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Dare, dare, dare, senza più parole.

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Distacco. Lontananza. Qualcosa si era incrinato. Eppure lei aveva fatto il grande salto. Era venuta nella sua città, aveva voluto vedere la piattaforma della sua vita. Le strade nascoste, le più belle, le più poetiche. Un trancio di pizza e sei il Re del mondo, se a condividerlo c’è la tua dea felliniana. Un concerto, un autobus insieme, un segreto condiviso, un drink in un locale alla moda, un salto all’ultimo piano di un palazzo, l’euforia, l’incanto. Una piccola corsa insieme con idealmente in sottofondo “We can be heroes just for one day” (nel remix di David Guetta quando ancora non era un idolo delle masse). Una spremuta di emozioni senza sosta culminata in un groviglio di sensi. Del resto lei l’aveva predetto: “Se ci guardiamo un film insieme dopo quindici minuti facciamo l’amore”. L’unica differenza è quella tipica dei rapporti nati e cresciuti via internet: il gap tra stare dietro una tastiera – senza sentire odori, vedere sguardi, udire il tono di voce – aprendo la propria anima e lo stare insieme in un letto. In effetti la profezia si era avverata ma con la differenza – dall’immaginazione – che i due erano pigiamati. Forse perché il piano da cui partire era quello della tenerezza, dell’amicizia già sperimentata e presente sin dal primo sguardo. Tra la stanchezza accumulata nella giornata e un raffreddore ancora non domato (lei lo soprannominò “bavetta”) iniziò la danza: dal classico abbraccio da dietro – entrambi su un fianco – alle carezze sul suo stomaco. Qui la prima sorpresa: lui vide delle immagini, quasi apparizioni in sequenza come piccoli fantasmi. Le disse che vedeva dentro di lei due donne e anche un maschio. L’aveva sempre sospettato poiché era attratto sempre e solo da donne-uomo, maschi in gonnella o, comunque, femmine molto maschili. Sentiva tutto dentro di lei semplicemente appoggiando la sua mano all’altezza dell’ombelico, quasi un rito sciamanico. Con prudenza e un pizzico di pudore si avvicinò ai suoi piccoli seni e sentendo i gemiti – quasi soffocati – prese coraggio e iniziò a baciarla con passione lasciandosi andare tanto da respirarle nella sua bocca, generando un flusso d’aria tra le labbra. Ora erano un unico corpo anche senza finalizzare l’atto. Soprattutto lo eccitava prenderla con le due mani all’altezza del bacino spingendo le braccia in basso e in alto e accompagnando il movimento con baci sul collo; la girò, infine, sulla schiena tracciandole il solco della spina dorsale con la lingua. Lei avrebbe voluto perdere il controllo e osare (“touch me I’m cold, unable to control”/Bat For Lashes & Beck) ma la sua corazza era talmente grande che dopo qualche ora di effusioni decise di interrompere il gioco e di restare in stanza da sola. Una delusione pensò lui, era il tipo di donna da abbracciare e dormirci ignorando la vicinanza fisica per meglio colpirla e violarla all’alba nel risveglio. La mattina dopo lui ebbe una certezza: lei avrebbe cercato di scappare come Cenerentola, minimizzando l’accaduto. Il pensiero era accompagnato da una frase del testo di “The Eraser” di Thom Yorke, ascoltata in auto: “più cerchi di cancellarmi, più spunterò fuori”. La cercò al telefono e dopo diversi tentativi andati a vuoto lei rispose e acconsentì a un nuovo appuntamento. Questa volta in un grande store: si regalarono lo stesso libro, una copia a ciascuno. Lei disse che non ne voleva più sapere di questo tipo di incontri clandestini (era fidanzata) ma cercò di evitare una rottura irrimediabile inviando un sms poco dopo la sua partenza in treno: “grazie di non avermi permesso di rovinare tutto”. Il giorno dopo le invio un link con il video di “Kiss Of Life” di Sade e un breve testo: “questo brano, per me, è la colonna sonora delle tue valli, soprattutto quelle al centro, capaci di dare dei baci di vita. Temor (in spagnolo paura) è invece il ghost che insegue. Sono parole intriganti come del resto la canzone e certi mùgoli di Sade e lo stare nudi. Se nel tuo orgoglio sei convinta di avermi fatto un regalo (finoadovetelasenti) non posso che dirti sinceramente GRAZIE. Ma non è ancora nata la donna che mi mette alla porta e mai nascerà (seguito da uno smile). Nel video di “Is it a crime” Sade scrive la parola temor sul finestrino; è la stessa storia raccontata nel filmato di Roger Sanchez “Another Chanche”: una donna va in giro con un cuore enorme che progressivamente, a causa dell’indifferenza degli altri, si rimpicciolisce. L’ultima scena mostra un ragazzo intenzionato ad invitarla a cena (vedendo il cuore minuscolo, intenerito); ma quando la va a prendere e la rivede di nuovo, stavolta col cuore gonfio (di amore da dare) si spaventa e decide di ignorarla. Losers o Winners? Più che il libro che mi hai regalato direi che parlano i brividi, le vibrazioni, i sensi, l’alito biancofore (share). Ma quasi tutti vogliono un quadro non il panorama reale dici tu… Le donne vogliono sempre insegnare agli uomini a seguire il proprio cuore e non si rendono mai conto di parlare a se stesse”. Ma i giorni successivi era tutto un gioco di rimessa: promesse mancate, incomprensioni e i due fiori di loto erano tornati ricci. Ma non quella mattina col cielo plumbeo. Lui le inviò un messaggio mentre era fermo in mezzo a una folla che andava nella direzione opposta: “Mi devi aiutare, disse la sirena. Ecco l’aiuto, disse lui. Ma lo disse nel modo sbagliato”. Lei rispose: “Sai giocare a scacchi?” ispirandosi alla Leslie di Richard Bach ne “Un ponte sull’eternità”. “No, ma potresti insegnarmelo (compagni di giochi e di merende), ho già in dote il gioco della dama”. Finchè lei concluse brillantemente la conversazione: “ma va bene anche nascondino”. Era uno di quei momenti in cui bisogna scrivere parole di getto, flusso di coscienza:

