Daniele Del Giudice, intervistato da Roberto Ferrucci (il Reportage n. 27, luglio-settembre 2016), a proposito del suo racconto Nel museo di Reims dice:
“È la storia di Barnaba, un ex ufficiale di Marina che sta perdendo la vista per una malattia mal curata. Avrebbe voluto vedere mari e paesaggi che non conosceva, ma la prima a cadere è stata proprio la vista da lontano, e così ha deciso di conservare come ultime immagini quelle di alcuni quadri che si trovano nei musei d’Europa. Va a Reims, per vedere il Marat assassiné di David. La sua vista è però ormai compromessa. Una ragazza, Anne, se ne accorge e decide di aiutarlo, di raccontargli i quadri, ma nel farlo, mente. Barnaba se ne accorge e all’inizio è umiliato, offeso, non vorrebbe mai che si trattasse di un gesto di bontà. Poi però capisce e cerca di entrare nella malattia di Anne, perché in fondo è di due malattie di cui si tratta in questo racconto: da una parte quella di Barnaba, che è una malattia evidente, fisica, dall’altra quella di Anne che è invece più invisibile, anzi, contornata da bellezza, da gaiezza, ma forse proprio per questo ben più radicale. In questo modo si compone questo racconto che è una storia d’amore ma anche la storia di una apertura possibile attraverso il dolore, attraverso l’attenzione profonda a dov’è l’altro e che cosa chiede e, quindi, un amore inteso come assunzione della responsabilità del destino altrui”.