L’Autunno di Atlantide Edizioni ha segnato il ritorno di una delle autrici più apprezzate della collana Classica della casa editrice: dopo “Una storia ungherese” e “La dinastia dei dolori”, Margherita Loy è tornata in libreria con l’ultimo toccante romanzo dal titolo “Dio a me ha dato la collina “, terza prova narrativa di un’autrice di rara intensità. In questo romanzo tutto è declinato al femminile e, con una lingua delicata e viva, Margherita Loy ci restituisce la storia di due donne in un continuo confronto serrato. Due figure di donna in un corpo a corpo continuo nello scorrere lento delle stagioni, come grani di un rosario, lungo una collina che per ragioni diverse tiene entrambe in ostaggio.
«Credo di sapere quale è stato il mio momento», dice la protagonista più giovane di questo romanzo, cercando di rispondere alla domanda che la tiene in ostaggio: quando una vita sceglie ciò che determinerà, in una cascata inarrestabile, gli avvenimenti successivi? E una domanda legittima, visto che proprio lei ha preso, sull’onda di una indomabile passione, una decisione irrevocabile, che non si è mai concessa il tempo di ripensare. Ma quando si trova nell’impossibilita di allontanarsi dal suo piccolo podere, tutto il passato, col suo carico di rimorso e mistero, le precipiterà addosso. Sarà grazie a Enza, la vecchia anziana contadina storpia, che riuscirà a maneggiare il materiale incandescente di erotismo, maternità incosciente, rimpianti e solitudine di cui è plasmata.
Antenello Saiz
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Margherita, ti faccio un paio di domande per capire come entrare col giusto passo dentro le pagine delicatissime di questo libro. Intanto partirei dal titolo per capire come è nata l’idea di questo romanzo e di questa Collina che si fa, indubbiamente, pilastro della storia e terzo indiscusso personaggio che scandisce il tempo della narrazione?
Punto 1: Vedevo ogni giorno una contadina che vive nella piana, qui sotto la collina dove vivo io, china sul campo grande e scuro di una bella terra grassa; la sua schiena completamente piegata la costringeva a lavorare con il viso a pochi centimetri dalla terra. Rallentavo con l’auto per guardarla meglio. Immaginavo la sua vita e avrei tanto voluto fermarmi a parlare con lei. Ma qui la gente è schiva e riservata e non avrebbe apprezzato la mia insolita curiosità. Così mi è venuta una gran voglia di raccontare la sua vita. Punto 2: Era un po’ di tempo che sentivo il desiderio di scrivere una storia con il “tu”, come se ci fosse qualcuno presente da intervistare e con cui confidarmi. Punto 3: Sono più di vent’anni che mi sono trasferita qui in collina e ho attraversato momenti di paura, di stupore e di gioia; mi sono molte volte sentita piegata, persa e sola, spaventata dalla responsabilità che la campagna mi metteva sulle spalle, senza sapere a chi rivolgermi e in quei momenti sognavo di poter condividere con quella contadina i miei pensieri cupi, le mie preoccupazioni. Quando ho inziato a scrivere ho capito che avevo in me molta riconoscenza, molto amore e passione per questa terra. Non solo timore e ansia. Scrivere della collina, accettare che fosse ormai diventata parte di me, mi ha immensamente aiutato a conciliarmi con lei, a smettere di volerla controllare, a voler prevedere ogni cambiamento, a fare i conti con l’impermanenza di noi piccoli esseri in questo vasto mondo naturale, il cui manifestarsi è imprevedibile, a volte colmo di poesia, altre volte minaccioso e mortale. Ho immaginato che la contadina avesse una fede religiosa semplice e profonda che le permettesse di affrontare giorno dopo giorno la durezza, la ferocia e la bellezza della terra.
Il resoconto di una vita intera innescato dall’incontro tra una donna in isolamento forzato e un’anziana contadina. Vogliamo raccontare nel dettaglio queste due donne, che tra sensi di colpa, solitudini, segreti, ricordi, passioni, alla fine della lettura restano letteralmente appiccicate addosso al lettore, soffermandoci anche sul tema della maternità, tanto presente nei tuoi romanzi?
