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Domenico Paris intervista Jill Dawson

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Il 7 novembre del 1974, l’opinione pubblica inglese venne sconvolta da uno dei più celebri delitti che l’Inghilterra ricordi, quello di Sandra Rivett, picchiata a morte con ogni probabilità dal suo datore di lavoro, Lord Richard John Bingham, VII conte di Lucan e Pari della corona, del quale, subito dopo l’omicidio, si persero completamente e per sempre le tracce (è stato dichiarato morto nel 2016, senza mai essere stato trovato).

La tragica vicenda della ventinovenne tata è stata ripresa dalla pluripremiata scrittrice Jill Dawson nel suo ultimo romanzo, Un inutile delitto (Carbonio Editore, collana Cielo stellato, 2020, traduzione di Matteo Curtoni e Maura Parolini, pagg. 297, euro 17).

Abbiamo scambiato quattro chiacchiere “telematiche” con lei (purtroppo la presentazione italiana del libro è stata annullata a causa dell’emergenza legata al Coronavirus) al riguardo.

Domenico Paris

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Rispetto ai tanti libri scritti su questo caso, ha avuto accesso a qualche fonte differente o, magari, è stata in contatto con qualche protagonista della vicenda?

No, ma da quando è uscito il romanzo ho incontrato una persona la cui madre da ragazza è stata la tata di Lady Lucan e, durante un evento di presentazione che ho tenuto, tra il pubblico ce ne era un’altra il cui zio era il giovane poliziotto che era stato il primo sulla scena del delitto nel 1974! Mi capitano spesso questo tipo di coincidenze.

Comunque, ho letto tutti i libri, i romanzi e guardato i drammi tv al riguardo. Quello che ho trovato più interessante è stato il racconto di prima mano di Lady Lucan, pubblicato solo nel 2017 dopo la sua morte.

Come mai ha pensato di rimettere le mani su una vicenda a proposito della quale si era già scritto molto?

Beh, hai ragione, è stato scritto e detto davvero tanto su questa storia, ma quasi sempre si è parlato solo di Lord Lucan, dei suoi amici aristocratici (il suo migliore amico, James Goldsmith, è il padre di Zac Goldsmith, a cui è appena stata assegnata la dignità di Pari d’Inghilterra da Boris Johnson, per dirne una) e del glamour. Si sapeva invece molto poco della sua vittima, Sandra Rivett, la tata assassinata. E poco anche delle vittime secondarie al centro di questa storia, i bambini, che hanno perso un padre, un’amata tata e la cui madre rimasta traumatizzata per sempre dall’attacco. Volevo raccontare un’altra storia, quella che mette al centro le vere vittime di questa tragedia, le donne.

È molto interessante la struttura binaria della narrazione, con l’intrecciarsi delle voci di Mandy e Rosemary nell’avanzare della trama. Come mai ha scelto di utilizzare questa duplice prospettiva?

Volevo che due ragazze, due tate, due “uccelli” (lo slang utilizzato negli anni ’70 per “ragazze”) fossero al centro del romanzo. Se fosse stata solo una ragazza, sarebbe stata in qualche modo solo un’estranea nell’elegante mondo dei suoi datori di lavoro, ma in questo modo, col fatto che le ragazze sono due, spero che il tutto assuma un senso diverso. Nelle mie pagine, il loro mondo, la loro cultura, diventano il motivo di interesse principale per il lettore, mentre quelli dei suoi datori di lavoro – Lord e Lady Morven – tendono a rimanere più sullo sfondo.

La meticolosità e la sensibilità con la quale restituisce paesaggi e atmosfere in questa sua ultima fatica letteraria è davvero fuori dal comune. È azzardato dire che spesso il dipanarsi dell’intreccio è fortemente dipendente da questo particolare o no?

