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De Lillo è una specie di classico, così come Morselli. Intervista a Daniele Scalese

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Daniele Scalese nasce a Taranto e vive a Milano. Ha pubblicato Anna sta coi morti con Pidgin (2023) e racconti per Risme, Gradozero, Sulla quarta corda, La Repubblica, Lorem Ipsum, Topsy Kretts, Biro con l’accento.

Mario Schiavone

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Sei un valido autore di racconti brevi e lunghi, e – ovviamente – un grande lettore della realtà e dei romanzi su cui ti sei formato. Da quali altri fonti narratologiche attingi per raccontare le tue storie?

Guardo come si muovono le persone, soprattutto nel centro in cui lavoro, nei momenti di interazione. Mi piace scoprire come si trasformano nel corso della giornata a seconda dell’interlocutore che hanno di fronte. È divertente vedere come alcune di loro si tradiscono. Le giornate lavorative di Milano sono giornate di calcolo e strategia. Altre fonti sono la palestra in cui mi alleno e la metropolitana – che cliché: mi piace guardare le persone soprappensiero e quelle che stanno leggendo. Infine, i film: ne guardo tanti e mentre scrivo certe scene ritornano come suggestioni.

Quanto vissuto della vita quotidiana finisce nelle tue storie, quanto pensiero immaginato resta fuori dalla pagina scritta?

Penso sia tutto un incastro tra ciò che leggo, guardo e ricordo: si crea una materia densa che ogni giorno si modifica a seconda di come mi sento e di quello che faccio. Di immaginato c’è qualcosa, molte volte si tratta di situazioni reali che nella testa prendono altre derive, si sviluppano.

Ammesso che esista – concretamente – una definizione utile di personaggio letterario credibile, cosa hai più a cuore dei tuoi personaggi e cosa non sopporti per nulla, quando li fai rivivere sulla pagina?

Ne apprezzo e detesto forse le medesime caratteristiche: l’ostinazione, l’ingenuità, la malinconia, il pessimismo.

Quali sono gli autori classici da cui non vorresti mai separarti? Quali gli autori contemporanei viventi?

De Lillo, che per me è una specie di classico, così come Morselli. Dei contemporanei faccio questi nomi: Ellis, Leavitt; Cristò, Francesca Marzia Esposito, Palomba, Forgione.

Che rapporto hai con le serie tv, il cinema e i fumetti? E quali sono i tuoi autori preferiti di questi tre medium narrativi?

Tre serie mi hanno formato più delle altre, e mi riferisco alla prima stagione di True Detective; a Better Call Saul (ce l’ho persino tatuato); The Office (Michael Scott è chiaramente il mio migliore amico); parlando di cinema, adoro quello che fa Martin Mc Donagh – credo che In Bruges e Tre manifesti a Ebbing siano tra i film più straordinari mai visti; poi Polanski, Tarantino; Sorrentino. Poi c’è Park Chan – Wook, con cui una volta ho parlato (dicendogli cose improbabili in un inglese ridicolo). Riguardo al fumetto, da ragazzino amavo Dylan Dog: di recente ho ripreso i vecchi numeri ed è stato un bel tuffo nel passato. È una scrittura davvero notevole.

Ogni scrittore immagina un lettore ideale. O forse no. Per te esiste? Se sì, il tuo lettore ideale come è fatto?

Come uno che sta molto da solo, di notte guarda i film, e sa essere molte cose opposte tra loro. Una persona è tanti attori per lo stesso ruolo, immagino, e il mio lettore deve essere uno così. E poi uno che ha sofferto. Nella sofferenza certe persone si capiscono del tutto.

Quale tipo di storia, a proposito di quel vissuto che chiamiamo vita reale, non scriveresti mai?

Una storia ambientata in un’epoca precedente: perché non l’ho vissuta e non mi stimolerebbe.

In fondo, alla fine della corsa del vivere quotidiano, tu perché credi ancora nel potere delle storie?

Emozionano, aggiungono stimoli, anni di vita. Con una certa sicurezza mi sento di sostenere che i libri sono la vita vera. Ponendo l’esistenza sotto una precisa lente di ingrandimento, la chiariscono. Sono quindi strumenti di vita e rivelano verità che, personalmente, da solo forse potrei soltanto intuire e il più delle volte trascurare. Se rifletto ad alcuni titoli letti di recente, come Invernale di Voltolini, La sindrome di Ræbenson di Quaranta, Ultracorpi di FM Esposito, capisco di aver afferrato parti di me grazie a loro. I libri ci rendono più attenti a ciò che abbiamo intorno e dentro di noi, e aiutano a comprendere noi stessi e di conseguenza gli altri. A tracciare le coordinate del gioco dell’esistenza. Ci insegnano a stare in silenzio, ad ascoltare. A guardare qualcosa cercandone il suo cuore profondo. I libri ci svelano i principi dell’amore. Ci spingono a perdonare. Personalmente, l’amore – e il dolore – di mia madre senza i libri non avrei potuto comprenderlo. E avrei dimenticato mio padre più velocemente. I libri rendono emotivamente – e concretamente – più intensa la nostra esperienza di vita, mettendoci in contatto coi suoi misteri.

E questo è il tesoro più importante di cui ci fanno dono

Se te la senti, raccontaci di un tuo manoscritto pronto, un testo che magari vorresti vedere pubblicato da un editore sensibile alla tua voce autoriale.

Magari la prossima volta che ci sentiamo.

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