Quando sentiamo parlare di “Mystic River” il ricordo immediato è al film uscito nel 2003 con la regia di Clint Eastwood e la straordinaria interpretazione di Kevin Bacon, Sean Penn e Tim Robbins, che ha fruttato agli ultimi due la vittoria del Premio oscar. Il film è tratto dall’omonimo romanzo scritto dall’americano Dennis Lehane che della trasposizione cinematografica è stato anche sceneggiatore e produttore.
La storia inizia nel 1975 nella periferia di Boston (città dove risiede l’autore e nella quale ama da sempre ambientare i suoi romanzi) quando tre ragazzini, Jimmy, Sean e Dave, assistono al rapimento di quest’ultimo da parte di due uomini che si fingono poliziotti, ma che in realtà lo tengono in ostaggio per quattro giorni e gli infliggono torture indicibili. Da quello scantinato buio Dave riuscirà a scappare, ma qualcosa dentro di lui si romperà per sempre.
L’azione si sposta poi nel 2000, quando i tre sono ormai adulti: Jimmy è un commerciante che (forse) si è lasciato alle spalle gli anni di prigione per le accuse di furto, Sean è un poliziotto della Omicidi e Dave ha una moglie e un bambino ma è ancora preda dei fantasmi delle violenze subite.
L’uccisione della figlia diciannovenne di Jimmy costituirà la triste occasione nella quale i tre amici di un tempo si riuniranno e saranno costretti a fare i conti con un passato solo apparentemente sepolto.
Forte di una trama davvero densa e di uno stile che non accusa il minimo segno di cedimento nemmeno nel corso dei passaggi più violenti e delicati, la vera forza della storia è costituita dalla caratterizzazione dei tre protagonisti: ognuno dei quali così intensamente ed egregiamente strutturato da poter essere considerato il personaggio principale.
Straordinarie le descrizioni del quartiere popolare dei “Flats”, il racconto delle classi operaie che, oggi come allora, popolano le periferie non solo di Boston ma della maggior parte delle metropoli degli Stati Uniti.
I temi che vengono sviscerati nel corso delle pagine (nella nuova traduzione d’autore di Mirko Zilahy) sono molteplici e vanno dall’amicizia all’amore, dal degrado sociale al bullismo e alla pedofilia, e tutti gli argomenti vengono mirabilmente mescolati dall’autore grazie ad una scrittura dai toni realistici che aiuta a immergersi ancora di più nell’atmosfera.
Un altro punto a favore di “Mystic River” è costituito dal ribaltamento delle aspettative del lettore, che, proprio quando credeva di aver compreso quale fosse l’identità del colpevole, si ritrova spiazzato e a fare i conti con una realtà completamente diversa, a voler significare che la verità non è sempre la più probabile, ma spesso si cela dietro un velo che costa fatica e coraggio sollevare.
In definitiva, nessuno è colpevole e nessuno è innocente sino in fondo in questo capolavoro, ma tutti si trovano a dover fare i conti con ricordi dai quali è impossibile liberarsi, proprio come è impossibile liberarsi del passato: solo dall’accettazione di quest’ultimo derivano la consapevolezza ed il coraggio di affrontare il futuro, ma a volte è così difficile fare la cosa giusta che molti preferiscono crogiolarsi nell’inerzia, nella speranza che gli eventi possano mutare la propria vita, proprio come l’acqua del “Mystic River”, il fiume che attraversa Boston, che continua incessantemente a scorrere e tutto trascina, ma che niente nasconde sino in fondo.
Gian Paolo Serino
Recensione a Mystic River di Dennis Lehane, Longanesi, traduzione di Mirko Zilahy de Gyurgyokai, pagg. 490, euro 19,60.