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Claire Etcherelli anteprima. Élise o la vera vita

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Élise o la vera vita” di Claire Etcherelli (L’Orma Editore, 2024 pp. 264 € 19.00), nella traduzione dal francese di Anna Scalpelli, esce nelle librerie il 7 giugno. Il romanzo segue l’orma autobiografica della scrittrice ed ex operaia francese Claire Etcherelli e accompagna il crudele e inquieto destino dei personaggi nelle viscere conflittuali della guerra algerina in Francia, del colonialismo europeo. L’autrice descrive in maniera molto dettagliata il clima, nella percezione di una resistenza per immagini evocative, documenta l’evoluzione degli scenari, le dinamiche intraprendenti della ribellione, la lunga e devastante ostilità contesa tra memoria collettiva e attualità, denuncia l’ondata violenta e feroce di razzismo, ambientando la cronaca di oppressione e persecuzione nello sgomento della discriminazione, nel drammatico contesto di rivendicazione, nel complesso processo d’identità e di appartenenza storica. Trasporta il lettore nella lucida riflessione intorno al mondo alienato del lavoro, nell’inconsapevole prigione della fabbrica, dipinge il quadro oggettivo di una realtà sociale, scarna e brutale, immersa nella rappresentazione fedele dell’inesorabile ingiustizia e dell’implacabile disuguaglianza comunitaria, di una classe operaia espropriata della propria dignità, nell’estraneità e nella frustrazione. Claire Etcherelli comunica, con profonda e partecipe attenzione, la testimonianza letteraria di una verità quotidiana che ha segnato indissolubilmente gli eventi narrati, rileva la condizione emotiva di contrarietà nei confronti della comunità straniera, annulla la solidarietà e accusa la cultura del sospetto e della circospezione nata tra la popolazione algerina e quella francese. Cerca, nell’evocativo strumento di realizzazione personale, il suo rifugio nella scrittura, riferendo con purezza e semplicità l’essenzialità delle circostanze, attraversa la bellezza autentica di un amore, quello tra la francese Élise e l’operaio algerino Arezki, alimentato dalla segretezza dello scalpore e dal romantico coraggio dei sentimenti, dalla disillusione e dalla speranza. Claire Etcherelli consegna le scelte dirompenti e laceranti di una donna come l’esempio universale di una umanità in lotta che deraglia lo svolgimento etico e ideale del mondo tra rivendicazione e rassegnazione. Il romanzo racchiude una visione sociologica dell’universo culturale, combina la durezza e il disagio tra i soprusi di un’epoca e una storia d’amore contrastata, nell’invocazione inattesa e tormentosa ad affermare la libertà. La scrittura di Claire Etcherelli esprime la crudezza dolorosa e angosciante, non si adatta a un lieto fine, ma ripercorre l’inumana ed estenuante crudeltà della vicenda, il cui peso oscuro aleggia nell’inarrestabile scontro civile. La contemporaneità degli episodi pone l’attenzione sull’inquietante ripercussione della tensione, sugli insostenibili e irragionevoli bersagli dell’odio. Claire Etcherelli delinea la robustezza e la validità inimitabile delle parole, facendo emergere il messaggio di un valore unanime, contro l’offesa e la prevaricazione, animando la funzione sensibile della forza, pronta a riaccendere la sfida contro gli ostacoli. Un libro commovente che concentra gli strappi della sofferenza, la condanna della indegna condizione umana, sigilla la desolazione inesorabile e afflitta in ogni tentativo contro la disperazione verso la volontà di ribellione. Una sincera e intima difesa alla vita vera, svanita nella monotonia sfuggente dell’esistenza, tra slanci di passione e delusione, sconforto e fiducia, intensa nostalgia delle attese.

Rita Bompadre

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Quella sera Arezki non andò via prima della fine del turno. Quando mi vide sistemare la cartellina mi passò di fianco e mormorò: «A tra poco, l’aspetto».

Scendemmo a porte des Lilas, come la volta precedente. Il tragitto mi era sembrato lungo. Ci addentrammo nell’ombra di rue des Glaïeuls.

«Facciamo prima quattro passi?» chiese Arezki.

Non avevo una bella sensazione.

Era un vicolo poco illuminato. Arezki indossava una giacca, aveva le mani in tasca e il collo infossato nelle spalle; io stringevo la borsetta contro l’anca. Camminavamo

lentamente. Era più alto di me di venti centimetri. Aspettavo che fosse lui a parlare per primo. Cominciò con frasi di circostanza. Il freddo, l’inverno, il piacere di uscire dalla fabbrica. Risposi laconica.

«L’altra sera» fece «le ho detto che era il mio compleanno. Ma in realtà sono nato a luglio.»

«Ah sì?»

«Sì. Volevo dirglielo. Dopo aver parlato con lei mi sono pentito di averle detto una bugia.»

«Allora perché l’ha fatto?»

Arezki fece spallucce.

«Così. Per essere sicuro che accettasse l’invito.»

Eravamo arrivati all’angolo della strada. Si fermò un momento e, non sapendo quale

direzione prendere, tornammo verso boulevard Sérurier.

«Non si preoccupi» continuai. «Era giù di morale e voleva un po’ di compagnia. Non ha nulla di cui scusarsi.»

«Era giusto così. Comunque, le sto facendo fare tardi, avrà altri impegni. Camminare la notte, al freddo…»

Gli dissi che invece mi faceva molto piacere. Ebbi l’impressione che una volta giunti in fondo alla strada mi avrebbe salutata. Guardavo l’enorme viale, e l’ombra tutto intorno, la gente che rincasava a coppie, gli uomini con il pane e le bottiglie: erano

persone che sapevano dove andare, nelle loro case, insieme, e che avrebbero prolungato la gioia di parlarsi per tutto il tempo che desideravano.

«Pensavo che mi credesse una noiosa chiacchierona. È dall’altra sera che mi tiene il broncio.»

«Io?» si sorprese, poi mi guardò sorridendo, cosa che non gli capitava quasi mai. «Non saprei come parlarle durante il lavoro. E poi… non vorrei procurarle delle noie. Se ci vedessero conversare, uscire insieme…»

Eravamo arrivati sul viale, le macchine si diradavano, correvano lungo il corridoio illuminato dal neon giallo.

Intuì che ero più distesa e scherzammo un po’ sul lavoro, sui colleghi, sulla catena.

«Com’è che parla così bene il francese?»

«Il caso» disse.

Porte de Pantin, la fermata: ci arrivammo senza che me ne accorgessi. Dunque era il momento di lasciarci. L’autobus passò subito. Arezki mi sistemò il bavero del cappotto, e salii. Con la manica della giacca strofinai il finestrino appannato e lo vidi

che guardava a destra e a sinistra prima di attraversare.

O laghi assopiti, sentieri fioriti, sottoboschi ammantati di felci, campi di grano dove

più bionda delle spighe dorate l’amata attende, ruscelli lungo i quali camminare in due. Vecchi sogni svaniti, sepolti, ma non ancora morti. Nella mia realtà attuale ci sono: porte des Lilas, la discesa verso Pré-Saint-Gervais, l’orizzonte con gli ultimi fumi delle fabbriche che si dissipano lenti, la steppa della periferia inaridita dal freddo e dall’aria inquinata, il viale quasi deserto con le macchine che sfiorano i

marciapiedi e, al mio fianco, un uomo col quale per la terza volta mi ritrovo a vagare

come se ad attenderci ci fosse da qualche parte il paradiso.

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