno, rielaborava e stampava storie da rivendere: un prolifico e geniale autore che si fa editore, per sfuggire alla mancanza di soldi cronica con cui comprare altri libri ancora. Tu, nell’elaborazione della tua opera, quanto sei stato ammaliato dalla grande tradizione letteraria e in che modo hai provato a mettere “il tutto” in un’opera letteraria che affronta l’infinitesimale e l’universale, la storia e la filosofia, l’ordinario e lo straordinario…la vita, la morte e tutti gli altri stati possibili dello spirito?
Non è mai stata una mia ambizione fare letteratura, distinguermi nelle belle lettere, e queste cose che, tanto per dire, da bambino trovavo poco entusiasmanti: da bambino sognavo imprese cavalleresche, piuttosto, e amori di meravigliosa bellezza: sono state però queste fantasie eroiche, così come sono state trasmesse nei millenni da diverse storie, a donarmi la coscienza dell’importanza delle storie. Le storie sono importanti, sempre; ma più che mai oggi, che viviamo in un’epoca titanica, in cui tutto è smisurato: enormi missili; giganteschi piani finanziari; spropositate riforme linguistiche e morali; grattacieli e megalopoli; pianificazioni grandiose di globalizzazioni e colonizzazioni stellari; mirabolanti e magnifici tentativi di superamento dell’umano; grandi progetti urbani; grandi archivi; grandi saperi; grandi aspettative; grandi successi; grandi guadagni; grandi ego; grandi progressi della scienza e della tecnica; grandi automobili; grandi abbuffate; grandi diete specialissime e uniche: grande grandezza per tutti, ovunque. Che tipo di grandezza sia quella del titano ce lo dice la stessa parola “titano”, espressione grottesca, comica, insultante, con la quale i greci, usando un lemma che si riferiva al membro virile, indicavano un uomo di poco intelletto e tanta insipienza. Non c’è niente di più pericoloso dell’idea di grandezza grossier di un grande cretino: è per questa idea che di solito periclitano le civiltà. Nel mito greco troviamo però una soluzione: alla grandezza grossier dei titani Zeus risponde con una grandezza sottile e ominosamente ingannevole: la grandezza della ragione, del bello, dell’anima, della vanagloriosa invenzione di storie che non finiscono mai. Basta appena un po’ di serena tracotanza, dunque, per concepire ancora oggi una risposta al titanismo, tentati dal desiderio di contrapporsi al nulla quotidiano di epoche come la nostra mettendo tutto, proprio tutto, dentro un romanzo. Sempre se a uno vanno a genio i romanzi; sennò tutto, proprio tutto, lo si può impiegare in altri modi. L’importante è impiegarlo.
A Veronica:
A prescindere dal percorso comune, artistico ed esistenziale, con Pier Paolo, mi piacerebbe sapere di quali forme e creature sono popolati i mondi onirici dei tuoi sogni notturni, e se ( e quanto, qualora accadesse quanto ti sto per domandare) quelle immagini influenzano la tua arte nella vita reale. (Nel rispondere a questa domanda prenditi tutto lo spazio e il tempo che ti occorrono, senza limitazione alcuna.)
Grazie per questa bella domanda, Mario, ti confesso di essere una sognatrice notturna molto prolifica, faccio sogni lunghi e complessi, talvolta direi cinematografici. I sogni sono la parte più profonda delle nostre vite, quando arrivano ci connettono ad una realtà complessa, quella degli archetipi, nuclei di immagini che sono esattamente quello che mi interessa e di cui mi occupo nel mio lavoro. E dunque, sì, i sogni influenzano la mia arte, ma non in modo istintivo. I sogni, come gli archetipi, non sono lineari, univoci, si presentano nella loro complessità, immagini imperscrutabili, ci vuole del tempo per assorbirne davvero il senso e il significato. Al risveglio quindi, se il sogno è importante, lo trascrivo nel mio quaderno. Scrivere un sogno è molto difficile, io cerco di farlo rispettando i suoi tempi, le sue atmosfere, le sue immagini autentiche: lo scrivo per non perderlo, lo costringo in un racconto, in un linguaggio logico che, naturalmente è molto diverso dal linguaggio onirico: ecco, trascrivendolo cerco di preservare il sogno, ma nel farlo, in qualche modo lo tradisco. E questo tradimento è la giusta distanza che devo mettere, perché nella veglia il contatto diretto con questa materia ribollente mi scotterebbe e invece io devo digerirla piano, a lungo. Magari ad anni di distanza l’immagine di un sogno ribussa perché è arrivato il suo momento e allora la ripesco.
