Davide Steccanella nel suo libro Joan Crawford. Damnatio memoriae di una stella in uscita domani nelle librerie per Ghibli (pagg. 165 con filmografia integrale e prefazione di Tommaso Bertoncelli), ci restituisce il racconto straordinario insieme alle vicissitudini personali e lavorative di una delle attrici più importanti della storia del cinema che, con ottanta film girati, una vittoria e tre nomination agli Oscar, si è guadagnata una stella lungo la Walk of Fame al 1752 di Vine Street “per i contributi resi all’industria cinematografica”.
Joan Crawford fu star assoluta degli anni in cui Hollywood era la dreamland, Diva che a chi l’accusava di esserlo troppo rispondeva: «Se vuoi diventare una star, devi sembrare una star, io non esco mai a meno che non sembri Joan Crawford la star del cinema. Se vuoi vedere la ragazza della porta accanto, vai alla porta accanto». Ha inciso profondamente, inevitabilmente, sui costumi, la moda, la società; anche la Disney, per citare un solo esempio, si è ispirata a lei nel cartone animato Biancaneve e i sette nani per il personaggio della strega Grimilde, ma davvero tantissime sono le tracce rinvenibili nella filmografia e in ambito musicale (i Blue Oyster Cult le hanno dedicato il brano Joan Crawford e i Sonic Youth la canzone Mildred Pierce) che ci riportano la grandezza di questa attrice, oltre tutte le critiche, i detrattori e le accuse della figlia Christina che con il suo libro Mommie Dearest scritto dopo la morte di Joan Crawford ricostrusce il personaggio della madre come una sadica seviziatrice seriale di figli adottivi che “al riparo dai riflettori si sarebbe sfogata con punizioni e sevizie da lager nazista” e così verrà poi rappresentata nei vari film e serie tv a partire dagli anni Ottanta.
Si legge nella prefazione di Bertoncelli: “E merito del libro di Steccanella è proprio quello di restituire a Joan quello che è di Joan, di emancipare il lettore/spettatore dall’acre borboglio pettegolo che le è sopravvissuto. La fama, in fondo, è un gioco fine a se stesso e il pubblico applaude e sputa con la stessa soddisfazione”.
Joan Crawford nacque a San Antonio nel Texas nel 1904 come Lucille Fay LeSueur, anche se la stessa Crawford sosteneva di essere nata due anni dopo (così farà incidere sulla propria tomba). L’infanzia fu a dir poco complicata così pure l’adolescenza; dichiarerà in un’intervista anni dopo: «L’infanzia possiamo saltarla, perché non ho avuto un’infanzia». Amante della danza, inizia a esibirsi in compagnie itineranti fino a quando viene notata a vent’anni dal produttore Jacob J. Shubert che la scrittura come ballerina di fila per lo spettacolo Innocent Eyes in scena al Winter Garden Theatre di Broadway a New York. Da lì prende il via una serie di fortunati eventi che la portano a debuttare (con il nome di battesimo) nel film Pretty Ladies come comparsa a fianco di Norma Shearer, futura moglie di Irving Thalberg. Per il secondo film il nome verrà cambiato in Joan Crawford in seguito al concorso Name the Star sulla rivista Movie Weekly, dove si lasciò che fossero direttamente i lettori a selezionare il nuovo nome d’arte e così fu scelto quello di Joan Crawford.
Questo di Steccanella si rivela un testo ricchissimo di aneddoti sulla vita personale e artistica di una donna e attrice rivoluzionaria per i tempi in cui visse, dove vengono anche riportati stralci di innumerevoli documenti che ci raccontano per esempio i suoi modelli di riferimento, le attrici a cui la giovane Crawford si ispirò e inoltre il fatto che fu sempre in grado di anticipare i cambiamenti e le evoluzioni tecnologiche del cinema di quegli anni, come quando andò a scuola di dizione così da farsi trovare pronta per l’avvento del sonoro, sfoggiando la sua voce “calda e piena di colore”.
Un libro imperdibile per gli amanti di Joan Crawford ma anche ugualmente per quanti vogliono conoscere tutto quello che c’è da sapere riguardo una delle più grandi attrici del ventesimo secolo.
Silvia Castellani
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Di seguito un estratto in esclusiva dal libro.
La celebrità arriva nel 1928 con il ruolo di Diana Medford nel musical Our Dancing Daughters (Le nostre sorelle di danza) di- retto da Harry Beaumont (che avrà due sequel), in cui incarna la figura femminile che le garantirà il successo presso il grande pubblico americano, quello della ragazza di origini semplici e indipendente che si fa strada da sola nella vita perché libera e determinata.
“Joan Crawford divenne una star con l’uscita di Our Dan- cing Daughters, la massima espressione ideale del clima che si respirava durante l’era del Jazz che in quel momento aveva raggiunto il suo picco”, si legge in The MGM Story.
