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Danielle Evans anteprima. L’ufficio delle correzioni storiche

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Il libro esplora profonde tensioni razziali: “Da qualche parte c’è sempre un bianco che ha voglia di sfoggiare una parola straniera, o provare un piatto esotico, o comprare artigianato, ma nessuno vuole dare soldi ai neri. Non appena i bianchi hanno iniziato a pensare che erano più bravi dei neri a impersonare la cultura nera di città, game over”.

Danielle Evans è ampiamente acclamata per la sua voce intelligente e per le sue intuizioni penetranti sulle complesse relazioni umane. Ha pubblicato la raccolta di racconti Before You Suffocate Your Own Fool Self, per la quale ha vinto il PEN/Robert W. Bingham Award, lo Hurston/Wright Legacy Award e il Paterson Prize, ed è stata inclusa nella selezione dei migliori giovani scrittori della National Book Foundation. I suoi racconti sono comparsi in numerose raccolte e antologie, tra cui The Best American Short Stories.

Con la nuova raccolta di racconti, L’ufficio delle correzioni storiche, ora in libreria e tradotta da Assunta Martinese (Minimum fax 2023, pp. 24, € 18), Evans si concentra su momenti e relazioni specifiche nella vita dei suoi personaggi, disegnati con realismo e precisione per affrontare questioni più ampie legate a razza, cultura e storia.

Nella storia I bambini vanno su Giove, una giovane studentessa bianca si trova a dover reinventare la sua identità dopo che una sua foto in bikini con la bandiera dei confederati diventa virale, scatenando tensioni tra gli studenti neri del college. Nel racconto L’arcobaleno porta il sereno, una fotoreporter deve confrontarsi con i suoi demoni interiori mentre partecipa al matrimonio di un vecchio amico, un evento ricco di sorprese. I racconti che sono sei fanno da preambolo alla novella più importante che è L’ufficio delle correzioni storiche. Cassie una studiosa di colore di Washington lavora all’Istituto per la storia pubblica, un’agenzia federale creata per affrontare “la crisi contemporanea della verità”, viene coinvolta in un complesso mistero storico che attraversa le generazioni e mette a rischio il suo lavoro, la sua vita sentimentale e la sua più antica amicizia. Tra i pregi narrativi del racconto c’è il linguaggio veritiero dei personaggi, il ritmo meticoloso e la suspense.

Uno dei passaggi più potenti del libro esplora le percezioni del razzismo di una giovane ragazza nera: “Prima di Nick per anni avevo mangiato nei soliti tre ristoranti e bevuto nei soliti due bar perché mi risparmiava lo sfinimento di entrare in un posto nuovo e convincerli che ero degna di starci e che dovevano trattarmi con cortesia, salutare il personale con la mia voce da PhD, se necessario buttare lì il nome dell’università, lasciare mance troppo generose. Fu una rivelazione muovermi nel mondo con Nick, vedere quanta poca attenzione un uomo bianco doveva dedicare a simili performance, quante delle preoccupazioni su come lo vedeva la gente poteva dedicare alle frivolezze, quanto era facile per me essere considerata rispettabile al primo sguardo, solo per prossimità (…) quando ero con lui la domanda che mi ronzava in testa ogni volta che incontravo una nuova persona bianca – lo sa già che sono un essere umano? – si acquietava un po’, non perché potevo essere sicura della risposta ma perché potevo essere sicura che in sua presenza avrebbero perlomeno fatto finta.”

In definitiva, l’autrice racconta i problemi affrontati dai neri in America: l’invisibilità, il classismo, le tensioni legate all’identità multirazziale e il revisionismo storico dei bianchi.

Il libro spinge a riflettere sulle verità della storia americana, su chi può raccontarle e sul costo di mettere le cose in chiaro. La tensione dei dialoghi è perfetta, sia in ciò che viene detto che in ciò che è taciuto e il risultato è un libro coinvolgente e ricco di emozioni.

Carlo Tortarolo

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Quando Lyssa aveva sette anni la madre l’aveva portata a vedere il film in cui la sirenetta voleva le gambe, e alla fine Lyssa aveva scosso la testa e aveva detto, guardando dubbiosa il principe: Ma come ha fatto a lasciare la sua famiglia per quello lì?

