Una raccolta di scritti – brevi e meno – pare all’inizio senza soluzione di continuità, ma, a ben vedere, con uno scopo ben preciso: contribuire a colorare il mondo, di rosso e di nerazzurro!
La militanza politica vissuta non come succedanea di quella sportiva (oppure, scambiate l’ordine degli addendi e vedrete che il risultato – tristissimo – non cambierà) bensì come altra faccia di una medaglia perfettamente coerente al tutto più intimo!
Perché se è vero che uno stile può nascere associando al termine il nominativo di qualsiasi squadra, anche se è un dato di fatto che quello Juventus sia quello di cui il fruitore standard di calcio abbia più sentito parlare, sicuramente per l’onnipresenza sulle reti televisive – al tempo – dell’Avvocato col suo codazzo, lo è pure che lo stile Inter è quello che più si distingue, il più riconoscibile anche fuori dal campo.
Con tutto quello che dei nerazzurri ironicamente (!) si dice, in primis della loro supposta tristezza: ad avere coniato il termine intertristi sono stati alcuni “cugini” rossoneri, probabilmente non ancora ripresisi del tutto da quella scissione al vertice del 9 marzo 1908, data d’inizio dell’assalto al cielo da parte dell’F.C. Internazionale Milano. E però quella nerazzurra non è banalmente tristezza, ma compartecipazione emotiva alle vicende non solo calcistiche, ma anche, soprattutto, umane della Società (in generale e in particolare) e di chi ne fa parte, così come l’etimologia del termine (derivante dal greco pàthos, a sua volta risalente al verbo pathèin) richiede: compartecipazione garantita, ovviamente, anche per i risvolti positivi, non solo in quelli per cui ci sono calde e copiose lacrime da versare. Ma poi, ognuno fa quel che può: non potendo vantare nel nostro palmarès alcuna discesa nella serie inferiore (così come hanno invece la possibilità di fare zebrati e diavoletti), ognuno si sceglie le tristezze che più gli si confanno.
L’interismo quale forza propulsiva per il riscatto del Terzo Mondo oppresso dalla piovra capitalista: quante le bandiere dell’Internazionale Milano provenienti da quelle zone? Ronaldo il fenomeno (vabè, l’unico Ronaldo effettivo, non c’è bisogno di precisare…), Ivan Zamorano, el chino Recoba, capitan Zanetti e poi – figlio involontario di uno dei colonialismi più feroci di cui si abbia notizia – Romelu Lukaku, tra le ultime croce e delizia nerazzurre. Come dimenticare poi la guida proletaria per eccellenza dalla panchina, el hombre verctical Hector Cuper? E quanti altri in futuro ne giungeranno grazie a Inter Campus, esempio princeps del volontariato anticapitalista e scevro da qualsiasi intento elemosiniero? Con queste poche, efficaci parole lo descrive l’autore Cristiano Marrella – interista, comunista e avvocato, e dunque personalmente guidato da una particolare Trinità, formata da Cuper, Stalin e Peppino Prisco: “Non esportiamo nulla, non essendo nostro compito quello d’essere ingerenti nell’altrui sfera umana e politica, perché noi – in quanto interisti in generale e in quanto Interisti Stalinisti in particolare – abbiamo il dovere morale di promuovere l’autodeterminazione dei popoli secondo le proprie regole di vita e non secondo le nostre”. Altrimenti detta: le esportazioni di “democrazia” le lasciamo al cosiddetto “Primo Mondo” arrogantemente convinto di esserlo, il quale ha il suo tentacolo economico nel liberalcapitalismo, quello politico negli USA, mentre quello sportivo gioca le partite in casa all’Allianz Stadium (con buona pace dei tentativi di ricostruirsi una verginità sproloquiando della “Juve operaia” degli anni Sessanta/Settanta).
Un libro “assolutamente satirico […], assolutamente serio” dove i Presidenti (specialmente uno, che di nome fa Massimo, come ciò che ha dato all’Inter, nella gioia e nel dolore), i tecnici, i giocatori non vengono osannati per evidenziarne la distanza dal popolo, ma lo sono proprio perché di quel popolo – come classe sociale o sentimentalmente – hanno sempre fatto parte, continueranno a farne e mai hanno smesso di portarne alto il nome dai vertici nerazzurri in cui si sono trovati!
E tra una sofferta concessione alla realpolitik che risponde al nome di Antonio Conte, uomo-Juventus al quale va comunque dato il merito di aver ritinto di nerazzurro i cieli d’Italia dopo una decennale assenza dai vertici, risalenti questi al mitologico Triplete made in Mourinho, guida dell’Internazionale di Milano così come Mao lo è stato della Lunga Marcia e dichiarazioni d’affetto – sparse e sentitissime – per Gigi Simoni e Luciano Spalletti soprattutto ma pure per uomini, prima che calciatori che mai hanno vestito il nerazzurro ma appartengono di diritto al calcio popolare come Maradona e il dottor Socrates, spazio anche per la revisione testuale (beninteso: giammai ideologica) di estrapolati da classici del socialismo e del pensiero libero di ogni tempo e luogo: perché, sostituendo o associando a “socialismo”, “libertà”, “diritti”, “eguaglianza” e consimili il termine “interismo”, il risultato finale non cambia, anzi, ne acquisisce in completezza.
“Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro dell’Interismo”!
Alberto De Marchi