Arriva da Prospero Editore Cercando di afferrare il vento, l’autobiografia della scrittrice ebrea tedesca Claire Goll (1890-1977), con la cura di Dario Borso. Pacifista e tendenzialmente spirito ribelle e irriverente, Claire Goll visse nella neutrale svizzera durante la Grande Guerra, frequentò gli ambienti letterari di Berlino e di Zurigo legati alle avanguardie. Conobbe Tristan Tzara, James Joyce, Carl Gustav Jung, ed entrò in contatto con Pablo Picasso, Salvador Dalì e gli ambienti artistici legati al Surrealismo. Ebbe una sotoria d’amore con Rainer Maria Rilke, sposando in seguito Yvan Goll.
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Ho conosciuto grandi uomini, perfino dei geni: Joyce, Malraux, Saint-John Perse, Albert Einstein, Henry Miller, Picasso, Chagall, Majakovskij, Rainer Maria Rilke, Montherlant, Cocteau, Dalí, Jung, Antonin Artaud, Lehmbruck, Brancusi… I loro tratti dominanti furono quasi sempre un fanatismo agghiacciante e la chiusura. Satie stesso, con la sua povertà, la sua dolcezza, la sua ironia, si sottraeva ad ogni calore. Abbottonato, lo è rimasto fino alla camerata dell’Hôpital Saint-Joseph, dove dimenandosi nel suo letto di morte urlava: “La lettera, ma dov’è finita la lettera…”. E lui, che in vita sua non aveva mai aperto una busta, gettava via le coperte e rovesciava le flebo per mettere mano a quella misteriosa missiva. Fu il suo ultimo giro di chiave, che chiuse per sempre ogni comunicazione.
Tra i grandi nessuno era bloccato come Joyce. Un pesce polare? Un gambero con carapace d’ostrica? Rispetto troppo gli animali, siano pure meduse o molluschi, per compararli a questa mummia impagliata, a questa scorza senza linfa né calore, a questo frutto secco di Joyce. Dal punto di vista umano, il fiasco più funebre della creazione, anche se conta tra i grandi successi della letteratura. L’ho detestato, ma senza porlo comunque al livello d’esecrazione di mia madre1, che odio al di là della sua sinistra agonia nei campi di concentramento.
Ho amato alcuni uomini e molti più hanno amato me, ma è solo a settantasei anni che ho conosciuto il mio primo orgasmo. Malgrado le mie avventure e le mie storie, ho dovuto attendere che a quell’età un ragazzo di vent’anni m’insegnasse che una donna può fare all’amore altrimenti che sotto il maschio nella posizione succube dell’animale. Non mi lamento. A dispetto dell’anno del gentil sesso che si conclude contemporaneamente all’anno santo, a dispetto del Movimento di Liberazione delle Donne2 continuo a sostenere che la donna è un essere inferiore e che non sarà mai uguale all’uomo.
Il mio problema non è abbellire o provocare, bensì consegnare la mia parte di esperienze e di certezze. Ma non si scappa a sé stessi né al tempo. Trent’anni fa nei miei scritti mettevo più passione, cinquant’anni fa più speranza o ingenuità. Oggi so che non c’è nulla da aspettarsi dall’uomo e dalla sua storia. A seconda delle circostanze sarà crudele o generoso, avaro o prodigo, rinnegherà la sua donna o deruberà i suoi amici. Il più dolce degli sposi può benissimo coprire di baci i suoi bimbi prima di bombardare quelli di un paese vicino. E ciò nel migliore dei casi, perché ci sono esseri radicalmente perversi che mai nessuna situazione intenerirà: mia madre.
Libera da ogni illusione, non più confondendo valore letterario e valore umano, posso gettare uno sguardo freddo sulla mia epoca. Ma l’età, lungi dal chiarire i singoli episodi, li sovraccarica soltanto. A ottantacinque anni si vede la vita attraverso i due capi del binocolo. S’incontrano amici, e poi ci troviamo davanti uno dei loro figli che potrebbe essere il padre di quelli che abbiamo conosciuto. Tra scolari recitavamo fino all’ebbrezza i versi di Rainer Maria Rilke ma oggi, malgrado la passione che mi ha gettato ai suoi piedi, la sua cerebralità affettata e il suo romanticismo troppo influenzato da Hölderlin hanno attenuato la mia esaltazione giovanile. E Karl Liebknecht, l’eroe rivoluzionario tedesco i cui articoli mi facevano scendere in strada? Quindici anni dopo l’assassinio, a Parigi sua nuora mi massaggiava pancia e sedere3.
Come per un romanzo di cui si conosce la fine, l’esistenza si lascia leggere solo al secondo grado. Da una parte rivedo Else Lasker-Schüler raggiante, adulata regina di Berlino. La riconoscevano per strada e nessuno metteva in dubbio la sua supremazia poetica. Dominando gli ammiratori, gioiva della sua gloria con noncuranza altera. Un suo sguardo faceva cadere le barriere, con un sorriso colmava i desideri.
Era l’eroina di tutta una generazione, e ciascuna delle sue pubblicazioni ne estendeva la notorietà. Statua vivente, il suo piedistallo sembrava sfidare il tempo. Però possiedo la sua maschera mortuaria: su un pezzetto di gesso si leggono tutte le delusioni e i dispiaceri. Uno sconforto da spezzare l’anima. Ogni ruga rivolge una terribile accusa contro l’umanità. Colei che aveva cantato Gerusalemme nelle sue poesie, dovette fuggire un giorno fino alla Terra promessa. Laggiù non era né poetessa né donna celebre. Nient’altro che un’emigrante tra altri. Una vecchietta. Ogni giorno arrecò la sua parte di miseria e aumentò la sua amarezza. La grande Else Lasker-Schüler morì sola, ignorata da tutti.
Il tempo vissuto non corrisponde alla prospettiva del ricordo, né alla camera oscura della Storia. Se sostengo che nel 1917 in Svizzera Dada non esisteva, i professori mi opporranno Arp o Tristan Tzara. La loro verità poggia sul capitolo chiuso, sull’opera terminata. Ma ciò non mi impedisce di affermare che al tempo del mio soggiorno a Zurigo c’erano solo dei debuttanti dadaisti. Noi tutti volevamo appassionatamente essere poeti, pittori, scrittori, ma non eravamo sicuri di aver trovato il modo di tradurre le nostre intenzioni. Quadri, libri e manifesti erano dei tentativi, delle scommesse. Ciascuno voleva rompere il vincolo dell’estetica, scuotere il peso della tradizione, lottare contro la menzogna dei libri superflui, ma non ci sarebbe mai venuto in mente di considerare le nostre opere come realizzazioni definitive degne del museo o della biblioteca dell’avvenire.
1 Malwine Aischmann (1865-1942), figlia del banchiere Ernst Fürther.
2 Il MLF francese si formò nel 1970 come coagulo di iniziative femministe autonome. Il 1975 fu indetto Anno Internazionale delle Donne dall’ONU e Anno Santo (venticinquesimo Giubileo) da Paolo VI.
3 Herta Goldstein (1904-2000), nel 1933 emigrata con Robert Liebknecht a Parigi, dove grazie al diploma di fisioterapista mantenne la famiglia.