La mia Napoli. Un itinerario, testo di Domenico Rea proposto meritevolmente da Edizioni San Gennaro, sembra per prima cosa un tentativo dell’autore di Gesù fate luce e Ninfa plebea di mettere le cose a posto all’interno di quella materia incandescente e poco maneggevole che è l’immagine di Napoli. Sì, l’immagine di Napoli, prima che Napoli stessa. È più facile, infatti, “parlare” di Napoli rispondendo all’obbligo dei luoghi comuni e degli stereotipi, prima che restituirne un’immagine derivata da una vera osservazione e un’ancor più autentica riflessione. Così l’itinerario tracciato dallo scrittore partenopeo tocca, uno dopo l’altro, una serie di capisaldi della tradizione culturale napoletana restituendoli al lettore sotto una luce asciutta e allo stesso tempo sinteticamente incisiva. La penna di Rea sfiora la città ipogea delle Catacombe di San Gennaro e del Cimitero delle Fontanelle, ritorna in superficie attraversando il quartiere della Sanità per poi giungere a Forcella, passa sotto gli archi delle porte Nolana e Capuana, visita l’Albergo dei Poveri e le Anime del Purgatorio. Ogni tappa resuscita l’immagine e il corpo stesso di luoghi così carichi di storia e di vita da essere diventati parte integrante del dna cittadino e dell’immaginario collettivo di un intero popolo. Senza trascurare il Museo Archologico e l’Orto Botanico, e nemmeno alcuni dei personaggi che hanno fatto la storia di Napoli: Padre Rocco, Andrea Perrucci, Francesco Solimena, Carlo III di Borbone. Il sovrano – degno di essere un vero re – fu un “anticipatore, nei limiti del possibile, dei benefici concessi al mondo dalla Rivoluzione francese”, mentre il pittore Solimena ebbe il merito di coltivare il vero e di “non imbrogliare nessuno” con la sua arte. Ma è nel breve paragrafo dedicato alla chiesa di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco, nota oramai ai turisti per i teschi di bronzo presenti al suo ingresso, che Rea sintetizza in un unico colpo una parte dell’essenza di Napoli: “L’età barocca esprime il suo spirito macabro senza mezze misure e continua ad esercitare sulle donne del popolo una suggestione che non sembra aver limiti di tempo. Chi ne voglia una prova affronti la scaletta che conduce sotto la chiesa: qui, mentre si prega dinanzi a miseri resti umani, è difficile stabilire se siamo nel Seicento o alle soglie del Duemila”. Il testo di Rea, ovviamente, risale a qualche anno fa, ma il senso rimane invariato: Napoli sembra vivere da sempre – contemporaneamente e senza dissidio – in due dimensioni: il presente e il passato.