Questa opera dello scrittore, editore e agitatore culturale francese Dominique de Roux (1935-1977), pubblicata in Francia nel 1966, tradotta per la prima volta in italiano e di prossima pubblicazione per i tipi di Lantana Editore di Roma (info@lantanaeditore.com – edizione italiana a cura di Andrea Lombardi, traduzione di Valeria Ferretti, con una nuova prefazione di Marc Laudelout, editore del Bulletin célinien), del quale pubblichiamo di seguito il capitolo introduttivo, ha contribuito in maniera determinante affinché le visioni e l’opera di Louis-Ferdinand Céline non fossero seppellite con lui il 1° luglio 1961, suscitando invece l’inizio di una discussione critica sul geniale e controverso scrittore che ancor oggi non accenna a fermarsi, e contribuendo a legittimarlo letterariamente e a dargli il posto che gli spetta tra i più grandi scrittori del Novecento e non solo.
Un saggio critico-letterario céliniano fondamentale, una profonda e sofferta riflessione sullo stato della letteratura e sul conformismo degli intellettuali, ma anche un travolgente flusso di coscienza che ci permette non solo di scandagliare a fondo l’anima di Céline, veggente e narratore dell’Apocalisse, ma anche di fissare il nostro sguardo nell’abisso del XX secolo, questo secolo che continua a proiettare le sue luci e le sue ombre nei nostri tempi e oltre.
Andrea Lombardi
Questo libro non è un saggio critico. La vera critica è cosa da specialisti; essi non hanno bisogno che della sua opera, la quale, dopo aver lottato duramente contro una somma di silenzio, s’innalza, esplode e vive con tutti i misteri della vita, mentre gli stronzi laureati si fanno da parte. Il Comandante Mauriac e Sartre, Montherlant e Mac Orlan, il pescatore con la sua canna da pesca al limite dell’avventura, laggiù nelle file di tombe dove dormono come sassi Madame Pigeon e il suo lumino da cimitero, o sui parapetti delle banchine.
Abbiamo scelto di presentare Louis-Ferdinand Céline dottor Destouches affrontando il problema della Letteratura oggi, poiché Céline fu ucciso dai suoi colleghi scrittori; da questa consorteria di gentucola unita (in ogni epoca) per autocompiacersi del proprio talento e scacciare l’uomo libero, lo scrittore senza compromessi, colui che finisce in cella, in fin dei conti, per il suo rifiuto di appartenere a chicchessia. Dal 1932 Céline, malgrado il successo, o lo scandalo, fu maledetto. Rifiutò subito di entrar a far parte della “sua” famiglia e, come scriveva, dei “suoi” compagni di strada. Nel 1945 Bernanos martellava le sue laceranti verità, i suoi amici urlavano nel silenzio, e Bernanos fedele a se stesso:
Con il pretesto che l’Esercito Francese del 1940 ha abbandonato la lotta, non sono comunque ancora arrivato a reclamare il Pantheon o gli Invalides per un colonnello che si è battuto! Lo stato di servizio in guerra, del resto, non dimostra granché; quelli del Sig. Joseph Darnand superavano di gran lunga quelli del Colonnello Manhès. E poi che! Comandante della Legione d’onore, Compagno della Liberazione e Colonnello, cosa può chiedere di più l’ex meccanico-aviatore-che-lavorava-a terra!
Ugualmente, si era sperato che Ezra Pound crepasse, nella sua gabbia di ferro appesa fuori Pisa, lui che aveva colto la questione:
Lasciarsi trasportare da questioni di procedure amministrative d’odio razziale, di caccia all’uomo o della socializzazione di qualsiasi impresa eccetto il Debito Pubblico della Nazione è semplicemente ingoiare scarafaggi senza saperlo.
Come in altri tempi di una tristezza infinita, furono Socrate, Seneca, Sade, Hugo… poco importa! così saranno perseguitati tutti gli imperdonabili.
Nel 1932, Céline pubblicò il Viaggio, e i suoi colleghi si accaniranno tutta la vita per fargli pagare lo scandalo della verità. Il Sig. Breton ha un bel dire che si è da subito disinnamorato di Céline: “Non mi è stato necessario andar oltre un terzo del Viaggio al termine della notte, dove m’imbattei con non so quale svenevole presentazione di un sottufficiale di fanteria coloniale. Mi sembrò che là ci fosse già il sintomo di qualcosa di sordido…” Dorgelès ha ancora un bell’agitare le sue trippe da marmittone, protestando contro l’insozzatore antimilitarista; dalla sua prima riga, Céline ebbe il coraggio di stare con il subalterno contro i funzionari del parterre, quelli che il “qualcosa di sordido” rende Accademici cupidi, asserviti a tutte le politiche che Céline denunciò, schierandosi per la Virtù. Non ha temuto, lui il più dotato, di demistificare i furbetti dell’Hotel Europa, le grandi menti, le puttane flaccide che vendono i loro doni invece di donarli, di svelarli sghignazzando, di spogliare quei fantocci, avendo solo bisogno di allontanarsi, di allontanare il suo corpo dai colpi per continuare, preoccupandosi della gioventù innocente che non conosce ancora la vergogna. Avendo già assaporato il gusto velenoso dell’esperienza, prima di strapparsi il cuore e lanciargli dietro il suo stesso corpo, poté constatare che il tempo avrebbe giocato a suo favore, che la sua agonia infinita non era stata inutile, e che con la sua morte non sarebbero morti anche i suoi libri, nel solito grande fuoco d’artificio. Avrà avuto la meglio sui bottegai, sui benpensanti dei Saloni della letteratura, dei forzati della critica e degli snob, il sincero oh! pericoloso Dottor Destouches!
È morto come aveva iniziato, fedele al destino céliniano, nascosto, solitario sulla collina di Meudon, circondato da sua moglie Lucette e dai suoi animali, trasportato in questa serata di opprimente afa africana, il suo sorriso subito fisso, tenero e melanconico. E, fino alla fine, il paese del conformismo lo maschererà dietro allo scandalo del cadavere di Hemingway, certamente cacciatore di belve, quel Mazeline americano. Gli autori non sono forse dei bugiardi? Solo, che le loro bugie sono talmente forti, da trasformare la realtà a loro immagine. In fondo, solo le metamorfosi contano, e le metamorfosi non sono che i prismi che trasformano i raggi del Re Sole.
Céline era un delicato, un giusto sotto la sua scorza d’ingrato urlatore.
Adesso è dappertutto.
L’inchiostro che cola dalle sue vene non perderà mai il suo tono bluastro di verità. Ascoltatelo:
“Non ho mai rinnegato nulla… mai adorato niente… mai aderito a nulla… aderisco a me stesso fin che posso… Il mio cammino e io… è là… da solo… è il viaggiatore solitario quello che va più lontano… Nella vita si entra, si esce, come in una stazione… le partenze… sono spesso un sollievo… ma talvolta anche della pena… autentica, una volta tanto, per il mondo intero, per me, per lei, per tutti gli uomini… È forse questo che si cerca nella vita, nient’altro che questo, la più gran pena possibile per diventare se stessi prima di morire”.
Dominique de Roux
1966