Dilaga ovunque è l’ultimo ‘librido’ di Vanni Santoni edito da Laterza nella Collana Solaris nel 2023. Dilaga ovunque mescola la forma del saggio e del romanzo disseminando il testo d’immagini. Iconografia, grafia, scrittura e testimonianza urbana, compulsata dalla «presa di coscienza del fatto che parlando di graffiti e street art avrei avuto un punto di partenza privilegiato per parlare dello spazio pubblico e della sua riduzione, della mortifera “ideologia del decoro”.» L’immediatezza della prosa di Santoni, la scelta di forme non canoniche, va da sé, è il risultato di una sorta di sacrificio per percorrere un luogo difficile, quello della Letteratura «tutto pieno di gente morta davvero eccellente» alla cui perfezione si dovrebbe aspirare. In questo senso, il tema dei graffiti, e del libro che ne interpreta gli stili e le discipline, è più simile a un «lavoro dei monaci amanuensi medievali» che fa della street art una ‘accantocultura’, non una sottocultura, di cui si raccontano le gesta con precisione e leggerezza mescolando ricerca di documenti e storie di soggetti desideranti. Detestando la censura, Vanni Santoni scrive un ‘librido’ che aiuta a contestare un certo sistema culturale, attraverso un romanzo che non è, come nessun romanzo deve, «programmaticamente politico, altrimenti rischia di diventare didattico, o ideologico, e in entrambi i casi è la morte dell’arte.» Dilaga ovunque compie il miracolo di un romanzo-librido che rifiuta lo status quo pur essendo lo scrivere, per Vanni Santoni, un mestiere, un lavoro…
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Qual è stata la genesi e il desiderio a scrivere il tuo libro?
Dilaga ovunque nasce nella scia di altri due romanzi cosiddetti “ibridi”, Muro di casse, dedicato alla cultura rave, del 2015, e La stanza profonda, sui giochi di ruolo, del 2017. Due sottoculture molto diverse, ma che hanno in comune elementi costitutivi profondi: tanto i free party quanto i giochi di ruolo sono stati creati dalle stesse persone che desideravano averli; sono non-competitivi, autogestiti e creativi (e per questo hanno messo in discussione alcuni paradigmi del sistema); sono stati mistificati o criminalizzati per decenni da stampa e TV; hanno trionfato, influenzando in modo permanente l’immaginario; in alcuni casi sono stati cooptati o sussunti dal sistema stesso.
Un giorno Giovanni Carletti, editor di Laterza, mi disse, “Oh, Vanni, ma non ti pare che queste caratteristiche si applichino precisamente anche a writing e street art?” E io gli dissi che era dimolto bravo, e pensai che in effetti ci avrei potuto fare un libro. C’era, però, un “però”. Del mondo dei free party e quello dei giochi di ruolo avevo fatto parte in prima persona per non men che venticinque anni: ne conoscevo ogni anfratto e avevo (e ho tuttora) un fortissimo senso di appartenenza verso quelle sottoculture. Coi graffiti era diverso: certo, avevo frequentato a lungo gli stessi spazi autogestiti dove si erano formati e lavoravano molti writer e street artist; certo, mi ero gingillato con pennarelli, sticker, poster e stencil; ma non ero mai stato uno che scendeva nei depositi della metro o scavalcava le reti di quelli dei treni con uno zaino pieno di bombole. Questo già implicava la necessità di sentire più gente, fare più documentazione, lavorare di più (e infatti se da Muro di casse alla Stanza profonda passarono solo due anni, dalla Stanza profonda a Dilaga ovunque ne sono passati sei), ma mi dava anche un deficit di motivazione, oltre che di legittimità… Ok, era un mondo che conoscevo e che mi piaceva, ma perché avrei dovuto farlo io? Ciò che mi ha fatto infine decidere è stata la presa di coscienza del fatto che parlando di graffiti e street art avrei avuto un punto di partenza privilegiato per parlare dello spazio pubblico e della sua riduzione, della mortifera “ideologia del decoro”, tutti temi su cui lavoro da tempo. Lì è nato il vero desiderio.
L’ultimo passaggio è stato capire che questo libro doveva essere “interpretato” da Cristiana Michelangelo, già tra i protagonisti dei Fratelli Michelangelo. Lì ho trovato anche la sua voce e la sua linea di pensiero.
