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Cinzia Leone. Vieni tu giorno nella notte

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L’Uruguay è stato il paese in cui la dittatura militare ha raggiunto, in rapporto alla popolazione, il numero più alto di prigionieri politici e di torturati di tutta l’America latina.

Perché una certa sadica ironia manca raramente ai dittatori, il carcere peggiore si chiamava Libertad.

In queste celle affollate, dove la vita si consumava in un disagio cannibale, farfalline di carta da sigarette superavano le finestre sbarrate e oscillavano cadendo cariche di poesia.

Una sopravvissuta diceva:

A volte piove, e ti amo.

A volte esce il sole, e ti amo.

Il carcere è a volte.

Io ti amo sempre.

Questa straziante prova ci insegna che la vita è un fungo. Suona male ma è vero. L’umanità è in grado di proliferare nelle condizioni più avverse, cavando dolcezza dalle vite più aspre.

Non esiste altro modo di bilanciare il male perché la dolcezza è lo sgarro più atroce che l’uomo infligge all’ingiustizia.

Cinzia Leone in Vieni tu giorno nella notte, edito da Mondadori, ci racconta una storia di tragica riconciliazione.

Una madre e un padre separati dalla vita, dalle diversità che non si perdonano, si ritrovano uniti sulla strada del lutto più amaro.

La morte impone sfide asimmetriche…

Scrive la Leone e non potrebbe essere più vero e innaturale. Arièl, figlio di Micòl e di Daniel è morto. Arièl era un soldato. Cresciuto in Italia, si innamora della Tel Aviv che assorbe dai racconti di sua nonna. Tornato in quella che sente come la sua vera patria, si arruola nell’esercito. Artigliere nell’eterna e sanguinosa guerra Israelo-Palestinese si innamora di un arabo.

Vittima di un attentato, il corpo di Arièl si fonde con quello del suo attentatore. I resti sono indistinguibili e per riavere qualcosa su cui piangere, Micòl e Daniel dovranno aspettare.

L’attesa diventa viaggio dentro la vita di quel figlio di cui non sapevano niente. Micòl scopre che Arièl amava un altro uomo, Tariq.

Si incontrano per caso. Lei è tornata nella casa del figlio e si addormenta. Tariq, entrato per accudire il gatto, la scopre. Capisce subito che lei è sua madre e la connessione è immediata. L’appartamento in cui Arièl viveva sembra quasi non esistere, posto al quarto piano di un palazzo che sembrerebbe averne solo tre. È un luogo spartano, fatiscente, con i tubi a vista e una terrazza che affaccia su Tel Aviv. Sospesi come dentro un sogno indesiderato, la madre e l’amante cercano di tenere in vita Arièl come un passero prematuro, nelle mani a coppa riscaldando il ricordo rachitico troppo presto caduto.

Vieni tu giorno nella notte è, per molti versi, figlio de Le fate ignoranti di Ӧzpetek e de L’amante di Yehoshua. Dal primo ha preso l’omosessualità ignorata e scoperta solo dopo la tragedia, le tante domande che ci si pone sul corpo del defunto amato, sulle troppe cose che di lui si ignorano; come il secondo invece questo romanzo indaga la possibilità di convivenza tra arabi e ebrei, scoprendo che la striscia di Gaza è una linea del destino del tutto valicabile e non definitiva. Poi il libro della Leone, come tutti i figli, va per strade sue. Se sia all’altezza dei più celebri genitori non è giusto chiederlo, non lo è mai.

La ricerca di somiglianze serve a tracciare confini, a mappare riferimenti, non a creare confronti stucchevoli.

Questo libro ha una sua personalità, Cinzia Leone il suo stile e chi ha amato quel film o l’altro romanzo, anche questo lo potrà amare.

Pierangelo Consoli

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Cinzia Leone, Vieni tu giorno nella notte, Mondadori 2023, Pp.420, Euro 20.

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