Stamattina mi sono svegliato troppo presto (letture nefaste nella notte) con in mente il terzo capitolo di “La democrazia in America” (che bisogna rileggere entro la settimana) che si intitola “La libertà di stampa negli stati Uniti”, scrive de Tocqueville:
«Confesso di non sentire per la libertà di stampa quell’amore completo e istantaneo che si prova per le cose sovranamente buone per natura. La amo assai più per la considerazione dei mali che essa impedisce che dei beni che produce. Se qualcuno mi mostrasse, fra l’indipendenza completa e l’intero asservimento del pensiero, una via intermedia in cui mi fosse possibile restare, forse mi ci fermerei, ma chi mai potrà scoprire questa posizione intermedia? Voi partite dalla licenza della stampa e volete giungere all’ordine: che cosa fate? Sottoponete prima gli scrittori ai giurati ma, se i giurati assolvono, quella che prima era soltanto l’opinione di un uomo isolato diviene l’opinione del paese. Avete dunque fatto troppo e insieme troppo poco; bisogna ancora andare avanti. Sottoponete allora gli autori a magistrati permanenti, ma questi giudici sono pure obbligati ad ascoltarli prima di condannare: allora quello che si temeva di confessare nel libro viene proclamato impunemente in tribunale, ciò che si era detto oscuramente in uno scritto viene così ripetuto in mille altri. L’espressione è, se così può dirsi, la forma esteriore del pensiero, ma non il pensiero stesso: i tribunali arrestano il corpo ma l’anima sfugge loro…»
Ora, Alexis de Tocqueville aveva 30 anni nel 1835 quando pubbicò la prima parte di quest’opera capitale e 35 quando uscì l’edizione completa. Tutto questo per dire che quel genio di Altan ha ragione: con gli anni mi vengono in mente idee che non condivido. Ma apprezzo assaissimo.