La protagonista è costretta, da una condanna, a restare nel perimetro della collina e a prendersi cura dell’anziana contadina storpia. Il lettore non sa perché è stata condannata ai servizi socialmente utili e lo capirà solo alla fine: quello che il lettore ha davanti è una donna sola che ha un unico desiderio: allontanarsi da dove l’hanno confinata, quel suo podere di tre ettari, che è stato nel passato teatro delle sue scelte turbolenti, del suo modo “aritmico”, “dissonante” di procedere nella vita. Ma non può scappare, come ha fatto fino alla primavera che apre il romanzo. La contadina, dura e intelligente, procede nella vita in consonanza con la terra, piegandosi e flettendosi senza opporre allo scorrere della giornata la rigidità dei progetti o delle aspettative. Enza, la contadina, ha anche lei un segreto da nascondere, ma la sua colpa è frutto di una necessità semplice, terrena, concreta: riposarsi, stare al caldo. Invece la colpa che si apre con chiarezza alla protagonista è frutto del suo essere contorta, del suo essere “collinare”, con i saliscendi emotivi… Volevo che tra le due donne ci fosse una distanza abissale e che in quell’abisso finisse la protagonista per uscirne rinnovata, come da una preghiera fatta con fiducia.
#Da poche settimane è scomparsa la tua mamma, la grande, grandissima Rosetta Loy, e tu sai quanto io abbia amato i suoi libri e le sue narrazioni. Ci racconti il tuo modo di lavorare sullo stile e anche il linguaggio, alla luce delle letture di Rosetta e dei libri che hanno segnato il tuo cammino di Lettrice Forte.
Mia madre è stata una scrittrice straordinaria e ancora adesso, riprendendo in mano i suoi libri, mi stupisco che io abbia vissuto accanto a una donna di così grande talento. Anzi, direi che da quando non c’è più riesco a collocarla al di sopra del nostro rapporto madre/figlia e a considerarla prima di tutto come una straordinaria scrittrice e capace anche di fare politica, di impegnarsi su temi scottanti e importantissimi con una grinta e una forza rare. Penso al suo libro Gli anni fra cane e lupo che così bene racconta i misteri sanguinosi del nostro Paese. In Francia è uscito su Le Monde un ricordo di mia madre che sottolinea giustamente il lato politico, impegnato, della sua produzione letteraria, il suo antifascismo e il suo antirazzismo. Il modo di scrivere di mia madre è molto diverso dal mio. Lei è stata una donna dalla testa fredda, sapeva toccare con fermezza le parole e lasciare le sue emozioni fuori dalla porta della narrazione. Magari poi queste rientravano dalla finestra, come nel suo libro più famoso e che io ho amato tantissimo, Le strade di polvere. Io sono il contrario: sono sempre stata una persona emotiva, troppo emotiva, e quando scrivo non ho freni, vengono fuori paure, angosce, esaltazioni e avvilimenti. Solo dopo inizio un lavoro di limatura: tagliare e allontanare il materiale incandescente che mi è scoppiato sulla pagina. Spreco così molto tempo per scrivere un romanzo, devo tagliare, tagliare, tagliare. Togliere i luoghi comuni, cambiare gli aggettivi, togliere gli avverbi. E togliere quegli episodi che mi sembravano belli ed emozionanti ma erano privi attinenza con la storia. In questo mia madre ed io abbiamo stili diversi e anche le nostre passioni letterarie erano dissimili: lei amava la prosa meravigliosa di Proust, Tolstoj, Gadda, Natalia Ginzburg (autori che ammiro tantissimo). Io però prediligo la poesia di René Char (che ho messo in esergo al mio romanzo) di Marina Cvetaeva, lo stile di Clarice Lispector, di Guimaraes Rosa, di Annamaria Ortese, di Elsa Morante, la pirotecnica prosa di W.H. Sebald; in comune avevamo l’amore per la storia, per scrittori come il Vasily Grossmann di Vita e destino, lo Stephan Zweig di Il mondo di ieri. Ma raramente ci scambiavamo opinioni sui libri letti, però fu lei a consigliarmi di leggere Irene Nemirovsky e di questo gliene sarò sempre grata. Mia madre leggeva poco la prosa contemporanea italiana, preferiva gli autori francesi (Modiano) o americani come Philippe Roth, mentre io sono molto attratta da autori italiani e non, come Trevi, Pia Pera, Alessio Forgione, Marta Barone…ultimamente ho amato molto il romanzo di Alba Donati , La libreria sulla collina. Ho una passione per Quel che si vede da qui, di Mariana Leki, giovane scrittrice tedesca
BUONA LETTURA DEI LIBRI DI MARGHERITA LOY PUBBLICATI DA ATLANTIDE EDIZIONI .
Antonello Saiz