Sì, questa è davvero una bella osservazione, grazie.La natura e l’ambiente fanno sempre parte della mia scrittura. Parlo spesso di animali: uccelli, api, lumache (come avviene ne Il talento del Crimine, in cui ricordo la passione di Patricia Highsmith per queste creature) cavallucci marini, che hanno un ruolo abbastanza importante nel romanzo. Per me era importante che il ritratto di Mandy e di Rosemary fosse quello di due ragazze di campagna che vanno nella grande città, portandosi dietro la loro ingenuità. Rosemary usa la religione, la tradizione e forse “segni” per orientarsi nella vita, ma si dimostra ancora molto indietro quando si tratta di capire come funziona la violenza maschile. Con questo libro vorrei far capire che il comportamento maschile è il risultato di una responsabilità e di una scelta da parte degli uomini e che le donne non c’entrano nulla con queste responsabilità e con queste scelte.

Il lavoro di introspezione sulle protagoniste è davvero notevole. A volte sembra quasi sospendere il normale flusso narrativo per puntare ad altro, a altre “profondità”. Come si fa a non perdersi in questi casi (ci dia un consiglio da scrittore, insomma)?

Grazie!Sono sempre stata profondamente interessata alla psicologia e all’impatto del subconscio sul nostro comportamento. Adoro scrivere a proposito della dimensione interiore delle persone, ma è necessario mantenere la narrativa in movimento, non permettere che questa propensione crei troppo staticità. È una questione di equilibrio, insomma. Volevo che Mandy – la mia protagonista – fosse molto vitale sulla pagina, in modo che il lettore si preoccupasse davvero del suo omicidio. Per questo motivo, avevo bisogno che fosse sempre presente a sé, gioiosa e piena di slanci. E speravo di far sì che il lettore che l’aveva percepita come tale, sentisse davvero la sua perdita, in modo che, dopo il suo assassinio, non risultasse soltanto un cadavere o una semplice pedina del plot (questa cosa mi avrebbe particolarmente offeso).

Jill Dawson

Spesso i suoi romanzi partono da fatti realmente accaduti o dalla vita di persone realmente esistite. Crede sia una scelta dovuta alla solidità di una storia (o di un personaggio) o ci sono altre motivazioni non immediatamente percepibili?

Delle volte le ragioni di questa cosa sfuggono anche a me!Ho scritto molti romanzi in questo modo, basati su storie vere. Il vincolo della storia vera è uno stimolo per me, non voglio modellarla per adattarsi alle mie esigenze, ma usare la finzione come strumento per indagare sulla storia stessa. Scrivo per mostrarti quello che ho trovato, non quello che stavo cercando.

Il suo è anche un romanzo sull’emancipazione femminile. Crede che oggi le distanze tra i sessi siano ancora così profonde rispetto al periodo storico che racconta?

Sì. Penso che il movimento Me Too abbia innescato una frattura importante rispetto al passato e che le giovani donne e i giovani uomini di questa generazione siano forse diversi rispetto al passato (ho due figli di 19 e 31 anni e una figlia adottiva di 20. Parlo a ragion veduta). Mi sembrano più audaci e abbastanza politicizzati, quindi, lo dico, ho qualche speranza in più per il presente e soprattutto per il futuro!Ma provo ancora molta rabbia quando penso alle libertà che le giovani donne hanno o non hanno: viaggiare in sicurezza, essere al sicuro dall’eventualità di una violenza sessuale, stare tranquille nelle proprie case, non avere problemi nelle relazioni.Sostengo un ente di beneficenza contro la violenza domestica e le cifre (nel Regno Unito) sono ancora agghiaccianti: due donne alla settimana uccise da partner o ex partner.

Lei è molto conosciuta come autore di genere, ma Un inutile delitto, per quanto presenti un mood noir, sembra un romanzo che vuole trascendere la crime story. Dove va, secondo lei? Ed è venuto fuori proprio come lo aveva immaginato all’inizio?