Gianluca Garrapa
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Quando scrivi, godi?
Si potrebbe citare Dorothy Parker: “odio scrivere ma amo aver scritto”. Forse sarebbe troppo, perché in realtà non odio scrivere, ma di certo neanche godo mentre lo faccio. Mi metto sotto ogni giorno, ogni singolo giorno, con rigorosa disciplina, che ne abbia voglia o meno, mi forzo a puntare a obiettivi stilistici e formali eccessivamente elevati, guardo a modelli che so già essere irraggiungibili, quindi di base è, come si suol dire, “più un pati’ che un gòdere”; dall’altro lato però trovo soddisfazione nell’averlo fatto, la letteratura è un bel posto in cui stare, tutto pieno di gente morta davvero eccellente, quindi alla fine si fa pari.
Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché? Lo puoi trascrivere qui?
Sarà banale, ma è l’incipit:
“E sì, avevi dimenticato cosa succede quando scavalchi una rete con su il cartello VIETATO L’INGRESSO (qui: PROHIBIT EL PAS) e salti dall’altra parte. C’è come un balzo di risoluzione, e non solo visiva, ma anche uditiva, olfattiva, tattile… Tutto diventa meglio definito; il mondo attorno, nel buio, cambia, e cambi tu, lo senti, è come vivere una trasfigurazione – in predatore, ma pure in preda: l’adrenalina amplifica i sensi; l’udito ora coglie ogni suono, anche minuscolo, vicino o lontano, e riesce a posizionarlo; l’olfatto riprende il suo spazio nei lobi frontali e disegna un campo di odori – piscio, nafta, freni di treno, quello di vernice delle bombole che i tuoi compari hanno negli zaini – ad affiancare nella mente la modulazione d’impressioni e contrasti prima impercettibili che le pupille, adattandosi all’oscurità, rendono ora manifesta, ed ecco apparire nettissima, nonostante la felpa nera e il cappuccio tirato su, Tea che appiccica un adesivo su una paratia di plexiglas alla tua sinistra, mentre **** è già oltre, ha passato due binari e sussurra, forte, un sibilo come uno sfiato di vapore: Cosa vi fermate? De qua, su!, e indica i due rodalíes, i treni extraurbani, che dormono, arancioni e bianchi, il muso tozzo e squadrato da bestia mite, sulle rotaie di servizio.
…
Be’, c’hai ancora ’na discreta mano…”
…e tutto quanto segue, fino a quando la protagonista Cristiana viene fermata dagli sbirri: è importante ed è stato difficile perché è arrivato dopo, quando grazie al consiglio della mia editor Anna Gialluca (oggi mi sa che è il giorno in cui si rendono i meriti a chi li ha ^-^’), a libro praticamente finito, abbiamo deciso di cambiare l’inizio, che prima era metanarrativo, in favore di una soluzione più dinamica. Aveva ragione.
Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?
Penso che a maggior ragione sia scrittura, perché parla di un’arte che ha sempre rivendicato la sua natura calligrafica: i graffitari hanno sempre parlato di writing o al massimo style writing. Rammelzee, uno dei più alti esponenti di questo movimento artistico, non mancava mai di dire che non voleva essere accostato al muralismo, ma al lavoro dei monaci amanuensi medievali.
Che rapporto hai con la censura?
La detesto, come presumo – o almeno spero – qualunque altro scrittore e lettore. Ma non l’ho mai subita, neanche preventiva: a parte appunto onesti e spesso fruttuosi editing, quel che ho scritto è sempre stato pubblicato così com’era, anche quando aveva temi più controversi come ad esempio il mio primo romanzo Gli interessi in comune.
Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?
È diventato un mestiere ma lo farei anche gratis, come del resto ho fatto nei primi anni. Circa lo status quo… ho scritto romanzi che sono stati reputati “politici”, ed è questo il caso di Dilaga ovunque (si veda ad esempio quel che ha scritto Morena Marsilio qui, o quel che ha detto David Allegranti di qua), ma credo che un romanzo non debba mai essere programmaticamente politico, altrimenti rischia di diventare didattico, o ideologico, e in entrambi i casi è la morte dell’arte. Se però alcuni miei romanzi aiutano qualcuno a pensare modi per contestare lo status quo, ne sono ben contento.