Vista: A ogni ora le terrazze sono troppo alte per vedere esattamente chi stiamo acclamando: che cosa vuol farci vedere lo scrittore con le sue parole?
l’impressione che ho è che si tratti semmai di distogliere lo sguardo. deguardare. sia l’autore di questo frammento (incidentalmente io, borgesianamente chiunque) sia tutto il libro raschiano via dalla pagina l’ipotesi stessa dello sguardo, consumandolo per abuso, per eccesso d’uso. qui l’enormità si dà proprio nel verbo vedere: come capire, decifrare. ma già solo percepire.
Tatto: Portano delle borse, di cuoio, di plastica, trolley, sacche, zaini, marsupi: che pelle crede di avere il Paziente del tuo ultimo lavoro?
quello del racconto che dà il titolo al libro crede troppe cose, credo. di qui l’orribile conclusione, che a questo punto ogni lettore sarà avido di conoscere.
Udito: Sentiamo anche un paio di acuti di sassofono, o di qualcosa che gli assomiglia: cosa sentiamo durante una lettura de “Il paziente crede di essere”?
un altorilievo barocco in gesso che si fessura nel 1793. ritrae una teoria di giovani bendati e bendate che procede da un capo all’altro dello spazio utile. il suono dell’incrinatura dura pochi millisecondi. l’ho udito nel 1993 e di nuovo nel 2005 e ne ho fatto la colonna sonora del libro. è evidente in tutti i testi e in ciascuno.
Odorato: Il fetore di forme di carbonio complesso arse cambia colore all’atmosfera: che odore ha la tua prosa?
quello di qualsiasi composto molecolare estraneo al poetico. alla poesia. al romanzo.
Gusto: Se li mette in bocca, li mastica e ingoia. Come fa a farlo sotto questi alberi, sotto questi lecci, non si sa. È disgustoso: quali sono i sapori che il Paziente crede di preferire, quando scrivi?
come per gli odori. cfr. sopra.
Mi fai una domanda in forma di poesia?
no
(poesia monoverso monosillabica)