In Inghilterra sono considerata uno scrittore e basta, non di genere: ho pubblicato diverse raccolte di liriche e sette romanzi, tra i quali, prima di quello già ricordato su Patricia Highsmith e pubblicato da voi sempre da Carbonio Editore, uno sul poeta di guerra britannico Rupert Brooke e uno che parla del primo bambino autistico la cui esistenza sia stata davvero documentata (nel XVIII secolo). Mi piacciono i romanzi che hanno un “sapore”, un’atmosfera e un senso del luogo. Forse per questo l’aspetto “noir” per me riveste una grande importanza. Di solito, parto da un personaggio e/o una storia ben nota, di pubblico dominio come questo caso Lucan, che cerco di investigare, di far emergere nella sua vera essenza. L’idea è quella di trasmettere il seguente messaggio: “Questa è la storia che pensiamo di conoscere (un esponente della upper class che uccide la tata dei propri figli e sfugge alla giustizia): riportandola alla luce oggi, diventa qualcosa di molto diverso rispetto a quello che ci sembrava (Un aristocratico brutale, già riconosciuto come praticatore abituale di violenze domestiche, che brutalizza la moglie, uccide un’altra donna e non viene mai assicurato alla giustizia)”.

Può raccontarci qual è il suo metodo di lavoro (quando scrive? E quanto, ogni volta che lo fa?) e quali sono, se come tali le riconosce, le sue influenze letterarie (di genere e non)?

Preferisco scrivere la mattina, in uno splendido studio (situato in una casa che mio marito ha progettato e fatto costruire per noi venti anni fa secondo principi di edificazione che rispettano l’ambiente) dal quale godo delle vedute del Cambridgeshire, dove vivo. Ma quando ero più giovane e più povera, scrissi i miei primi quattro romanzi in contesti e circostanze molto meno idilliache, perciò credo di non sbagliare se affermo di poter scrivere ovunque. E penso che, in ogni caso, non si dovrebbe star lì fantasticare di continuo sulla dimensione “ideale” di quello che si scrive, ma preoccuparsi di andare avanti, senza essere troppo perfezionisti o ricercati, badando solo a mettere un piede davanti all’altro e proseguire, proseguire… Dato che sono abituata a concedermi molta libertà quando inizio a scrivere un libro – evitando di star lì a pianificare troppo e limitandomi a buttar giù tutto quello che mi viene di primo acchito – finisco sempre per fare un sacco di lavoro di riscrittura e di strutturazione! Di solito per scrivere un romanzo impiego circa due anni, di cui uno per scrivere e per fare le ricerche, è l’altro per le riscritture varie e il labor limae.

Intervista a cura di Domenico Paris

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Domenico Paris

Di seguito l’intervista in lingua originale a cura di Domenico Paris

On 7 November 1974, British public opinion was shocked by one of the most famous crimes that England remembers, that of Sandra Rivett, most likely beaten to death by her employer, Lord Richard John Bingham, VII count of Lucan, of whom, immediately after the murder, the traces were lost completely and forever (he was declared dead in 2016, without ever having been found).

The tragic story of the 29-year-old nanny was resumed by the award-winning writer Jill Dawson in her latest novel, The Language of birds (Un inutile delitto, Carbonio Editore, series Cielo stellato, translated by Matteo Curtoni and Maura Parolini, 2020, pp. 297, € 17).

We exchanged “telematic” chat with her (unfortunately the Italian presentation of the book was canceled due to the Coronavirus emergency) about it.

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Compared to the many books written on this case, have you had access to a different source or, perhaps, have you been in contact with any protagonist of the story?

No. But since the novel came out I have met someone whose mother was the nanny to Lady Lucan as a girl, and another audience member at an event I gave, whose uncle was the young policeman who was first on the scene in 1974! These kind of coincidences often happen to me once a book is out. I read all the books, novels, watched the tv dramas etc and the one I found most interesting was Lady Lucan’s own first-hand account, published only in 2017 after her death.

How come you thought of writing on a story on which much had already been written?

Well you’re right so much had been written, but all of it about Lord Lucan, his aristocratic, glamorous friends (his best friend, James Goldsmith, is the father of Zac Goldsmith, who has just been given a life peerage by Boris Johnson). But there was very little known about his victim, 29-year-old Sandra Rivett, the murdered nanny. Or even the secondary victims at the heart of this story: the children who lost a father, a beloved nanny and whose mother was forever traumatized by her attack. I wanted to tell a different untold story – the one that puts the victims, the women, at the centre.

The binary structure of the narrative is very interesting, with the intertwining of the voices of Mandy and Rosemary in telling the story. Why did you choose to use this dual perspective?

