In lui tutto è stile e misurata cautela. Si direbbe che scriva di getto, che racconti la sua vita come se la ricorda, ma non è vero. Poiché poeta, il patto che Daniele Mencarelli fa con il suo lettore è diverso, è un patto sulla parola.
Avevo letto Sempre tornare, edito da Mondadori, per fargli un’intervista. In quella sede, osservai che Daniele fosse come una pallottola che ferisce tutto quello che tocca.
Alla seconda lettura, l’impressione mi è rimasta e quando ho avuto la possibilità d’incontrarlo, ho capito che quelle ferite – che il lettore avverte – sono soprattutto le sue, del Daniele adulto, e le porta ancora addosso nonostante gli anni. Il suo volto è sereno, ma i suoi occhi tradiscono le cicatrici di tempeste precedenti. Ne ha ricavato una forma di saggezza che lo avvicina a cose molto semplici, vicine. Oggi è felice di passeggiare con i suoi figli, racconta, di accarezzare i cani che incontra, di parlare con i loro padroni. Ammette di sentire sempre incombente la possibilità di cadere vittima di eccessi umorali e di esserne spaventato. Esistono ancora fantasmi che abitano quest’uomo realizzato, ombre che non chiama per nome ma di cui ammette l’esistenza nel tentativo d’esorcizzarle.
Ho scoperto che pensa molto agli incidenti stradali, specialmente a quelli relativi ai motorini. Ne è talmente ossessionato che ci torna diverse volte durante l’intervista e ammette, persino, di volerci scrivere qualcosa. Presumo che il fascino perverso che gli derivi dal concetto di incidente, sia la fatalità, l’imprevedibilità che sconvolge una vita per sempre.
Mentre lo sentivo parlare, mi sono perso. Ricordavo che tutti i libri sono un libro solo, ci pensavo. È una massima di Borges, così come il fatto che sono i libri a venire da noi e mai il contrario.
Per questo, mentre leggevo Sempre tornare e dopo, quando sentivo il suo autore parlarne, la mente girava intorno a qualcosa che non mi riusciva d’afferrare.
Il libro tratta del giovane Daniele, non ancora maggiorenne che, negli anni novanta, decide di tornare a casa a piedi. Si trova in Romagna con gli amici e li molla. Si mette in cammino verso Roma senza soldi e senza documenti. La transumanza diventa un’opportunità, più che una sfida. Daniele è timido, schivo e ha molte domande. Quando guarda il cielo, lo fa con quella spiritualità priva di Dio che ha portato al manicomio molti santi.
Lungo la strada, facendo l’autostop, incontra la gente e si costringe ad aprirsi perché bisognoso di tutto. Senza soldi, senza una direzione, Daniele si affida.
Per questo, la sua, è certamente una storia sulla strada, eppure, quando ci pensavo, mi accorgevo di sbagliare i riferimenti. Daniele non assomiglia al Candido di Voltaire, le loro personalità sono molto diverse. Il suo cammino non assomiglia a quello di Kerouac e dei suoi amici Sulla strada, ugualmente fragili, senza soldi e in cerca di risposte a domande altissime. Ho cercato in tutti gli Altri libertini di Tondelli, ma il nostro protagonista non ha la loro sfrontatezza e i suoi demoni sono più gentili.
Avevo nella testa qualcosa e non lo capivo. Poi una sera, mentre mettevo a letto mia figlia di due anni, ho preso il Piccolo Principe di Saint-Exupery. Per lei abbiamo preso una di quelle edizioni Pop-up, così è più facile spiegarle la storia. La cosa più interessante è il suo sguardo sulle immagini, quello che lei coglie e a me sfugge. Mentre le figure prendevano forma dalle pagine, mentre venivamo accompagnati per l’ennesima volta sui mondi di Saint-Exupery, ho capito che quello che racconta Mencarelli non è un viaggio, ma un pellegrinaggio. Ogni auto che lui visita è un pianeta abitato da una persona sola. Il re vestito di porpora e d’ermellino, mi è apparso simile a Enrico, rinchiuso nella sua vita di lusso, sovrano annoiato e malinconico. E poi il bevitore che beve per dimenticare di avere vergogna di bere e penso al Veleno di Mencarelli bloccato nella vergogna del ricordo ossessionante. Potrei continuare e il gioco dei paralleli sarebbe interessante, ma mi fermo alla rosa che in Sempre tornare è Emma che cerca di mettersi in contatto con la madre defunta in viaggi tossici. Bellissima e inquieta, a lei Daniele dedica una poesia che si porta appresso per tutto il viaggio, come un segreto custodito e rivelato: l’essenziale è invisibile agli occhi e – non è difficile aggiungere – solo il cuore lo ricorda.
Pierangelo Consoli.
Daniele Mencarelli, Sempre tornare, Mondadori, 2021, pp. 326, euro 19.