cerco la tua scintilla
chiamata da me da lontano
nel tempo e nello spazio
una guida
per vivere il cambiamento
che hai generato
come un vecchio tabellone
alla stazione o all’aeroporto
le caselle girano velocemente
e scrivono una nuova destinazione
cambio come i caratteri
e ogni giorno ne costruisco una
con una lettera chiara forgiata nel mio cuore
quella della tua anima
alla quale tendo come solo la forza
di un arco in tensione produce
Pensò a “Body Language” dei Queen, soprattutto al video: dare, dare, dare, senza più parole, solo il linguaggio del corpo, senza la vista attiva. Silenzio, silenzio, inteso come mancanza di parole; l’unica eccezione al silenzio è la musica. Ma la musica per lui è silenzio. All’alba iniziò la sua solita ricerca random su internet. Si imbattè in “Love Is Blindness” degli U2: gli venne da piangere ad ascoltarla. Poi vide la versione sul tubo relativa al dvd Zoo Tv registrata a Sidney: Bono alla fine del pezzo fa salire sul palco una ragazza e la abbraccia per un tempo interminabile. E in quell’abbraccio stringe il suo pubblico e anche tutta l’umanità e lui immaginò di stringere lei. Poi fu il turno di “Beautiful Day”: nel video Bono ruba una mela in mano a una passante in aeroporto e la mangia sdraiandosi nel carrello girevole dei bagagli; un’immagine romantica e poetica. Quindi uscì per prendere aria. Mentre passeggiava con “Beautiful Day” in loop nelle cuffie iniziò a cantare: “Touch me, take me to that other place; teach me love, I know I’m not a hopeless case” (“Toccami, portami in un altro luogo; insegnami, non sono un caso senza speranza”). Portami dall’altra parte… inutile spiegare. “Non sono un caso senza speranza” significava semplicemente che lui non avrebbe mai mollato, la partita era ancora aperta. “You’re on the road but you’ve got no destination; You’re in the mud, in the maze of her imagination; You love this town even if that doesn’t ring true; You’ve been all over and it’s been all over you” (“sei in strada ma non hai nessuna meta;  sei nel fango, nel labirinto della sua immaginazione; ami questa città anche se non sembra vero; tu l’hai girata tutta e tutta ti ha avvolto”). Gli venne in mente ogni passo fatto insieme in città. “Pensavi di aver trovato un amico che ti portasse lontano da questo posto, qualcuno a cui potevi tendere la mano come ricompensa per la grazia. Ciò che non hai, non ti serve ora; ciò che non conosci puoi sentirlo in qualche modo”: in quel testo c’era tutto quello che avrebbero potuto essere insieme. Poi, continuando a camminare, vide la sua ombra proiettata dal sole davanti a lui (non dietro). D’incanto l’ombra iniziò a sdoppiarsi e, improvvisamente, vide due ombre, una a sinistra e una a destra, incrociate. “Eccoti”, disse dentro di sé. Poi ebbe l’illuminazione e scrisse una nota nel telefono: “Dal momento che ti ho conosciuta, che sei entrata nel mio cuore ho preso la