Annarella: “Dimmi poi come è franato tutto, dove abbiamo sbagliato, dimmi perché non esiste il participio passato di splendere. Dimmi ogni cosa. Non dire una parola che non sia d’amore”.
Il peso della colpa: “Fa rumore la mia colpa che si fa strada nella stanza, mentre il comodino di fianco attesta la sua presenza con un trac-trac: sarà per il riscaldamento che dà un calore improvviso al legno gelido”.
Riflessioni sui tetti e la vita: “Che ne sappiamo dei tetti. Così poco, eppure gli chiediamo di garantire per noi. Ci ripariamo sotto i tetti. Conquistiamo l’ombra dei tetti”.
È in libreria Nemesi d’amore e di anarchia (Baldini + Castoldi 2024, pp. 144, € 15,00 a cura di Daniele Sanzone con postfazione di Laura Valente). Il libro è un’opera affascinante e innovativa che intreccia magistralmente letteratura e musica, creando un’esperienza multisensoriale unica. Si tratta di un vero e proprio “disco da leggere”, dove racconti e canzoni si fondono in un dialogo incessante e coinvolgente.
Gli ‘A67 (Daniele Sanzone: voce, Enzo Cangiano: chitarra, Gianluca Ciccarelli: basso, Mirko Del Gaudio: batteria) sono nati a Scampia come risposta a una realtà sociale complessa. Hanno costruito un’identità musicale originale, che dialoga con cinema e letteratura, intrecciando mondi espressivi diversi. Tra i riconoscimenti ricevuti: Premio SIAE (2004), Una Canzone per Amnesty (2006), e la Targa Tenco per il miglior album in dialetto con Jastemma (2022). Hanno calcato i principali palchi italiani, dal Concertone del Primo Maggio a Roma all’Arezzo Wave Festival, portando la loro musica oltreconfine in Brasile, Francia, Germania, Belgio e Grecia.
Nemesi d’amore e di anarchia è un progetto visionario e poliedrico, capace di adattarsi e brillare in mondi distinti, unendo musica e letteratura in un dialogo innovativo e sorprendente. Gli ‘A67, con questo lavoro, si sono spinti oltre i confini conosciuti, creando una sinergia unica che si riflette tanto nel disco quanto nella struttura del libro, diviso in due parti complementari: la prima racchiude i racconti di diversi scrittori, mentre la seconda presenta i testi in napoletano delle canzoni che li hanno ispirati, accompagnati da traduzioni italiane.
Nemesi (Betty Wrong, a cura di Elisabetta Sgarbi) è il sesto album della band di Scampia, un’opera che mescola il rock blues con incursioni rap e poetry slam. Registrato interamente a Parigi, presso lo Studio STAR de l’Université Paris-Saclay con la produzione di Elad Berliner, l’album vanta collaborazioni prestigiose: la cantante francese Séverine Seba, il sassofonista Giuseppe Giroffi, e i pianisti Filippo Fabbri ed Elisabetta Serio. Tra i dieci brani spicca una cover in napoletano di Annarella dei CCCP, reinterpretata con intensità.
Il titolo Nemesi non richiama la vendetta, ma il significato classico della giustizia riparatrice, incarnata dalla dea greca che cura le ferite del cuore. Questo concetto emerge anche dalla copertina, un’opera del maestro Francesco Clemente, che con il cuore rosso che gocciola sangue, cattura immediatamente l’essenza del progetto: una fusione di passione, sofferenza e bellezza artistica.
Un must per gli amanti della letteratura e della musica che cercano riflessioni profonde su temi universali. Un libro di percorsi estetici che racconta le mille vie della letteratura.
Ma è pure è un messaggio di lotta e rinascita tradotto in musica e parole che invita a esplorare le profondità del cuore umano e le dinamiche della mobilitazione culturale. Anche perché, come ricordava William S. Burroughs, “la cosa più pericolosa che un uomo possa fare è restare immobile”.
Carlo Tortarolo
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RADICI E ALI
Anna Maria Gehnyei
In un piccolo paese di campagna, c’era un ragazzo di nome Ibrah. Cresciuto in una famiglia modesta, Ibrah apprese fin da giovane il valore del duro lavoro e della perseveranza.
Tuttavia, dietro il suo sorriso gentile, si celava una storia di sacrificio e resilienza.
Ibrah si distingueva dagli altri ragazzi del paese per le sue ambizioni ardite. Aveva aspirazioni grandi, desiderava esplorare il mondo, immergersi in culture e cogliere ogni opportunità che gli si presentasse. Tuttavia, il sistema impose a Ibrah ostacoli inimmaginabili, ignorandone la cittadinanza.
La sua famiglia lottava ogni giorno per sostenere i propri cari nel paese d’origine, mentre i suoi obiettivi sembravano sempre più irraggiungibili.
Le parole feroci dei suoi coetanei lo tormentavano.
Lo chiamavano «diverso», «senza speranza». Ma Ibrah non si lasciava abbattere. Lavorava instancabilmente, studiava ogni sera dopo una giornata nei campi, determinato a trasformare la sua vita.
Tra queste sfide, Ibrah si interrogava:
«Dimmi chi sei, dimmi cosa vuoi» – Questa domanda lo faceva scavare oltre le apparenze, alla ricerca della sua vera essenza e dei suoi veri desideri. Si chiedeva quali fossero i valori e le aspirazioni che davvero lo guidavano.
«Dimmi di dove sei, dimmi chi sono» – Rifletteva sulle sue origini, sulle esperienze che lo avevano plasmato, che lo avevano portato a essere la persona che era. In questi momenti di introspezione, Ibrah cercava di definire la sua identità.
«Dimmi cosa fai, dimmi cosa sai» – Questa domanda lo spingeva a esplorare il suo percorso di crescita. Si interrogava sui suoi tesori e saperi trasmessi dalla storia familiare, cercando di comprendere come potesse utilizzarli al meglio nel mondo che lo circondava, un mondo che non lo vedeva.
Un giorno, Ibrah ebbe l’opportunità di trasferirsi in città, dove trovò lavoro. Nonostante le difficoltà, Ibrah non si arrese mai. Si alzava ogni mattina con il fuoco negli occhi, deciso a dimostrare a tutti e soprattutto a se stesso di cosa era capace.
Con il passare degli anni, Ibrah crebbe. Ebbe successo nel suo lavoro e viaggiò per l’Europa, imparando nuove lingue e facendo incontri che arricchirono il suo bagaglio di esperienze.
Ma lungo il suo cammino, Ibrah dovette affrontare pregiudizi
e stereotipi che mettevano in crisi la sua identità. Essere diverso dagli altri lo faceva sentire isolato, spesso chiedendosi se sarebbe mai stato accettato per ciò che era. Tuttavia, ogni sfida lo rendeva più forte, più risoluto a superare gli ostacoli.
L’ostacolo più grande per lui era quello di essere uno straniero nella sua stessa terra.
Un giorno, tornando al suo vecchio paese, Ibrah si ritrovò di fronte a quei ragazzi che una volta lo avevano deriso. Ma questa volta, non provò rancore né desiderio di vendetta.
Li guardò con compassione e disse loro: «Sono quello che sareste stati, se aveste avuto il coraggio di lottare per i vostri obiettivi».
Dimostrando così che non importa da dove vieni o quali ostacoli incontri lungo il cammino, ciò che conta davvero è la tenacia e la volontà di perseguire i propri sogni. Ibrah insegnò al suo paese che il vero valore di una persona risiede nel coraggio di essere se stessi, nonostante tutto.
Ispirato al brano Sì sicuro?
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© 2024 by Daniele Sanzone
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