A Pier Paolo:
Qualche anno fa, in una trasmissione rai che ho visto per intero, sei apparso con Veronica in tv. E il giornalista che raccontava di voi ha avuto la fortuna di intervistarvi dal vivo nel vostro laboratorio artistico. Dalle riprese mostrate mi è sembrato davvero “Il luogo” in cui avrei voluto trovarmi in quel momento. Volevo uscire di casa, prendere il primo treno e raggiungervi, stare con voi, farvi mille domande. Ma non vi conoscevo di persona, mi sembrava invadente se non folle come gesto, così vi ho cercato in rete. E ho ri-scoperto le pagine social de “Il Libro Azzurro”, che già seguivo grazie al passaparola dei lettori su alcuni gruppi on line, ma che ho cominciato a studiare metodicamente arrivando a perdermi, nel vero senso della parola, fra quei mondi. Poi, tempo dopo, conversando per caso con Giulio Mozzi al Flip Festival di Pomigliano D’arco scopro che il formidabile Leonardo Luccone vi rappresenta da tempo come agente, e che il primo libro della vostra opera uscirà in formato cartaceo per Laurana, dietro la consulenza di Giulio. Da libraio e lettore, nell’apprendere quella notizia, ho provato una gioia immensa. E ho atteso impaziente l’uscita del libro. E da quando Lo splendore è tra le mie mani non faccio che leggerlo e rileggerlo, prendere appunti, consigliarlo e diffonderlo in ogni modo possibile. Perché questa opera lo merita. (chiedo scusa, mi sto perdendo, arrivo alla domanda…). Da quanti volumi è composta questa opera mondo, mi pare di capire che ci lavori costantemente nel tempo aggiungendo materiali ad altri materiali che generano nuovi capitoli, e quando uscirà il secondo volume della storia?
Sì, il romanzo è composto di sette volumi in lavorazione perenne, e, facendo un calcolo basato sulla perennità, non posso dire quando uscirà il secondo volume: so che uscirà quando sarà pronto, che è più o meno come dire: quando Dio vorrà, se vorrà.
A Veronica:
Questo mondo reale produce una quantità di immagini impressionanti, sulle quali molto si è detto e ancora di più si dirà. Immagini che forse resteranno nella memoria collettiva, forse no. Tu, da artista, quando osservi (e indaghi) il mondo(nella vita di tutti i giorni) come fai tue queste immagini e come queste entrano (se ci entrano) nel tuo immaginario formativo?
Il mio lavoro consiste nel trattare le immagini della realtà archetipica, che si muove in direzione della perennità e dunque, in apparenza, le immagini che arrivano dal mondo cosiddetto “reale” sembrano essere quanto di più lontano da questa realtà immaginale. Tuttavia, come quelle dei sogni, anche le immagini legate al flusso contingente possono essere portatrici di nuclei archetipici interessanti. Solo che questi nuclei, nell’inflazione che ormai si è creata, sono più difficili da riconoscere. Quando ero giovane era anche più difficile, perché tendevo a farmi travolgere, a farmi distrarre dal bombardamento che distoglie dall’essenziale, poi, col tempo e la disciplina, si è affinata la vista e, esercitando la pazienza, anche le immagini del mondo “reale” trovano il loro posto nell’archivio della memoria. Quando il momento arriva, anche loro, opportunamente decantate, possono trovare posto nell’affresco dello splendore.
A Pier Paolo:
Che cosa significa per te, in questo preciso momento storico e in ragione del tuo percorso autoriale, leggere (e scrivere) storie?
Quando il mondo crolla, leggere e scrivere storie, o ascoltare e raccontare storie, è come chiudersi in un giardino con gli amici per rifare il mondo. È già avvenuto tante volte. Atene, dopo il regime totalitario dei trenta tiranni, lentamente si dissolve (e con lei tutta la Grecia) nell’impero di Alessandro: eppure l’idea di uomo e di mondo concepita ad Atene (è l’idea di Zeus: con l’inganno della ragione, con la retorica e con le storie ben raccontate si può fare del mondo un mondo, un ordine armonioso in cui la necessità non fa male); eppure questa luminosa idea è stata salvata da Platone, che ha riunito giovani donne e giovani uomini in un giardino, quello di Accademo, per praticare quell’incantesimo che si fa con i bei discorsi. Crolla Roma e l’intero complesso della cultura classica: a metà del VI secolo, dopo le guerre gotiche, Roma è quasi deserta (per un paio di mesi, in realtà, è del tutto deserta), e allora un manipolo di monaci, votati a stare fuori dal mondo, giunge a Roma, ormai solo un nome, per farne un giardino in cui rifare il mondo usando le vecchie storie dell’èra classica, quelle nuove, mirabolanti e allucinatorie, dei santi, e il bel canto. Ma l’immagine più bella di questo giardino ce la dà Boccaccio, ovvio: ragazzi e ragazze, bellissimi, che sanno tutto sull’amore e tessono la trama lucente di un racconto malizioso e spirituale mentre fuori la peste stermina ogni cosa; ma in quel racconto germina nuova la vita. E così è in questo preciso momento.
