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Davide Reviati, Stig Dagerman. Ho remato per un lord

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Sembrano passati secoli da quando Davide Reviati ha consegnato alle stampe Sputa tre volte.

Invece di anni ne sono trascorsi appena cinque.

Un tempo ugualmente lungo per i lettori come per l’editoria, capace di macinare autori e titoli in un anno quasi non ci fosse domani.

Da questo silenzio l’autore ravennate è riemerso nel 2021 proponendo Ho remato per un lord, edito come i suoi altri titoli maggiori da Coconino press-Fandango.

Ma qui non siamo davanti a un graphic novel ideato e realizzato dallo stesso Reviati anzi, non siamo davanti a un graphic novel.

Dico questo perché il volume è facilmente collocabile nel panorama degli illustrati. Però non quelli pensati esplicitamente per ragazzi. Basta aprirlo e già dalle prime pagine ci si rende conto di come sia un’opera indirizzata a un pubblico adulto, capace di veicolare il rapporto di simbiosi che le tavole hanno con il testo.

Probabile non poteva essere diversamente, visto che Ho remato per un lord è l’adattamento del racconto omonimo di Stig Dagerman.

Un testo relativamente breve quanto denso, intriso della filosofia e dello stile narrativo del narratore scandinavo. Una metafora sulla ricerca di una perfezione della parola che non potrà mai essere esaudita, ma che può contagiare chiunque.

Il racconto acquista una potenza visiva espressionista grazie alla capacità di Reviati di porre magistralmente le chine (ovunque di un nero profondo, se si eccettuano sprazzi di grigio e di ruggine) sulla pagina lasciandole dialogare con il bianco degli spazi.

Ribsadisco: per chi conoscesse l’opera di Dagerman, e questo racconto nello specifico, è facile intuire come la forte allegoria che ne innerva lo sviluppo narrativo faccia parte della sua visione esistenziale, carica di un pessimismo cosmico senza fondo.

Dagerman, morto suicida nel 1954, racconta di un ragazzo che per una intera estate porta in giro questo lord non meglio indicato, un essere taciturno oltre ogni dire.

Lo porta con la sua barca a remi, coadiuvandolo nella ricerca di una acqua verde, più verde di quella che il mare della zona pare possa offrire.

Reviati non è nuovo al lavoro su testi narrativi altrui – nel 2019 ha illustrato per Else Edizioni Chickamauga, un racconto dello scrittore americano Ambrose Bierce.

In questo ultimo lavoro ha però saputo dare una forte interpretazione personale e autoriale al tema di Dagerman, pur sotto un andamento apparentemente didascalico.

L’autore ravennate infatti riesce a esaltare con il suo tratto i non detti del testo, portando il lettore all’interno della storia e della metafora che l’intero dispositivo veicola.

Così in un paio di tavole tira fuori quella che potremmo definire “la frustrazione” presente nella figura del ragazzo. Una di esse, dove se ne inquadra il volto, ne dice la rabbia sottesa alle parole per non essere arrivato a trovare quanto voleva il Lord. Un’altra rende chiara l’infezione che gli è stata trasmessa dal nobile per qualcosa che si desidera ma non si riesce a trovare. Sono immagini, quelle di Reviati, che amplificano il racconto, non si mantengono sul lato del commento rispettoso.

Maestro dopo Toppi e Magnus nel saper gestire la china, l’autore ravennate riesce col suo tratteggio a rendere tridimensionale la scena, a dire oltre la parola facendo emerge i sentimenti che animano i personaggi e quel senso di solitudine che pervade intero il racconto. La densità offerta dal nero deposto sul bianco della pagina, gli interventi di bianco “che sporca”, sembrano voler esporre alla realtà dei fatti i due personaggi.

Tutto è stato usato per dare corpo ai personaggi usciti dalla penna di Dagerman, anche il formato del volume.

Le pagine scorrono in orizzontale, aumentando la superficie e così amplificando la vastità del mare, la durezza nei gesti e nelle parole del lord, il senso della solitudine in cui è immerso chi sa.

La matericità della china, mette negli occhi del lettore il rovello interiore che il personaggio del ragazzo vive, sia per interposta persona sia direttamente.

È lo stesso provato da qualsivoglia artista.

Il cercare la perfezione della parola, della frase, per portare ancora più in là il proprio lavoro di scrittura. Una perfezione che non si raggiunge mai, che è semplice desiderio di superare l’impurità da sempre al fondo di ogni scritto.

Ma è anche la ricerca di altro, come scrive Goffredo Fofi nella postfazione.

L’acqua più verde è anche – forse soprattutto – per il narratore svedese «la verde acqua dell’armonia, della solidarietà fra gli uomini e la natura tutta, dela libertà condivisa, della concordia, della pace…».

C’è, esiste, è proprio poco oltre noi. «Basta cercarla, mai smettere di cercarla, quest’acqua».

Non importa lo status sociale, «conta la febbre, l’esigenza, la spinta alla ricerca; conta la stella dell’utopia» conta essere contagiati dall’ideale.

Reviati comprende le due strade su cui si muove Ho remato per un lord, quella morale e quella sociale.

Le percorre avendole presente, ci si addentra, le sposa fino a fare sua la metafora voluta da Dagerman per il suo racconto.

Sergio Rotino

Recensione al libro Ho remato per un lord di Davide Reviati, Stig Dagerman, trad. Gino Tozzetti, Coconino Press-Fandango, 2021, pagg. 176, €25,00

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