Domenico Cacopardo è un prestigiatore. Un asso della prestidigitazione delle parole; poiché le governa con una professionalità poetica che lo rende un autore attento ed estremamente scrupoloso. Talmente puntiglioso e descrittivo che esonera l’immaginazione del lettore, costringendolo a “vedere” meramente e implacabilmente ciò che lui vuole mostrargli.
Leggere un libro di Cacopardo è come guardare un film: ti viene sciorinato esattamente così come lui l’ha concepito.
Lo scrittore ricostruisce i fatti in modo impeccabile, tanto da conferirgli una credibilità tale da farli sembrare più reali della realtà stessa.
Il suo è uno stile di scrittura che io definisco «insaziabile». Ogni singolo paragrafo è uno sposalizio poligamo e felice tra accurate descrizioni che rasentano la sana maniacalità, caratterizzazioni sopraffine di personaggi che quasi prendono letteralmente vita, e termini chirurgici e taglienti da chi sa bene come rendere degna l’arte della narrazione.
Cacopardo fa fede a una peculiarità che trasforma la naturale funzione del suo romanzo – ovvero la nuda e cruda fruizione nell’essere letto, come anche quella di qualsiasi altro romanzo che è nato per essere semplicemente quanto definito – poiché, la novella in questione, subisce uno stravolgimento strutturale: l’autore si diverte a materializzare se stesso tra le pagine del suo scritto, intrattenendo vere e proprie conversazioni con i personaggi dell’opera; finendo poi per gongolarsi beatamente (ed egregiamente, è da dire!) nel ruolo di narratore onnisciente, quale è.
Un bel “gioco”, se vogliamo, che fonde il piano della realtà con quello dell’immaginazione in un congegno letterario tanto paradossale quanto funzionale.
“Io, Agrò e il generale” – che potrebbe essere un giallo ma che invece poi nella realtà effettiva non lo è, quantomeno in modo categorico e convenzionale – racconta un caso giudiziario incentrato sulla scomparsa di una giovane donna, Dominique, figlia di Pancrazio Lotale, un generale ora in letargo.
La ragazza sparisce misteriosamente dopo la morte del suo compagno – un docente universitario molto più anziano di lei – apparentemente dipartito per mano del male del secolo. Che Dominique sia implicata nel decesso del suo amante, solo lo scorrere dei capitoli potrà svelarlo.
A complicare le cose è il ritrovamento di un cadavere mutilato e decapitato, in Piazza della Pigna, a Roma, in un appartamento di proprietà, udite udite, proprio della suddetta Dominique.
Dunque, il generale Lotale deciderà di rivolgersi all’ex procuratore della Repubblica, celeberrimo personaggio letterario nato dalla penna del siciliano Domenico Cacopardo, l’adamantino Italo Agrò, che in questa sua undicesima apparizione è divenuto titolare di un importante studio legale di Roma.
Il tutto, sullo sfondo di intrecci economici, legali, mafiosi e militari, che disegnano uno scenario tremendo di un mondo efferato e corrotto.
Simone Bocci
Domenico Cacopardo.
Io, Agrò e il generale
Marsilio