A Veronica:
Che cosa significa per te, in questo momento storico, e in ragione del tuo percorso artistico, disegnare e dipingere (anche) una certa idea di mondo reale vissuto (oltre che narrato)?
Oggi, nel contingente, gli uomini sono piuttosto distaccati dal mondo e dalla sua anima, sono sopraffatti da flussi di immagini non memorabili, prive di valore estetico, in cui l’anima è assente. Il mio lavoro, che penso sia il lavoro di ogni artista, consiste al contrario nel trovare immagini che possano durare nella memoria di chi le guarda, comunicare con l’anima delle persone e delle cose: immagini che permettano dunque di rivedere, riconoscere il mondo e di connettersi alla sua anima.
A Pier Paolo:
Ogni scrittore di talento immagina un lettore ideale. O forse no. Ma vorrei sapere, per te che la letteratura è gesto di ricerca e di pensiero, di espressione massima e di consapevolezza di un tuo personale e concreto statuto politico-biologico, cosa rappresenta il lettore mancato: parlo di quello che non vuole leggere a ogni costo nessun libro, e al quale vorresti far scoprire l’intrattenimento infinito: quel tipo di lettore lì come è fatto, secondo te?
Io, mentre racconto, o mentre scrivo, o mentre trascrivo un racconto, non rifletto su lettori ideali e lettori mancati. Il momento prima di raccontare e il momento dopo, però, sì: e devo dire che il mio lettore ideale coincide con quello mancato: è proprio quello che non legge nessun libro, a ogni costo, magari perché è analfabeta, o non ha ricevuto nessuna educazione, o è stato istruito a ritenere innecessario o sbagliato leggere libri. Sono in molti (sono i più) a non essere abituati a pensare ai libri come alla via regia che mena all’esperienza della vita; ma questi molti (questi più) solitamente ritengono che vie regie che menano all’esperienza della vita siano le storie. Basta entrare in un bar, in una bisca, o in centro scommesse di una borgata per osservarlo empiricamente. Io sono nato e cresciuto, e, prima di ritirarmi in un vuoto a me confacente, a lungo ho vissuto in una borgata di Roma, e posso affermare con cognizione di causa che sono luoghi dove, se si vuole svoltare la giornata con dignità di re, si devono saper raccontare belle storie. Lì ne sono tutti avidi; lì ho imparato a esserne avido anch’io: lì ho imparato un bel po’ di storie e come si raccontano; e mi dispiace che sia molto improbabile che proprio le persone da cui ho imparato tanto, essendo state istruite a ritenere innecessario o sbagliato leggere libri, non leggeranno mai “Lo splendore”.
A Veronica:
“Arte e percezione visiva” di Rudolf Arnheim è un libro che ho a cuore, da tanti anni. Sono certo che quel libro fa parte della tua biblioteca ideale del cuore, perché è un saggio universale e al contempo immortale. Rispetto al pensiero di Arnheim, voglio domandarti quanta arte e quanta percezione visiva riponi nel tuo vivere in questo tempo dilatato e nel tuo agitare le mani fra carboncini, colori, chine e tutti gli strumenti del tuo mestiere in un tempo che si restringe diventando sguardo e gesto artistico compiuto e finito?
Devo ammettere, con grande dispiacere, che non ho mai letto il saggio “Arte e percezione” di Arnheim. Dunque, rimedierò quanto prima. Proverò comunque a rispondere alla tua domanda senza conoscere il suo pensiero. L’arte è per me, fin da piccola, una forma di conoscenza del mondo. Quando cominciai a studiare disegno dal vero provai empiricamente quell’esperienza comune che i mistici il più delle volte intuiscono nel momento dell’estasi, e che permette di avere vissutezza dello splendore: ponendoci di fronte a un oggetto per disegnarlo, se lo osserviamo, percepiamo la sua forma unitaria: iniziamo a tracciare segni con la matita sul foglio concentrandoci sui confini della forma, ma ci accorgiamo, però, che l’oggetto si sfalda: la sua forma si mischia nello spazio a quella dell’aria che lo circonda: aria e oggetto si compenetrano e diventano un tutt’uno, non si capisce dove finisce uno e dove comincia l’altra: la realtà delle cose si scompone in milioni di atomi e capiamo, allora, che noi stessi ne facciamo parte e siamo un tutto unico e siamo il mondo e la sua anima è anche la nostra.
Mario Schiavone