Questa settimana per Le Tre Domande del Libraio incontriamo Michele Orti Manara che da venerdì 19 gennaio è tornato in libreria con un libri pronto a lasciare il segno: “Cose da fare per farsi del male”, primo titolo del 2024 della casa editrice Giulio Perrone Editore. Dopo Il vizio di smettere, uscito per Racconti edizioni nel 2018, il romanzo Consolazione, uscito per Rizzoli nel 2022, e il racconto L’odio migliore per la Collana Tetra del 2023, Michele Orti Manara riprende il genere racconto, tanto congeniale a lui.
Michele, ci vuoi raccontare la genesi di questa raccolta, come sei arrivato alla casa editrice di Giulio Perrone e soprattutto se ci porti nell’officina di lavorazione del libro?
La raccolta ha avuto una gestazione abbastanza lunga, se consideriamo che un racconto risale al 2019, uno è una riscrittura di una storia ancora precedente… Qualche tempo fa, provando a fare ordine – principalmente nella mia testa – ho ricostruito tutte le varie versioni, i vari indici, gli stravolgimenti, le aggiunte le riscritture le cancellazioni. Sapevo che era una storia abbastanza complicata, ma non mi ero reso conto di quanto.
Forse questo movimento continuo, questo cambiare pelle un sacco di volte, è un po’ una caratteristica peculiare delle raccolte di racconti, perlomeno di quelle che non nascono come “unitarie” fin dal principio.
Alcune versioni precedenti della raccolta, parecchio più brevi di quella attuale, si sono anche prese un buon numero di rifiuti da parte degli editori (e mi sa che avevano ragione; forse mancava un po’ di coesione, di certo mancava qualcosa).
Quando finalmente la raccolta ha trovato una sua fisionomia e un suo equilibrio, l’ho proposta ad Antonio Esposito e a Giulio Perrone. Antonio conosceva le cose che avevo scritto in passato, gli erano piaciute, e insomma eccoci qua. Una volta deciso che avremmo fatto il libro ho scritto un altro paio di racconti, e abbiamo aggiunto anche quelli.
Uno dei due è l’ultimo del libro, Cervello di paglia. Mi pare che in qualche modo chiuda il discorso, che cambi un po’ il sapore che ti resta in bocca quando arrivi alla fine. Lo rende un po’ più amaro – e già prima non è che fosse proprio dolcissimo, temo.
Michele ci eravamo lasciati lo scorso anno in una Diretta on-line su L’odio migliore, il magnifico racconto lungo uscito per la Collana curata da Roberto Venturini per Alter Ego. Lo stesso andamento e le stesse atmosfere le ritroviamo in questi dodici racconti che, tra reminiscenze di un’innocenza perduta e scene di vita apparentemente quotidiana, raccontano diversi modi per farsi del male nella vita. Vogliamo raccontare nel dettaglio, per i nostri lettori di Satisfiction, la carrellata di personaggi spezzati e tormentati e le situazioni che animano alcune di queste narrazioni?
Dunque, partirei dal titolo, da quel “farsi del male” che accomuna molti dei personaggi. Non parliamo di autolesionismo fisico, naturalmente, ma di autosabotaggi, mancate accettazioni di sé, pensieri ossessivi, coazioni a ripetere, insomma di cose che la stramba specie di cui facciamo parte si infligge da sola. Ho sempre pensato che quello che più di tutto ci differenzia dagli animali è la capacità di mentire (perfino raccontare storie, se ci pensi, è una versione sofisticata di menzogna). Ma anche la tendenza a renderci la vita difficile mi sembra una caratteristica prettamente umana. Come in quel meme del tizio che va in bicicletta e a un certo punto, senza motivo, infila un bastone tra i raggi della ruota e si cappotta.
