“Il gregge” di Davide Grittani (Alter Ego Edizioni, 2024 pp. 228 € 18.00) è un affresco impietoso, accattivante ed errante sulla modulazione grossolana e asservita della politica. Davide Grittani impugna la sua ragione letteraria in nome di un’impeccabile e autorevole condanna contro la pressione culturale e governativa della pochezza intellettuale, definisce la destrezza ignorante e divoratrice di una dialettica demagogica e strumentale, l’affermazione dell’individualismo negativo e opportunista, interessato solo a disonesti scambi di favore. Il libro motiva il tramite narrativo della esasperata ed egemonica corruzione, attraverso la storia di Matteo Migliore che mostra l’arroganza incontenibile della sua campagna elettorale in una città presidiata dall’inadeguata e scaltra dissimulazione della forza amministrativa, assorbita nella conseguenza scivolosa e immodificabile della fangosa vertigine economica. L’incontro tra i vecchi compagni del liceo della quinta D del Liceo Pasolini muove la saldatura etico-morale, accomuna lo smarrimento delle trasformazioni istituzionali e accompagna la partecipazione camaleontica delle varie personalità. La penna efferata e acuta di Davide Grittani pone l’accento sulla travagliata e ironica matrice dell’odissea politica con lo sguardo critico e pungente di chi sa intendere l’inarrestabile e decadente smania nella condotta superficiale della presunzione e della vanagloria e gestire la corrente instabile del seducente virtuosismo. Intinge la corrosiva e penetrante dimostrazione della scrittura nella consistenza vitale dell’inchiostro sospeso tra lo smarrimento emotivo dell’immoralità e l’imprecisione fatale e impietosa sulle gradazioni incomprensibili ed equivoche della società contemporanea.
Le parole di Davide Grittani incrementano l’elemento ispiratore del risentimento, mantengono il respiro autentico del coraggio, donano ossigeno alla legalità, incidono sulla pietra del miserabile consenso l’esasperazione degli imbrogli, l’anestetizzante cultura delle azioni scellerate e spregevoli, dichiarano la sprezzante e superba violazione del principio di libertà, l’inciviltà subita di una lingua corrotta nella propaganda dell’irregolarità. “Il gregge” analizza il realismo cinico e spregiudicato di ogni sotterranea e silenziosa intimidazione, indaga l’irregolarità del compromesso, valuta le indiscrete e inopportune manifestazioni delle offese contro il senso dell’umanità, mette in luce la responsabilità della giustizia e della coscienza morale contro l’oscurità del significato esistenziale, affida alla guida e alla custodia della transitorietà il patrimonio sospetto e vacillante del conformismo. Davide Grittani giostra abilmente la soddisfazione esemplare della satira intorno alla trasformazione dei personaggi, mossi dall’obliqua qualità mimetica delle idee, funamboli che procedono lungo l’equilibrismo delle opportunità del momento, indica la provocatoria finalità della popolarità come l’inevitabile metafora di un processo imitativo volto a favorire la stringata e fumosa mediocrità della natura sociale dell’uomo. Confessa l’amarezza per ogni sentimento disilluso nell’impalpabile e dolorosa malinconia dell’ipocrisia umana, estende il beffardo melodramma della vita e degli affari pubblici nell’evidente compiacimento e nella sfrenata ambizione.
Il libro di Davide Grittani è un vero e proprio manifesto educativo, da leggere per riflettere sull’irriducibile e sconcertante supremazia del nulla che circonda la contingenza della democrazia attuale e per comprendere il fatuo orgoglio delle attrazioni inesistenti e l’effimera incompletezza della spaventosa volgarità. Una testimonianza coraggiosa e intraprendente che smaschera il patto referenziale con il male, divulga l’incremento del disincanto, indica il tema preoccupante dell’odio come la crudele ferita interiore del potere, ma che consente di mantenere una sana eredità per le generazioni future, per oltrepassare il carattere compulsivo del vuoto e l’opacità grottesca di un pensiero politico carismatico e restituire l’esortazione della dignità nella saggezza del limite.
Rita Bompadre
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Eccoli quelli della Quinta D, tornati insieme a diecimila giorni dalla maturità per accompagnare uno di loro nientemeno che alla poltrona di sindaco. Rieccoli, irriducibili soldati dell’anticonformismo che ai colloqui la Magaldi (prof di letteratura alla quale abbiamo fatto veramente di tutto, persino falsificarle i cedolini degli stipendi) appellava con disprezzo «lurido branco». Cosa avrei dato per rivederli, sfogliare l’album degli orrori, immergerli nella formaldeide e appenderli come teste di cervo in salotto, per tenerli sempre con me. Invece sono bastati pochi giorni per rendermi conto che abbiamo soffocato ogni brutalità sotto la peggiore delle brutalità, l’addomesticamento.
Abbiamo ceduto alla menzogna che la vita fosse altrove, che fino ad allora il nostro primitivo disincanto non avesse prodotto che umiliazioni. Così abbiamo cambiato modo di parlare, di procurarci da mangiare, mentre la borghesia svolgeva egregiamente il suo lavoro anche sulle nostre vite.
Abbiamo accolto come una liberazione la corruzione su cui si fonda qualsiasi emancipazione. Siamo stati così uniti da passare alla storia del nostro liceo per il romanticismo di cui, nonostante tutto, eravamo apostoli. Oggi siamo solo la copia ingiallita di un’intolleranza che si rigenera, rinvigorisce, ciclicamente ritorna. Altro che lurido branco, alle orecchie portiamo le etichette dell’ignoranza, come un gregge qualsiasi.