Alcuni frammenti del film si possono vedere sul canale You-Tube in un documentario dal titolo Joan Crawford, Always the Star realizzato nel 1996 da Tom Toth per la A&E Biography con interviste a Bob Thomas (biografo), Elva Martien (costu- mista), Herbert Klenwith (produttore), Diane Baker (attrice), Vincent Sherman (regista) e Cliff Robertson, il suo partner in Autumn Leaves, il quale ricordava sorridendo che: “lei amava le luci della ribalta ed essere sempre al centro dell’attenzione”.
Le immagini ci mostrano una Crawford irriconoscibile con una tipica pettinatura anni ’20 mentre balla un frenetico Charleston sfoderando un perenne sorriso stampato sullo sguardo fisso alla telecamera, ma ci sono i suoi grandi occhi: “Gli incredibili e magnifici occhi di Joan Crawford”, si legge sul sito web cinecittanews del 10 ottobre 2019.
“Era meravigliosa nel saper valorizzare i suoi occhi anche con il trucco e quando guardi i suoi film capisci quanto fossero espressivi”, dirà Monty Westmore, per più di dieci anni suo truccatore personale.
Quel documentario contiene anche una sequenza in cui canta con fare ammiccante nel successivo Hollywood Revue, un lungometraggio in parte a colori del 1929 dove si esibivano tutte le star della MGM in omaggio al sonoro, con le sole eccezioni di Greta Garbo, Ramon Novarro e Lon Chaney, i suoi partner maschili del periodo del “muto”.
Larry Carr in Four Fabulous Face (Penguin Books, 1970), uno stupefacente volume fotografico di 500 pagine dedicato allo stile e al glamour di Gloria Swanson, Greta Garbo, Joan Crawford e Marlene Dietrich (definito sulla quarta di copertina: The Most Opulent Book I’ve Seen On The Market Thus Far, a Stunning Array Of Photographs, a Book One Treasures), scrive che le tre attrici del muto cui si ispirò la giovane Joan Crawford furono Pauline Frederick, Gloria Swanson e Greta Garbo.
Ma alla fine del suo secondo anno alla MGM era accaduto un fatto epocale destinato a rivoluzionare quel mondo fatato al quale Joan aveva da poco avuto accesso.
Il 6 ottobre 1927 era stato proiettato nelle sale The Jazz Singer (Il cantante di Jazz) diretto da Alan Crosland e interpretato da Al Jolson, il primo film sonoro della storia del cinema e Joan Crawford, a differenza di Gloria Swanson (“We didn’t need dialogue. We had faces”, dice in Sunset Boulevard), fu tra i primi attori della MGM a intuire la grande svolta che di lì a breve avrebbe travolto tutto e tutti.
E così andò a scuola di dizione per liberarsi del suo accento del sud-ovest e trovarsi pronta, alla fine della gloriosa era del muto, a sfoggiare quella che verrà definita “una voce calda, piena di colore”.
In Italia verrà doppiata dalla grandissima Tina Lattanzi che ne farà un’icona come accadrà per Amendola con De Niro e Lionello con Allen (per citare i primi che vengono in mente), ma la voce originale di Joan Crawford era effettivamente emozionante e perfettamente adatta alla forte personalità dei personaggi femminili che interpretava.
Del resto, Joan Crawford è sempre stata molto attenta alle evoluzioni tecnologiche del proprio mestiere, come si coglie in una bellissima intervista rilasciata nel febbraio del 1934 a New York al presentatore radio, e futuro corrispondente di guerra, Frazier Hunt.
“Nel cinema abbiamo appena cominciato a percorrere la strada che ci condurrà alla perfezione. Ci sono continui sviluppi nella tecnica della ripresa e della registrazione del sonoro. I soggetti diventano sempre più raffinati, più belli nel senso più ampio del termine. Uomini di grande fantasia, grande talento, come Thalberg si stanno sempre più avvicinando al cinema come a una vera nobile arte. Ormai il cinema non è più un luogo o un modo per guadagnare favolose somme di denaro. È un modo di creare bellezza e di esprimere i segreti del cuore. Io credo fortemente che un uomo come Irvin Thalberg saprà portare molto lontano la torcia che illuminerà il cammino verso una concezione totalmente nuova delle ampie possibilità del mezzo cinematografico; che sono inimmaginabili, illimitate. Io voglio essere una parte di questo processo. Ripeto il cinema sta solo cominciando a mostrare la propria potenziale grandezza”. (I meet Miss Crawford, pubblicato su Photoplay del febbraio 1934 e tradotto nel libro Divi&Divine, Davide Turconi e Antonio Sacchi, La casa Usher, 1981).
Una delle sue frasi preferite e che diceva di avere appreso dal Rettore dello Stephen College, James Madison Wood, da lei chiamato Dad Wood, era: “Se ti accorgi di saper fare un lavoro, lascialo perché sei migliore del lavoro che hai”.
© Ghibli
19/01/2021