responsabilità di noi due. Quella che tu, scherzando, hai impostato come frase ricorrente: “i problemi li lascio a te”. Ogni volta che parti lasci un vuoto incolmabile. Un lutto. Non c’è nessuna altra parola che descriva questo stato d’animo. Mi chiedo come tu possa stare bene oggi. Forse non starai bene neppure tu. O forse il tuo metodico cervello ti starà raccontando le solite menzogne. Come puoi toccare un altro dopo che io e te ci siamo amati? Ecco questa è una domanda che non mi fa dormire la notte”. Entrò in un negozio e i suoi occhi distratti si posarono su un piccolo cartello: c’era una parola identica al soprannome che le aveva dato. Prese l’iPhone dalla tasca e lo fotografò; inviò un mms senza commenti, solo per farle notare che la pensava in ogni momento della giornata. Sapeva dal primo istante che un giorno si sarebbe sentito così: non una partita a bocce, ma a scacchi. Sapeva che ogni carezza sua l’avrebbe rimpianta mille volte. E così fu. Di nuovo scrisse sul suo mac: “Io sono consapevole di una cosa sola: tutto quello che è affiorato, tutto quello che di buono abbiamo sperimentato, succede solo quando siamo connessi. Quando siamo scollegati tutto torna all’ordinario. Mi verrebbe da dirti: “cmon, ride my wild horse”. Come nel video dei Corrs, quando alla fine passa un cavallo bianco vicino alla cantante: il simbolo per eccellenza della libertà, dell’amore selvaggio, della passione”. Due secondi dopo la chiusura del file apri la chat e lesse un messaggio (in bottiglia) sibillino: “esco con delle amiche e mi fermerò a dormire da una di loro, ho bisogno di pensare”. Si limitò ad inviarle il link del video di “Give me a reason” dei Corrs con un appunto: “guarda bene il cavallo bianco”. Il mattino dopo, immaginando di svegliarla con un bacio, le invio questo sms: “suiticolazione4u: tèbianco (“Storm in a teacup”/The Fortunes), biscottidizenzero (“Soul cake”/Sting), unfioreappenacolto (“Lotus Flower”/Radiohead), unacanzonechefischietta (“Spread a little happiness”/Sting), unalineadibassoebatteria (“Intro”/Alan Braxe & Fred Falke), una abatjour (“Heaven’s light”/Air), lavestagliadellacantante” che è davvero la vestaglia attillata della cantante dei Corrs nell’ultimo fotogramma del videoclip proprio mentre le passa vicino il cavallo bianco. Sensuale come immagine. (To be continued)
 
 
 
Playlist:
David Bowie vs David Guetta “Heroes (Just for one day)”
Bat For Lashes & Beck “Let’s Get Lost”
Thom Yorke “The Eraser”
Sade “Kiss Of Life
Sade “Is It A Crime?
Roger Sanchez “Another Chanche
Queen “Body Language
U2 “Love Is Blindness” (Zoo Tv dvd live in Sidney)
U2 “Beautiful Day
Corrs “Give Me A Reason
The Police “Messagge In A Bottle”
The Fortunes “Storm In A Teacup”
Sting “Soul Cake”
Radiohead “Lotus Flower”
Sting “Spread A Little Happiness”
Alan Braxe & Fred Falke “Intro”
Air “Heaven’s Light”

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