I wanted two girls, two nannies, two “birds” (70s slang for girls) to be the centre of the novel. If it had only been one girl she would have been somehow the outsider in the posh world of her employers, but that way, I hope this makes sense, her world and culture the world of Mandy and Rosemary becomes the centre, and her employers – Lord and Lady Morven get pushed to the periphery.

The meticulousness and sensitivity with which you return landscapes and atmospheres in your latest literary effort is truly out of the ordinary. Is it hazardous to say that often the unraveling of the plot is highly dependent on this detail or not?

Yes, that is a lovely observation – thank you. Nature, and the environment is always part of my writing. I often have animals: birds, bees, snails (in the Highsmith novel) seahorses, who have quite a large role in the novel. It was important to me that these were country girls, going to the big city, with some naivety also, Rosemary uses religion and tradition and perhaps “signs” to guide her, but she is but still at sea when it comes to male violence, because male behaviour is they own responsibility and choice, women are not to blame for it.

The introspection work on the protagonists is truly remarkable. Sometimes it seems to almost suspend the normal plot to point to other depths. How can you not get lost in these cases (writer’s advice)?

Thank you!I have always been intensely interested in psychology and the impact of the subconscious on our behaviour. I love to write these interior things but one must keep the narrative moving along, not allow it to become too static. It is a balance. I wanted Mandy – my protagonist – to come alive so that the reader would really care about her murder so I wanted her to be rich, joyous and vivid. And I hoped to make the reader having experienced her as alive, really feel her loss, so that she is not just a dead body or a plot device, which offends me.

Often your novels start from real events. Do you think it’s a choice due to the solidity of a story or a real character or are there other reasons that are not immediately perceptible?

Sometimes the reasons are not perceptible to me, either! But I have written many novels this way, novels based on ‘true’ stories. It feels to me that the constraint of the actual story is what interests me, not shaping it to suit me, but using fiction as a tool to investigate a story. I’m writing to show you what I’ve found, not what I was looking for.

Yours is also a novel about female emancipation. Do you believe that the distances between the sexes are still so deep compared to the historical period you tell?

Yes. I think Me Too has made a difference, and young women and young men – this generation – are perhaps different (I have two sons of 19, 31, and a foster-daughter of 20) and they are bolder, and quite politicised, so I have some hope! But I still feel angry when I think of the freedoms that young women do or don’t have – to travel safely, to be free of sexual violence, to be safe in their own homes, to be safe in relationships. I’m patron of a domestic violence charity and the figures (in the UK) are chilling: two women a week killed by partners or ex partners.

You are well known as a genre author, but The language of birds as much as it presents a noir mood, it seems a novel that wants to go beyond the history of crime. Where do you think it goes? And did it come out just like you thought it at the beginning?

In England I’m thought of as a “literary” writer – I published poetry and seven novels including one on the British war poet Rupert Brooke, one on the 18th century first documented autistic child, before the one about Patricia Highsmith, The Crime Writer (also published by Carbonio). I do like novels that have a “flavour” an atmosphere and sense of place and so the noir aspect is important to me. I usually start of with a character and a well known story, a public narrative such as the Lucan case that I want to investigate and expose… as if to say, this is the story we think we know (“Glamorous toff kills nanny and escapes justice”) – is it actually something very different? (“Brutal and entitled aristocrat, already a domestic abuser brutalises wife, murders another woman and is never brought to justice”).

Can you tell us what is your working method (when do you write? And how much, every time you do it?) And what are your literary influences (gender and non-gender) as such?

I prefer to write in the mornings and I write in a beautiful study with views of the Cambridgeshire fens (in an eco house my husband designed for us, twenty years ago) where I live. But when I was younger and poorer I wrote four early novels in much less ideal circumstances so I believe that I can write anywhere, and one shouldn’t fantasise about the “ideal” but just get on with writing, not being too perfectionist or precious, just putting one foot in front of the other… Because I permit myself so much freedom at the start, not planning too much, just doing the research and then writing whatever comes out of it, I do end up doing a lot of rewriting and structuring! Each novel takes about two years in total – one to write and research – one to shape and rewrite.

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