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David Park, Nella tormenta

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«Sto entrando nella terra ghiacciata, anche se non so a quale paese appartenga. A volte la vedo come da un drone, e sotto di me si spiega un terreno innevato di monti, burroni e laghi, boschi che di colpo si innalzano e mi sfiorano gli occhi con i rami imbiancati. Altre volte sprofondo fino alle ginocchia nei suoi abissi senza un orizzonte visibile, arrancando per continuare un viaggio il cui scopo non è chiaro e non so da dove sono venuto né dove sto andando.»

C’è la neve che è caduta a lungo sull’Irlanda del Nord e sulla Gran Bretagna, causando la chiusura delle strade e degli aeroporti, e sebbene sia altamente sconsigliato mettersi in viaggio, c’è quest’uomo, Tom, questo padre di famiglia che invece lo fa: si mette in auto per andare a riprendere il figlio, Luke, bloccato in un freddo alloggio studentesco di una università inglese, per riportarlo a casa, in una città non lontana da Belfast. Perché mancano tre giorni a Natale e la famiglia vuole stare insieme; perché Lorna, la moglie di Tom, è in pensiero per Luke, che è malato e deve essersi preso un’influenza o addirittura una polmonite; perché la sorellina di Luke, Lilly, aspetta il fratello per poter giocare con lui. Perché la vita va avanti, per i figli che restano, certo, e per loro Tom è disposto a mettere in pericolo la sua stessa sopravvivenza. E quindi si mette in macchina e parte, con i viveri di scorta, la vanga, il sacco a pelo, i vestiti pesanti, la torcia, la tanica di plastica, e con un segreto che ha sempre taciuto alla moglie, parte.

Nella tormenta (Travelling in a strange land), di David Park, appena pubblicato da Bollati Boringhieri, con la traduzione di Manuela Faimali, e nella collana “Varianti”, mette al centro questo viaggio, raccontandolo dal punto di vista di Tom, con noi lettori che idealmente siamo con lui nell’auto e lo ascoltiamo parlare, ricordare, mentre tutt’intorno la neve sembra aver sepolto ogni cosa in profondità. E pian piano, con il procedere del viaggio, tra le continue telefonate della moglie, di Lilly, di Luke, la tensione sale. Non soltanto perché a volte l’automobile slitta, ma perché lentamente noi comprendiamo come quel paesaggio che Tom sta attraversando, e che lo tenta a scomparirvi dentro, non sia altro che la riproposizione in termini naturalistici di un gelo interiore che lui e la sua famiglia hanno vissuto e che in qualche modo stanno cercando di superare. E allora la voce che fino a un attimo prima era soltanto di Tom o della moglie o dei figli che lo chiamavano al telefono, o quella metallica del navigatore, improvvisamente diventa la voce di Daniel: ovvero dell’altro figlio di Tom e di Lorna, così diverso da Luke e da Lilly, così tormentato e ribelle, che un giorno se n’è andato di casa senza più tornare. Perché forse Tom, mentre viaggia per riportare a casa Luke – con le mani aperte sul volante, mani sicure, salde, che però nei suoi ricordi incessanti a volte si trasformano nelle mani tremanti dell’anziano padre, quando iniziò a manifestare i primi sintomi della malattia di Parkinson – vorrebbe anche riportare a casa Daniel, riportarlo tra le braccia della madre, se soltanto fosse ancora possibile, perdonare sé stesso per non avere fatto abbastanza per questo altro figlio, al quale a volte si rivolge e parla. E certe volte davanti agli occhi di Tom non scorre soltanto la strada ma anche alcune fotografie, perché Tom è un fotografo di professione, anche se solo un fotografo di matrimoni. E queste immagini, che si stagliano nel bianco dei boschi, è come se volessero affrancarsi: non essere momenti fissati nel tempo ma restituiti al suo fluire.

Insomma, Nella tormenta è un libro ipnotico, sempre in bilico tra stasi e movimento, precipizio e squarci di vette; un libro falsamente monocromatico, falsamente monodialogico: il tentativo di costruire, attraverso uno stile avvolgente, una polifonia di voci, di stati d’animo, interrogativi, incertezze. E questo grazie anche alle canzoni che entrano nella narrazione, perché per Tom la musica è importante e quindi, insieme al kit di sopravvivenza, egli ha con sé una pila di cd. Ha Van Morrison con sé, e il Neil Young di On the beach (uno dei dischi più desolati e belli del cantautore canadese, con la copertina che ritrae un mare opaco, un ombrellone deserto, una Cadillac affondata nella sabbia e un Neil Young di spalle, quasi a impersonificare la solitudine), e Nick Cave e gli Smiths e i National e Robert Wyatt e i R.E.M. E così può capitare che mentre ascoltiamo Tom parlare, in sottofondo ci sia Snow in San Anselmo di Van Morrison, con la cameriera che dice che sta nevicando per la prima volta in trent’anni, con il negozio di pancake aperto ventiquattro ore su ventiquattro e un pazzo che vi fa irruzione e cerca la rissa.

 

Al termine del romanzo, rispettando l’edizione originale, sono inoltre riportati due link.

Il primo per ascoltare alcuni dei brani citati durante il viaggio di Tom:

http://spoti.fi/2AmKBk0

e l’altro per continuare a viaggiare grazie alla collaborazione creativa di David Park con la pluripremiata fotografa Sonya Whitefield, la quale “ha creato una sua personale risposta a Nella tormenta che combina immagini e testo:

www.sonyawhitefield.com 

Gianluca Minotti

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