Per anni quell’episodio aveva contribuito a consolidare l’opinione degli altri sul fatto che Lyssa fosse sentimentale o troppo sensibile, quando in realtà il punto era solo che sapeva riconoscere un pessimo affare. Tutto l’oceano, in cambio di un singolo uomo. Non che ne sapesse molto dell’oceano; Lyssa era nata in uno stato dell’entroterra, e a trent’anni la cosa più simile al mare che c’era nella sua vita era il lavoro al negozio di souvenir del Titanic. Non era un modo di dire: si trattava proprio di una replica del Titanic, con un mini-museo al livello inferiore, sebbene la maggior parte dei guadagni del locale provenissero da matrimoni e feste di compleanno che si tenevano ai piani superiori.

L’edificio a forma di nave era una creazione di fine anni Novanta, il giocattolino di un capitalista nel campo dei progetti di formazione che intendeva costruire un’attrazione accurata sul piano della ricostruzione storica e strabiliante su quello estetico. Voglio preservare la memoria storica, aveva detto al pubblico; voglio monetizzare il rinnovato interesse per i disastri, aveva detto agli investitori. Inizialmente voleva costruirlo a grandezza naturale, ma quel piano non era sopravvissuto alle stime preliminari dei costi. Rispetto al Titanic originale c’era solo un quarto delle stanze, la maggior parte delle quali non erano nemmeno arredate e venivano utilizzate come ripostigli (i letti su misura erano stati rivenduti durante l’ultima crisi economica).

Alla fine della stagione estiva una pop star di secondo rango aveva affittato l’intera struttura per girare un video musicale, bloccando le normali attività per tre giorni interi. Lyssa sperava di restarsene a casa, ma quando il regista era andato al Titanic a finalizzare i contratti si era fermato davanti alla vetrina del negozio, l’aveva fissata per un minuto e poi era entrato e aveva detto: «Tu… tu sei perfetta».

Lyssa aveva accettato di rimanere sul set per le riprese e aveva disdetto un appuntamento dal medico che aveva già rimandato due volte, facendosi mentalmente la ramanzina che le avrebbe fatto il dottore se fosse stato un uomo che risponde al telefono. Per tutto il pomeriggio la sua collega Mackenzie aveva vagato immusonita per la nave, cercando senza successo di entrare nel campo visivo del regista. Mackenzie a volte lavorava con lei al negozio di souvenir, ma solo ogni tanto. Quando c’era una festa Mackenzie indossava il costume di scena e impersonava la principessa di bordo. Lyssa non lavorava mai alle feste: l’unico che si era degnato di darle una motivazione (senza che lei l’avesse chiesta) era stato un supervisore, che aveva borbottato qualcosa a proposito dell’accuratezza storica, vale a dire niente principesse nere.

«Non possiamo certo rischiare che bambine di sei anni che vengono a prendere il tè sul Titanic si facciano un’idea sbagliata della storia», aveva detto Lyssa, con una faccia così seria che il supervisore non aveva notato il sarcasmo.

«Sarà perché vogliono un po’ di diversità», aveva detto Mackenzie quando il regista era andato via, e su diversità aveva fatto il segno delle virgolette con le dita, anche se era letteralmente la parola che voleva usare.

Il giorno dopo, in modo genuinamente conciliatorio trattandosi di Mackenzie, le aveva detto: «Non è che ti si vuole scopare?

Era carino, molto newyorkese. Scommetto che ti trova esotica».

Esotica mica tanto: il tema del video erano i mostri marini: tutti, comprese Lyssa e la pop star, sarebbero stati dipinti di verde e cosparsi di glitter e ripresi con delle gelatine sulle lenti che avrebbero creato l’illusione che tutti si trovassero sott’acqua. La pop star non voleva una nave, voleva un naufragio. Lyssa avrebbe dovuto semplicemente indossare la sua solita uniforme e stare alla cassa e impersonare se stessa pitturata di verde.

La maggior parte delle scene si svolgevano ai livelli superiori.

In due giorni di riprese Lyssa aveva visto la pop star solo da lontano, da dietro la vetrina, ma una delle ballerine della cantante aveva spettegolato con lei durante una pausa caffè. La pop star avrebbe dedicato il video a un suo ex, il quale aveva dichiarato a una rivista che lei si era lasciata andare e nelle ultime foto sembrava un mostro marino. Il tema del video era il lasciarsi andare, e la pop star sarebbe apparsa sullo schermo verde, grassa e praticamente nuda. In realtà era più magra di quanto Lyssa fosse mai stata in vita sua. Lyssa capiva perché avessero scelto lei e non Mackenzie; serviva qualcuno che desse l’impressione di saper fare il suo lavoro alla cassa. Faceva parte della scenografia.

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