Ho scoperto l’esistenza di questo romanzo, del quale ignoravo pure l’autore, per caso, anni fa, leggendo una dichiarazione, forse era un’intervista, non ricordo, a David Foster Wallace. Cliccando su Amazon o Ibs vi accorgerete che L’Amante di Wittgenstein è l’unico libro di David Markson – scrittore originario di Albany, New York – disponibile in Italia. Negli Usa uscì nel 1988, quando Markson aveva ormai superato i sessanta senza grossi sussulti di notorietà, ma da noi è arrivato solo nel 2016 grazie all’editore Clichy (vi dice niente Nomadland?), che si è affacciato sul mercato editoriale proprio con questa pubblicazione. Inutile dire che buona parte della curiosità sul romanzo l’abbia accesa lo stesso Wallace, a suo tempo una specie di testimonial di Makson oltre che un caro amico e confidente.
Prima di addentrarmi nel merito dell’opera vorrei però avvertire i lettori, cioè voi, che se non doveste essere attratti o gradire romanzi cerebrali o troppo cerebrali, fareste bene a stare alla larga da questo libro e dalle quattro cose che sto per dire: L’Amante di Wittgenstein è un romanzo profondamente cerebrale, nel senso che ogni cosa che troverete nel racconto accade o esiste unicamente nella mente della protagonista, e che la finzione o la percezione della verità in ordine a quanto accade è l’essenza stessa della non-storia. Kate è una pazza convinta di essere l’unico abitante rimasto sulla terra, e il suo monologo, anzi il suo interminabile flusso di parole non dette ma scritte, Kate le sta battendo a macchina, si traduce proprio come un’affermazione del suo esistere, ovvero come il superamento della logica cartesiana del “cogito ergo sum” nella realtà intesa come racconto. Il richiamo a Wittgenstein, al di là del titolo, è evidente. Nel suo lucido delirio di ricordi e di viaggi in tutto il mondo, dall’Italia al Messico, dove sarebbe stato sepolto il figlio Simon o Adam, Kate menziona mille personaggi della pittura, della scienza, della musica, della letteratura e della filosofia. Wittgenstein è il più citato, spesso male, con imprecisione “In questo senso il linguaggio è spesso impreciso, ho scoperto”. L’errare doloroso di Kate, che oggi scrive a macchina da una casa sulla spiaggia come Giuseppe Berto dalla sua bettola di Capo Vaticano, è l’immagine di quella solitudine o solipsismo che ha già legato a doppio filo Wallace al noto filosofo austriaco (Kate è “terribilmente, terribilmente sola”). Di conseguenza, il romanzo vuole essere il tentativo – riuscito o meno – di proiettare l’opera di Wittgenstein, Tractatus et similia, in una nuova forma di narrativa, la vetta più alta, dirà lo stesso Wallace, dello sperimentalismo americano. Come dicevo, L’Amante di Wittgenstein è un romanzo senza tempo e senza luogo. È soprattutto un romanzo senza trama. Le frasi sono brevi e tra di loro sconnesse, secondo una non linearità che riflette la follia della voce narrante ed errante ma anche la “solitudine” di ogni singolo brano del racconto “Ciò per cui darei seriamente qualsiasi cosa, in realtà, è capire come faccia la mia mente a saltare di palo in frasca come a volte fa”. Prima che venisse pubblicato, fu rifiutato quarantaquattro volte, ben oltre le trentadue di Shuggie Bain di Douglas Stuart e le diciotto dell’Ulisse di Joyce.
Non è un romanzo per tutti ma è un romanzo che tutti dovrebbero leggere per uscire o per provare a uscire dai confini di una letteratura spesso convenzionale e povera di spunti originali.
Angelo Cennamo