Sono attraversati da armonia, garbo e dolce nostalgia i versi di Delfina Acosta, (Asunción, Paraguay, 1956) poeta, narratrice e saggista non ancora tradotta in Italia, pluripremiata, autrice inserita nell’Antologia Panamericana che raccoglie i materiali letterari dei migliori autori contemporanei d’America in lingua spagnola, francese, olandese e portoghese. Romancero de mi pueblo, ambientato nella città di Villeta (dove ha trascorso buona parte della sua giovinezza) ottenne nel 1998 il secondo premio Federico García Lorca e la raccolta Versos de amor y de locura fu premiata nel 2012 dal PEN Club degli Stati Uniti con il prestigioso premio Edward e Lily Tucker, per la letteratura paraguaiana. Particolare attenzione merita tra le sue raccolte, Versos esenciales (2001) dedicata alla memoria del grande poeta cileno Pablo Neruda, evocato con quel pacato sentimento nostalgico capace di restituirci il suono di una voce poetica risuonante ancora come un’eco, in tutta la forza del suo amore per il popolo, in tutta la potenza del suo canto, quello di tutto popolo latino-americano, colto nella sua estrema povertà .
Acosta ricorda, nel paragrafo introduttivo alla sua raccolta , che i primi versi che scrisse furono dolorosi, irrequieti , incerti , percorsi da un certo turbamento, a causa della profonda ammirazione che aveva provato dopo la lettura de I versi del capitano . […] Io so solo scrivere parole pacate in questo villaggio dove il vento muore […] Ah, se potessi cantare come te, Neruda !… ( trad. da Discúlpame…). L’aspetto che delle molte sfumature di Neruda ci viene offerto, è quello linguistico, che corrisponde ad un momento essenziale di quella particolare stagione di rinnovamento poetico che, sulla scorta dei vari movimenti d’avanguardia, aveva contribuito a rendere più feconda l’espressione lirica ispano-americana : Neruda, che maneggiò la parola come straordinario poeta, – scrive – fu un uomo nato per un destino di ferro, non di gesso. Ha fatto della poesia quello che molti avrebbero voluto ma non poterono. I poeti che onoravano le statue, la musa morta , la fredda lacrima ,bruciarono il suo nome in una pipa ma lui è rinato dalle sue ceneri . La paglia delle cose più semplici ha preso la sua parola facendo un fumo che ha riempito case e villaggi. ( trad. da Versos Esenciales)
La raccolta contiene immagini dense e luminose che fanno da sfondo ed esaltano luoghi dell’anima, affondano le radici in quel forte senso di appartenenza e condivisione di valori etici, morali e culturali che meglio rappresentano l’anima del Sudamerica e il suo potente desiderio di pace e di uguaglianza.
In Paraguay proibirono la sua lettura , ma la magica alchimia dei suoi versi era un forte richiamo di libertà che proseguiva il suo cammino nonostante la censura, bussando alle porte, richiamando i passanti come un fischio ( da En Paraguay prohibieron.. , traduzione di Giancarlo Cavallo ).
La scrittura di Delfina Acosta è dotata di quell’immediatezza, di quella efficacia verbale e passione capaci di traghettare la letteratura paraguaiana nello spazio culturale del nostro complesso secolo, aprendosi ad una dimensione globale ma con rispetto, umiltà nei confronti della grande eredità del poeta cileno. Ne condivide la visione di una letteratura d’urgenza, di una poesia definita utilitaria e utile, / come metallo o farina, / disposta ad essere aratro, / attrezzo, / pane e vino, /[…] ( in Odi elementari, 1954). Troviamo conferma di questo sentimento di profonda ammirazione già nella nota introduttiva all’opera: Scrivere cose come quelle che ho scritto io, fragili, per timore della sua fama mondiale, ma appassionate, per ammirazione nei confronti della sua statura di poeta dell’amore, mi è sembrato un atto di rispetto che non poteva aspettare oltre. E ancora: […] Chi legge un tuo libro vede il tuo volto,il miele scuro delle tue mani,la carnagione di Matilde Urrutia, il gesto con cui davi le briciole agli uccelli…. […] Chiunque può vedere le tue impronte ferme su tanta spiaggia bianca ed erba verde […] ( da Estás debajo, acaso…) La dizione spagnola e l’uso dell’endecasillabo trasformano il racconto poetico in un organismo vivente che si dispiega, verso dopo verso, in modo composito, senza funambolismi, con umiltà, usando il solo stile che Acosta conosce: il lavoro. Scorre, tra le metafore , quella linfa vitale che ha alimentato la coscienza pura di un uomo ingannato dalla storia ma che ha posto le basi di un orgoglio necessario: quello di essere latinoamericano. Un’identità che ancora oggi si dibatte fra sociodiversità, allegria e sofferenza, grandezza e miseria, illusioni e speranze vulnerabili che galleggiano nell’aria, nell’acqua, nel vento, nella luce di una terra che esercita da sempre la sua dolorosa fascinazione.
Rossella Nicolò
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IN PARAGUAY PROIBIRONO…
In Paraguay proibirono la tua poesia;
ma ti lessi settanta volte cinque.
E dissi: “No, signore, nessuna colpa,
nessuna prova certa di un reato
ritrovo in questi versi bagnati
dal sudore salato di uomo onesto;
la colpa, in ogni caso, è nostra,
del nostro fatuo cuore di pietra “.
E mentre ti proibivano, la tua poesia
continuava a fare il suo cammino,
bussando ai battenti delle porte,
chiamando i passanti come un fischio.
Il significato delle tue poesie
trovava intorno al fuoco il senso
profondo delle cose: il dovere
di condividere con tutti pane e vino.
La luce prigioniera fu liberata
nella tua fluida parola, il ritorno del merlo,
a cui si aggiungevano le parole
degli altri poeti, e divenne fiume,
allora, il canto di tutta l’America.
Non ci fu più racconto senza fanciullo.
E il sole, moneta preziosa, divenne umano.
E la vita fu lavata con la rugiada.
Da “Versos esenciales” ( traduzione di Giancarlo Cavallo)