Innamorati di quei certi suoni avvolti da una spessa coltre di riverberi e distorsione psicotropa?
Bene, allora non lasciatevi sfuggire per nessuna ragione questo “Il lungo viaggio dell’heavy psych. 1980-2000” di Davide Pansolin (Tsunami Edizioni, 2024, pp. 322, € 24), già noto agli appassionati di musical rock books per il suo precedente (ed ottimo) “Veleno sottile. La storia degli Screaming Trees”, ma soprattutto, come giustamente sottolineato da Claudio Sorge nella prefazione, vera e propria eminenza grigia del genere dalle nostre parti fin dall’ormai lontano 1999, quando mise su un apprezzato magazine a tema, Vincebus Eruptum, poi sviluppatosi anche in un’omonima etichetta indipendente, nonché collaboratore di diverse, apprezzate riviste quali “Rumore”, “Rockerilla”, “Fire” e “Gimme Danger”.
Avvertenza importante per il lettore: Pansolin, in questo ponderoso volume, ha deciso di prendere in esame un periodo storico ben preciso, appunto i quattro lustri a cavallo tra il 1980 e il 2000, quella che giustamente può essere considerata l’età dell’oro dell’heavy psych, visto che la infinita pletora di produzioni successive, major e indipendenti, che hanno invaso il mercato da quella data in poi, si caratterizza molto spesso per commistioni (in particolare con il metal) poco in linea con i paradigmi originari (musicali ma anche ideologici) del genere trattati in queste pagine.
Molto interessante anche l’impostazione narrativa scelta dall’autore, il quale, come una sorta di epigone del detective pynchoniano Larry Sportello, si è immaginato alle prese con una sorta di rete di “indagini” che, partendo dai deserti della California e dai primi parties clandestini, luogo di nascita del peculiare tipo di sonorità considerato, lo porta man mano a vagare in lungo e in largo negli Stati Uniti, per poi approdare in Europa e infine a spostarsi nel resto del mondo nel tentativo di metter su una sorta di coerente mappa del genere in grado di dar contezza di tutte le sue caratteristiche specifiche e dei vari rapporti di “filiazione” tra le varie band. E lo fa aprendo i diversi capitoli con una breve introduzione narrativa nella quale, in bella prosa, ci aggiorna sulle peripezie del suo balzano investigatore privato. Un escamotage accattivante, questo, che ben prepara alle molte, sintetiche quanto accurate monografie che si susseguono. A partire da quella dedicata ai riconosciuti padri fondatori dell’heavy psych, gli ormai leggendari Across The River, capitanati dall’altrettanto leggendaria figura del chitarrista cantante Mario Lalli e nei quali si sono fatti le ossa altri osannati protagonisti della scena quali il bassista Scott Reeder o il batterista Alfredo Hernàndez. Come è facile immaginare, uno spazio di approfondimento privilegiato è concesso al sodalizio a sette note che più di tutti ha contribuito a rendere popolare il genere, facendo appassionare a certi suoni -nonostante la brevità della loro vicenda artistica- centinaia di migliaia di ragazzi in tutto il globo, e cioè gli straordinari Kyuss di John Garcia, Josh Homme e Nick Olivieri. Dopo di loro, è la volta di altri maestosi interpreti a stelle e strisce come gli Unida, i Fu Manchu, i Monster Magnet, i Nebula, gli Sleep, i Core e i Karma to burn, ed europei come gli Orange Goblin, gli Electric Wizard, gli olandesi 35007, gli svedesi Spiritual Beggars e Dozer. Non manca, e come avrebbe potuto?, anche una coincisa panoramica sulle realtà tricolori, partendo dai That’s all folks per arrivare agli Ufomammut, e su quelle extra-occidentali (tra gli altri, segnaliamo i neozelandesi Datura e i nipponici Church of Misery).
In una trattazione organica e ben ponderata come questa, non mancano infine continui accenni-approfondimenti riguardanti alcune delle etichette discografiche che hanno fatto la storia e la fortuna del genere, né una velocissima chiosa su quei gruppi che, a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, hanno sommamente ispirato i musicisti di cui ci racconta Pansolin, a partire dagli amatissimi e superseminali Blue Cheer, passando per i Mountain, gli onnipresenti Black Sabbath, i Black Widow, gli Hawkwind, giusto per citarne alcuni.
Riassumendo, “Lungo viaggio dell’heavy psych”, di cui chi scrive ha volutamente mancato di evidenziare gli aspetti più analitici e specialistici per non rovinare all’eventuale lettore il piacere della scoperta e/o della riscoperta, va dunque a colmare un importante vuoto nel ricchissimo panorama bibliografico che l’editoria rock ha creato in questi ultimi anni. Speriamo possa aiutare chi a certe sonorità non è particolarmente avvezzo ad avventurarsi in uno spericolato trip tra chitarroni massicci e “visioni distorte”.
Domenico Paris