Era uno di quei paesi che non ne valeva la pena. Il biglietto, raffrontato al motivo, superava le attese più miseramente elementari. Le mappe ne contenevano a fatica lo scopo per cui millantava la vita. Tecnicamente di passaggio, anche al più attento tra i viandanti, non risultava, da nessuna parte, alcun segnale d’accesso. Non se ne narrava un inizio. Neppure una di quelle generiche allusioni al tema dei confini. Semmai coincideva col desiderio di intuire la fuga. Un ghigno toponomastico, quasi un azzardo estetico. Sotteso. Tangibile, ma tra parentesi. Di poco sopra l’evidenza di un rumore. Uno di quei tentativi, ma intrecciati carnalmente agli impeti dell’esclusione. E tutto, proprio tutto, oscenamente posto al banco. L’Evangelo della sconsideratezza. L’orrido, così perfettamente manifestato, inibì ferocia e impulsi. In genere, possiedo gli scopi del tempo. Ne organizzo la sorte. Ne vivo, in anticipo, l’urlo della conseguenza. Non fu difficile. Malgrado gli affari per cui quel viaggio, decisi che l’attesa avrebbe potuto valere la nettezza del ritardo. Occorre un pretesto per agire un preambolo. Di qualsiasi natura. Il mio, almeno in apparenza, validava lo scopo. Non giunse dal rancore o da quel ponderato innesco. No, quel nulla siderale, ma diligentemente uniformato, tra ripetibili manufatti e ingorde colorazioni, non avrebbe prodotto alcun ossesso turbamento. Venne dalla sfrontatezza, invece. In banchisa. Da quel generico sentimento che, tra varianze chimiche e ridondanze mistiche, miscela forza incosciente e desiderio di sfuggire ai rumori della morte. Non oltrepasso una soglia, se non smaschero la cialtroneria del fallo. Così, lasciato il caustico sintomo dei luoghi, orientai la curiosità ai motivi di quella inaspettata evenienza. E al lemma del desiderio associai quello dell’eresia. Per il clima generale delle cose, in ossequio alle prescrizioni sanitarie, la presenza dei due, in quello che rimestava inutilmente i segni dovuti ad un antico transito, sarebbe stata censurata e alla fine, denunciata la doglianza, ben sanzionata dalle autorità che fin lì avevano provveduto al controllo e alla inibizione della diffusione del veleno. In disparte, dai vetri di quello che ha una lontana verosimiglianza con un bar, regolai la mia curiosità alle ragioni di quei lemmi.
Uno ad un passo dall’altra, come le estati che esaltano l’indifferenza, alle spalle del loro camminamento erano le prepotenze muscolari delle prescrizioni contro la diffusione del contagio.
Sconosciuti, ma costretti entrambi agli obblighi infausti dell’attesa.
Nessun’altra variabile compendiava quella mesta solitudine. Forse, la paura. E quel genere di tormento che fa esule l’umanità fra gli editti della sopravvivenza.
Avrei scommesso sulle frasi perentorie del terrore. Avrei attribuito all’ovvio l’urto della conseguenza.
Dio, d’altronde, non sembrava più disponibile.
Fu lui con la più esorbitante delle scuse:
“No, mi spiace. Non fumo”.
Al banale richiedente, risultò sufficiente uno scatto.
Letale. Formidabile. Di lama.
Uno di quei temporali che dicono il mondo quand’è miserabile l’uomo. Più eretico della gloria ecumenica della legge: il santuario laico dell’eternità.
Un bacio.
Fu lui a disorientare.
Cingendola di vita liquida e conturbante esistenza.
Avvighiandone gola ed anima.
Lei, dopo i tumulti dell’assalto, per quel paradiso in fiamme, dimenticando il colera, si lasciò andare all’orda gotica di quella scherma in bocca.
Al fragore illecito, si aggiunse un continente di numeri arditi.
E il consenso alla felicità venne da quel calore combaciante che il mondo sa in un abbraccio.
Era uno di quei paesi che non ne valeva la pena.
Il treno giunse al suo punto di snodo.
29 settembre 2022. Tutto tornò intatto. In ordine, debitamente catalogato. Nessuna aspirazione, o segnale disposto alle necessità, dispiacque alcuna intesa. Come sempre, risultò indispensabile non farsi desiderio. Non lontano, dal quel bar, ricominciarono le formule e i luoghi.
Il posto rifletteva soltanto una conseguenza.
Tecnicamente di passaggio, ma, a causa di quel bacio, l’unico posto al mondo capace di ridare vita a Dio.
Vito Benicio Zingales