Se scendiamo nel dettaglio dei protagonisti – e spero che l’elenco non sia troppo lungo e noioso – nei racconti troviamo: la figlia di un regista di film di serie b che cerca di fare i conti con il ricordo del padre; i faticosi tentativi di un giovane uomo di contrastare alcuni impulsi violenti; una donna appena rimasta vedova che trova un misterioso cane nel giardino di casa; un padre di famiglia che scopre qualcosa di molto delicato sulla babysitter dei suoi figli; un altro padre che fatica ad accettare la fama del figlio musicista; un uomo che di mestiere svuota cantine e che si trova davanti a un dilemma morale; una moglie che si prende cura di una coppia di pappagallini e intanto si macera nella gelosia; le ultime, movimentatissime ore di libertà di un ragazzo che sta per partire per la naja; un amore morboso che esiste solo nella testa del gestore di un bar; tre fratelli che vegliano il cadavere della madre; un bambino che è convinto stiano arrivando gli alieni; due ragazzini che abitano da soli in una grande casa, mentre fuori dalla finestra c’è qualcosa di molto simile all’apocalisse. Mi pare sia tutto.
Michele mi piacerebbe concludere con una riflessione sulla narrazione breve. Un genere molto amato oltreoceano e sulla carta perfetto per i nostri tempi – caratterizzati da una comunicazione frenetica e una fruizione immediata – eppure inspiegabilmente ancora messo in disparte in questo paese, dove, da libraio, ti posso assicurare che i racconti si promuovono poco e continuano a giocare un ruolo di secondo piano nella scacchiera editoriale. Sembra quasi che ai lettori italiani sia stata imposta dai grandi gruppi solo una forma di lettura più immersiva. Come ti spieghi questo pregiudizio sulla narrazione breve e in seconda battuta cosa, secondo te, bisognerebbe fare per attuare un cambio di sguardo, introducendo un passo diverso rispetto alla narrazione lunga?
È una questione complessa, questa, su cui non credo di avere molte certezze. Però qualche supposizione la possiamo fare. Partiamo dai lettori: è molto probabile – per certi versi quasi fisiologico – che chi legge solo uno o due libri all’anno preferisca i romanzi. L’immersione prolungata, diciamo così. Per trovare estimatori dei racconti dobbiamo quindi cercare tra lettori forti, o fortissimi. La platea si riduce parecchio, e di conseguenza anche le vendite. A questo punto, se sei un autore che scrive per vendere, puntare sul romanzo è una scelta che potenzialmente paga di più (e la stessa cosa credo valga per un editore). Se però quello che ti spinge a scrivere è altro – e se, cosa non scontata, la forma breve ti stimola – forse vale la pena di non pensare al resto, alle questioni extraletterarie e/o di mercato, e dedicarti a quello che ti piace scrivere. Cosa che in effetti e per fortuna accade, perché nonostante tutto le raccolte di racconti continuano a uscire.
Hai presente la storiella – credo scientificamente falsa, ma non importa – del calabrone che per la sua conformazione fisica in teoria non sarebbe adatto a volare, ma riesce a farlo perché non lo sa? Ecco, mettiamola così: il racconto difficilmente avrà la spinta per arrivare in cima alle classifiche di vendita, o per vincere un premio tra quelli più in vista, solo che non lo sa (o forse: lo sa, ma se ne sbatte) e continua a volare. Basso, magari, ma vola. È bello testardo, il racconto.
Sul cosa fare per ottenere il cambio di sguardo di cui parli, proprio non saprei. Come detto, di raccolte in libreria ne escono di continuo. Qualche tempo fa mi ero messo a contarle: tutte quelle uscite in un anno, e solo prendendo in considerazione una quarantina di editori. Era un numero tutt’altro che trascurabile, più alto di quel che comunemente si pensa. In aggiunta ci sono molte riviste valide che pubblicano storie brevi, sia online che cartacee. Se uno ha fame di racconti, insomma, ha molti modi per sfamarsi. E se invece proprio gli sono indigesti, be’, pazienza. Non possiamo mica ingozzarlo a forza, no? Sarebbe poco elegante 🙂
Antonello Saiz