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Divertirsi da morire

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Finalmente viene riproposto da marsilio, dopo anni di oblio editoriale, un testo capitale per comprendere il dramma dei nostri tempi “mediati”. In Divertirsi da morire Neil Postman – sociologo e docente di “ecologia dei media” alla New York University- partendo dall’esempio degli Stati Uniti anni ’80, dimostra come la televisione abbia provocato un declino inarrestabile della cultura basata sul confronto razionale e sulla “mentalità tipografica” a beneficio di un’informazione ormai totalmente asservita a quei diktat “spettacolari” già delineati da Guy Debord. Tesi fondamentale del libro, però, è il confronto tra due tipologie di società: la prima, più conosciuta e temuta, è quella profetizzata da George Orwell in “1984” con un Grande Fratello che vigila e controlla i nostri comportamenti sociali intervenendo sulle “devianze”; la seconda è invece quella, quasi sconosciuta, descritta da Aldous Huxley ne “Il Mondo nuovo”: una dittatura democratica che controlla i propri cittadini non attraverso le punizioni, ma attraverso i piaceri.

Il saggio di Neil Postman parte dall’ipotesi di Huxley per dimostrarci come la nostra cultura, sempre più volgare e cafonesca, ci abbia condotto ad una realtà concentrazionaria molto più terribile di ogni dittatura: un mondo dove alla strategia della tensione si è sostituita quella della finzione. “Ci sono due modi”, scrive Postman, “per spegnere lo spirito di una civiltà: nel primo – quello orwelliano- la cultura diventa una prigione. Nel secondo – quello huxleiano- diventa una farsa. “Nella profezia di Huxley”, spiega Postman, “non c’è un Grande Fratello che, per sua scelta, guarda verso di noi. Siamo noi, per nostra scelta, a guardare verso di lui. Non c’è bisogno di carcerieri, cancelli, telecamere. Quando una popolazione è distratta da cose superficiali, quando la vita culturale è diventata un eterno circo di divertimenti, quando ogni serio discorso pubblico si trasforma in un balbettio infantile, quando un intero popolo si trasforma in spettatore e ogni pubblico affare in vaudeville, allora la nazione è in pericolo: la morte della cultura è chiaramente una possibilità”. La differenza sostanziale – ed è questo il punto focale del libro- è che un mondo alla Orwell è molto più facile da riconoscere e quindi da combattere rispetto alla farsa del “Mondo nuovo”: “Siamo tutti pronti ad abbattere una prigione, quando i cancelli stanno per rinchiudersi su di noi. Ma che succede se non si odono grida d’angoscia? Chi è disposto a prendere le armi contro un mare di divertimenti?” “Divertirsi da morire” dimostra come tutti noi, senza accorgercene, viviamo in un lager dove a mutare sono soltanto gli scenari e i metodi: i fili spinati oggi sono dentro le nostre teste, le camere a gas sono il cielo, le catene sono diventate museruole mentali, mentre le sirene dei campi di lavoro sono state sostituite da quelle delle fabbriche prima e delle tivù poi. Certo, non abbiamo un numero tatuato sul braccio, ma siamo ridotti a codici a barre umani. Il nostro campo di lavoro è il supermercato, quello di sterminio il mondo. Non abbiamo scelta, perché amiamo la nostra stessa schiavitù: nessuno più ci imprigiona e questa diventa la nostra peggior prigione.

 

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