Che l’impossibile sia il reale e che la scrittura ne possa simbolizzare gli esiti più paradossali ce lo dimostra bene Ivan Talarico con i suoi brevi, assurdi, surreali amori impossibili. Dizionario degli amori impossibili – Sentimenti e risentimenti tascabili è un una raccolta di racconti di amori impossibili ma anche di muri e di incomunicabilità, di assurdità surrealiste e che però mettono in evidenza, come tutto ciò che è incongruente e illogico, l’aspetto più reale delle cose. Diciamo anche, per rimanere nell’ottica surrealista, che forse proprio l’inciampo della logica e della razionalità evidenzia la normalità stessa. C’è molta comicità e umore nero ma anche umore bianco, se vogliamo, nella sua raccolta. Lo humor che racconta la fragilità dell’amore, come presa immaginaria sul simbolico scrivere. Se è vero che i nomi uccidono le cose limitandone gli attributi, in questo caso, invece, i nomi, a mio parere, amplificano e dilatano le persone e le situazioni, gli accadimenti. Nomi, ordinati in un elenco finale, la cui stranezza stravagante e inverosimile creatività sono tutto un programma, nonostante questi impossibili personaggi siano un po’ le nostre stesse ossessioni, i nostri incubi e le nostre bizzarrie di animali amanti e desideranti. Siano proprio gli esseri umani.
«Dizionario degli amori impossibili – Sentimenti e risentimenti tascabili»: come nasce questo libro con, in esergo, la dedica A chi prova un sentimento, ma poi non lo mangia? Cosa ci si deve aspettare da una premessa così intelligentemente comica?
Che stia tutto lì, nella premessa, e il resto sia superfluo. Ma per fortuna le aspettative sono fatte per essere disattese.
«Lui scrive i nomi dei genitori sul vetro umido, poi ci alita sopra e tutto scompare.» I nomi dei personaggi sono impossibili, costruiti spostando accenti, declinando improbabili sostantivi nel genere maschile o femminile, nomi mitologici, aggettivati, participi sostantivati. Dietro questi giochi di parola, in realtà, c’è tutto un lavoro sulla lingua, sui suoni, e sui caratteri: come sono nati i nomi dei tuoi personaggi?
Sono nati dal desiderio di creare un mondo nuovo e parallelo al nostro. Ricalcati su nomi veri, deformati e poi piano piano sottratti all’abitudine e all’usura della pronuncia. E successivamente anche alla funzione didascalica. Già nel mio primo libro di poesie (Ogni giorno di felicità è una poesia che muore, Gorilla Sapiens Edizioni, 2014) c’era un breve racconto intitolato “Ottapia e Giofanni”, precursore di questo libro, che prendeva le mosse da quei due nomi deviati. Mi sono allontanato sempre più dall’intellegibilità, a favore dell’astrazione.
«Entrano in tanti, come se fosse una festa, persone sconosciute e conosciute. Parlano, mangiano, saltano, volano.» In queste brevi prose tutto è connesso, possibile e fantasia, irreale e impossibile. Quel che può accadere diventa un paradosso, e l’impraticabile diventa sostanza motrice delle azioni: come nascono le azioni e le interazioni fra questi personaggi dai nomi improbabili?
È nato tutto da un momento preciso, che è la fase del risveglio. Ho scritto molti dei racconti tra le 6 e le 10 del mattino, lasciando che i sogni evaporassero in ragionamenti. Nel libro tutto è possibile perché non ho mai creduto troppo alla separazione tra realtà e immaginazione nell’arte, già fatico nella vita. La realtà, per come spesso è intesa, è una limitazione del reale, che invece contiene al suo interno ciò che percepiamo, ciò che immaginiamo, ciò che pensiamo, ciò che non esiste e le molteplici variazioni di tutto ciò. In questo scenario si muovono i personaggi, interagendo per percorsi matematici, schematici, prevedibili, spesso distrutti da variabili assurde.
«Scrive una lettera piena d’amore, chiedendo perdono a Ergomio per avergli dato il consiglio sbagliato e poi si toglie la vita.» L’argomento e lo sfondo dei tuoi racconti è l’amore: come hai deciso di dedicare un dizionario alle vicende dell’amore? C’è qualche riferimento alla tua vita personale oppure tutti i riferimenti alle vicende narrate sono puramente casuali?
I riferimenti alla mia vita personale li ho messi nei libri di poesie, camuffati, cifrati, fraintesi e distorti. La poesia è questa mia debolezza del lasciar depositare la vita dove la vita non dovrebbe stare, sulle pagine. Per fortuna in questo libro ogni racconto è immaginato, ogni amore è vero quanto inesistente, non riguarda me stesso, non riguarda nessuno che io conosca, salvo rari casi. È un mondo a sé, con le sue regole e i suoi sentimenti, che spesso involontariamente riverberano i nostri.
Il tuo esordio letterario si sviluppa nel contesto di un’esperienza di teatralità e cantautorato, per non parlare della tua attività poetica: come queste esperienze hanno influenzato la tua attività di scrittore di racconti?
Ogni diverso ambito è separato, ma si accumula nello sguardo. Ognuna di queste forme mi ha permesso di guardare alle cose e alle parole con occhi e prospettive diverse. Per anni ho provato a scrivere racconti senza ottenere nulla che mi sembrasse interessante. Adesso mi sembra di avere una sufficiente quantità di occhi per poter vedere quello che prima era sfocato e bidimensionale.
«Ora, è chiaro che la sua lettura sia molto emotiva e personale e quindi quasi mai Babbia capisce veramente i codici dello sguardo di Folio.» Leggendo i tuoi racconti non posso non pensare a Italo Calvino e ancor di più ai Sillabari di Goffredo Parise. Ci sono state delle letture che hanno influenzato la scrittura del tuo Dizionario?
Sì, addirittura la prima idea di scrivere il Dizionario è nata dalla lettura di Centuria di Manganelli. Il risultato in realtà credo gli assomigli poco, ma l’intento non era quello di assomigliare. Ci sono alcune radici di idee che è bene fare germogliare altrove. Quando ho pensato al libro come un dizionario, con i racconti in ordine alfabetico, mi sono messo a cercare dei precedenti e così mi sono imbattuto nei bellissimi Sillabari di Parise, quando però era già tutto scritto. Di certo c’è il residuo di un panorama letterario che mi appassiona, da Borges a Calvino, da Cortazár a Malerba, da Celati a Campanile.