A conti fatti, questa sembra essere l’epoca più stupida della storia dell’umanità. Su questo assunto si fonda la struttura e lo sviluppo de L’asino coronato, libro di Diego Scarpanti in uscita da Il Rio. Programmaticamente, al centro dell’attenzione, a partire dalla copertina, si staglia l’ “asino coronato”, simbolo potente della nostra società contemporanea, che in maniera sempre più diffusa e profonda finisce per coronare, appunto, autentici “somari”, ovvero individui dotati di un’ “intelligenza asinina”. Ed è proprio da questo punto che si sviluppa la ricerca e l’analisi di Scarpanti, che affronta il problema da un punto di vista multidisciplinare, partendo da uno sguardo sociologico sulla società occidentale e sul villaggio globale, dalla Società dello spettacolo per scomodare Debord, e da un mondo dominato dall’intrattenimento. È in questo brodo culturale decadente che si sostanzia il trionfo dell’asino, e con esso l’affermazione di individui dal profilo intellettuale decisamente modesto. Scarpanti lavora in maniera profonda a una fenomenologia della stupidità, ricorrendo al soccorso di un ampio ventaglio di riferimenti teorici – da René Guénon a Bertrand Russel, da Naomi Klein a George Orwell, da Gustave Le Bon a Friedrich Nietzsche – mettendone in evidenza poi i vizi, le caratteristiche distintive e gli errori più comuni. Un lavoro che si estende anche alla dimensione psicologica e pedagogica del fenomeno, toccando anche il “cretinismo accademico”, stupidità e malafede, e l’idiota in politica. L’asino coronato è una lettura che si rivela decisamente appassionante, grazie a una struttura e una prosa in grado di coinvolgere strettamente il lettore in vista di quella che potremmo definire una “scoperta”: la scoperta della stupidità.
Paolo Melissi
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A conti fatti, questa sembra essere l’epoca più stupida della storia dell’umanità. Alcuni, quelli che non ci arrivano, confondono il progresso tecnico con il progresso sociale. Non capiscono che mai, come in questa epoca, c’è stato un divario così grande tra classi sociali in termini di ricchezza, diritti, istruzione e opportunità di vita. I ricchi di oggi sono infinitamente più ricchi e potenti degli Zar di Russia, così come del Re Sole francese. Il divario, non solo in termini di potenza economica, ma anche di conoscenza, è immenso. I più sprovveduti pensano che andando all’università e prendendo una laurea in economia riusciranno a penetrare gli astrusi meccanismi dell’economia finanziaria; niente di più lontano dal vero. In modo paradossale, chi prende una laurea in economia è certamente la persona più lontana dal capire i veri meccanismi che regolano l’economia reale. Questo sovvertimento della conoscenza, in cui gli stupidi, o quanto meno sprovveduti, passano per intelligenti e gli intelligenti vengono umiliati con lo stigma della stupidità (ad esempio col termine infamante di complottista), è l’essenza dell’epoca contemporanea. Bertrand Russell distingue quattro epoche relative alla stupidità e all’intelligenza in questo modo:
Nella storia del mondo ci sono state quattro tipi di epoche. Ci sono state epoche in cui tutti pensavano di sapere tutto ed epoche in cui tutti pensavano di non sapere nulla, epoche in cui gli intelligenti pensavano di sapere molto e gli stupidi pensavano di sapere poco ed epoche in cui gli stupidi pensavano di sapere molto e gli intelligenti pensavano di sapere poco. Il primo tipo di epoca è quello della stabilità, il secondo del lento decadimento, il terzo del progresso e il quarto del disastro.
Noi siamo, ovviamente, il quarto tipo di epoca, quella del disastro. Disastrosa è la conduzione dell’economia, disastrosa la medicina, disastrosa la scuola, disastrosa la politica. E nonostante qualcuno, compiacente con chi produce questi disastri, faccia distinzioni tra un paese e l’altro, ad esempio tra Italia e Germania, non ci sono poi queste grandi differenze tra nazioni diverse in termini di distribuzione di intelligenza e stupidità. L’economia del disastro, cioè l’antropologia che sottende questa situazione, è il medesimo per tutto il mondo occidentale e ormai gran parte di quello orientale. La causa prima di questo disastro è naturalmente la stupidità. Stupidità che si è impossessata di tutte le istituzioni, da quelle universitarie a quelle parlamentari, dai più piccoli circoli culturali ai più grandi intellettuali di punta. Ciò che contraddistingue tutte queste istituzioni e chi ne fa parte è la boriosa arroganza che si può trovare solo in bocca a una persona stupida, che, come avremo modo di capire, prima di ogni altra cosa non capisce e non è consapevole della propria stupidità.
La stupidità, infatti, non è in grado di essere cosciente della propria stupidità, ovvero un individuo stupido non sa di esserlo e questo costituisce la sua caratteristica più distintiva: l’incapacità di porsi in relazione con il prossimo che può restituirgli questa consapevolezza. Per questo motivo il termine ‘stupidità’ è sinonimo di ‘idiozia’, ‘idiota’, infatti, significa ‘uomo privato’, un uomo, e ovviamente anche una donna, che non è in grado di essere in relazione significante con l’altro, qualsiasi altro possibile. La nostra epoca è l’epoca dell’asino coronato (vedi copertina): il somaro che “parla” ex cathedra, il somaro preso come modello e punto di riferimento.
Il fatto che asini e scimmie abbiano la corona, la dice lunga sul livello intellettuale e istituzionale di questo tipo di società. Nella società contemporanea, dove si pensa che per fare cultura basti un computer, dove la pura apparenza ha sostituito la conoscenza nella scala dei valori, che, nel caso dell’uomo, è un contenuto che dovrebbe essere fatto di idee e non di contenitori di idee (i computer), gli intellettuali di punta ci spiegano che dobbiamo avere fede, fede nelle loro parole vuote di contenuto e di significato, cioè una fede nel nulla, nella pura assenza di qualsiasi idea, principio e contenuto: dobbiamo avere fede nel nulla, tendere alla pura estetica, cioè al nulla. Il vuoto assoluto che ci deve essere nelle teste di queste persone è il vuoto che si sta cercando di portare nelle teste dei bambini, degli studenti e dei ricercatori, riempiendoli di un nozionismo tecnico – in primis la statistica e l’inglese – al posto di un qualsiasi contenuto culturale.