T. Singer è lo Stoner scandinavo? Riesce facile l’analogia perché anche in questo pregevole romanzo del pluripremiato Solstad si narra di un uomo senza storia, che però, a differenza dell’eroe di Williams, possiede oggettivamente meno qualità ed è rappresentato in modo meno accattivante.
Diversa anche la prospettazione: Solstad usa la lente dell’entomologo, la vita di Singer è descritta al rallentatore, i fatti davvero rilevanti sono pochi.
Stoner vuole vivere ed è tragicamente positivo; Singer vuole emarginarsi dalla vita, si nasconde dietro le quinte, non vuole misurarsi, è il “bibliotecario” (più una sorta di Bartleby, forse) senza ambizioni, se non quella della diligenza massima nell’espletamento dei suoi compiti.
Tutto ciò fino a quando le vicende dell’esistenza lo “obbligano” (qui l’imperativo morale che avverte gli attribuisce uno spessore etico prima sconosciuto) a prendersi cura della figliastra.
Questa svolta intensifica le domande esistenziali che il protagonista si pone, ma non ne amplia la gamma delle risposte.
L’uomo rimane fedele a se stesso e alla sua monocorde personalità (gli unici rischi che si assume sono legati al gioco del totocalcio che ogni tanto tenta, per alimentare le risorse economiche).
È un romanzo originale, di rinuncia, di paralisi esistenziale.
Umberto Stradella
Recensione al libro T. Singer di Dag Solstad, Iperborea, traduzione di Maria Valeria D’Avino, postfazione di Goffredo Fofi, 2019, pagg. 256, euro 16,50.