Milano, lunedì, 16 ottobre 2062
Giornata di merda, mi chiamano in redazione, forse per darmi un nuovo incarico.
Ma non potevamo fare un olomeeting?
Non incontro mai le persone per lavoro, certo qualcuno lo frequento: ho sette, otto amici, due trecento conoscenti e sette o otto amiche con cui passare una serata.
Ma mai per lavoro, sul lavoro non incontro quasi mai nessuno personalmente, al massimo olomeeting o il vecchio telefono che è sempre la cosa migliore quando vuoi parlare senza che ti vedano.
In ufficio ci sono entrato tre volte: quando mi hanno assunto, quando è cambiato il direttore un anno fa e quando il direttore nuovo mi voleva licenziare la settimana scorsa.
La prima volta che ho visto la sede di Via Solferino l’ho trovata imponente e appena entrato mi sentivo così piccolo pensando ai miei predecessori.
Avevo pensato che mi avrebbero dato un ufficio tutto mio, invece no.
Noi che ci occupiamo di cultura possiamo lavorare da casa e così ho fatto da subito, senza fare neppure un giorno di redazione.
La settimana scorsa mi han chiamato perché mi volevano mandare via dicendo che se mi fossi dimesso mi avrebbero pagato bene. Quando ho chiesto il perché mi han detto che con la crisi bisogna fare dei tagli.
Io non ci credo e ho il sospetto che mi vogliano mandare via perché due settimane fa ho criticato la performance dell’amante del Presidente del Consiglio scrivendo che non ci vedevo niente di concettuale a portare al guinzaglio sette nani in Piazza Duomo che coi barattoli di vernice prendevano a secchiate i passanti.
Qualcuno forse non l’ha presa bene, mi dicono che sono all’antica, troppo bacchettone e secondo me adesso si vogliono vendicare.
Arrivo salgo le scale rapido verso l’ufficio del Direttore e mi accorgo che è appena arrivato perché ancora ha la giacca, lui mi invita a sedere con un’espressione di inattesa cordialità.
<<Buongiorno Gilberti!>>.
<<Buongiorno Direttore, a cosa devo l’invito?>>.
<<Gilberti, lei è uno che non molla, la settimana scorsa mi è piaciuto molto, l’ho messa alla prova e mi ha dimostrato di essere molto legato al lavoro. D’altronde per andar via le ho offerto una bella sommetta!>> mi dice con fare paterno che mi ricorda i video di archivio di Mike Bongiorno.
Mi inizio a preoccupare davvero perché non capisco dove vuole andare a parare: <<Direttore io amo il mio lavoro e vorrei sapere perché mi ha convocato. Spero non solo per dirmi che la scena della settimana scorsa era tutta una presa in giro>> Mi pento di aver risposto un po’ piccato ma lui replica subito.
<<Mi serve una persona coraggiosa per un’inchiesta particolare>>.
<<Di che si tratta?>>.
<<Un’inchiesta sui negazionisti e sulle teorie del complotto>>.
<<Ma sta scherzando? Io mi occupo di cronaca culturale e questo è pattume!>> dico indignato.
<<E se non lo fosse?>>.
Sono terrorizzato, nella mia mente penso a gente che crede che l’AIDS non sia mai esistito, che il Covid era stato fatto in laboratorio, che la Terra è piatta e che sotto la Calabria una volta esisteva…
<<La Sicilia!!! Ha presente la leggenda metropolitana della Sicilia?>>.
<<Sì, Atlantide, la Sicilia e tutte le leggende sulle terre scomparse e il diluvio Universale>>.
<<Questa volta è diverso. Abbiamo un uomo che afferma di esserci stato>>.
<<Dice anche che ce lo hanno portato gli Alieni?>>.
<<Non faccia lo spiritoso, si tratta di una persona distinta, potente e molto intelligente e abbiamo anche alcuni amici in comune>>.
Non ho mai avuto particolare stima per il mondo dei potenti perché credo che il requisito di entrata sia quello di non essere molto intelligenti o almeno di saper far finta di essere stupidi; perciò, che il direttore frequenti un negazionista non mi stupisce.
Ma cerco di rimanere in un imperturbabile silenzio che viene di nuovo interrotto.
<<Però vuol parlare soltanto con lei>>.
<<Come mai?>>.
<<È un suo lettore assiduo, la stima e la vuol conoscere, insomma si fida soltanto di lei>>. Mi dice in modo affabile.
<<Posso rifiutarmi?>>.
<<Mi dispiace, non può, lo deve incontrare>>.
Mi rassegno, già una volta appena laureato avevo incontrato un negazionista.
Aveva impiegato un’ora a spiegarmi che dopo la seconda rivoluzione sessuale non essendo il sesso organico più indicativo non aveva senso affermare l’esistenza sia del genere sia della funzione categorizzante dei genitali che riteneva essere dei semplici organi accidentali e modificabili come un taglio di capelli.
Ricordo che dovetti prendere appunti e scrivere un pezzo per una rivista di quart’ordine dove l’unico fatto positivo era che accettavano che utilizzassi uno pseudonimo.
Mentre penso a questo il Direttore continua: <<È già stato fissato un incontro per domani sera, non deve fare altro che presentarsi a questo indirizzo per le 19,00, la aspettano per pranzare>> e mi porge un biglietto.
La zona è Quarto Oggiaro, appena fuori Milano, posto in cui stanno quelli che hanno davvero i soldi.
E la prima cosa che penso è che probabilmente, nella sfortuna, almeno si berrà bene.
Accetto con allegra rassegnazione, saluto il direttore e scendo in strada.
Ho voglia di andare a casa ma penso che mi dovrei un po’ rilassare e quindi entro in farmacia e con tre monete da duemila euro compro un pacchetto di foto-sigarette e mi incammino.
***
Quarto Oggiaro, martedì, 17 Ottobre 2062
Perché ho accettato? Ma soprattutto, potevo dire di no? Quando il direttore mi ha detto che ero obbligato era una finta?
Mi chiedo questo ma mi rispondo subito che non ha senso interrogarsi su questi aspetti che non servono altro se non a macerarmi nell’insoddisfazione senza poterci fare più nulla.
Ormai ho detto di sì e quindi dovrò fare questo pezzo.
Ma dentro di me sento il mio nemico che inizia a resistermi e a combattere, quel nemico che mi ha sempre trattenuto impedendomi di emergere rispetto ai miei contemporanei che mi ha permesso di ritagliarmi a malapena un posticino in cui poter essere me stesso, vestito bene, serio e inappuntabile.
Quel nemico che mi ha sempre impedito di andare veloce di raggiungere l’obiettivo con ogni mezzo e senza vergognarmi di nulla, senza aver paura di calpestare la Verità per il mio profitto.
Il mio nemico è una zavorra inutile, dannosa, costosa e crudele che ti guarda ogni mattina allo specchio pretendendo che tu faccia il tuo dovere ma la sera non ti fa complimenti quando lo hai fatto.
Un orpello che mi ha sempre impedito di fare carriera e che si chiama amor proprio o dignità.
Insomma, più passa il tempo più mi è difficile sottrarmi da questo peso perché significa classificare come in perdita o mancato guadagno tutti gli anni che l’ho considerato un valore.
E oggi invece mi si chiede di buttar tutto alle spalle per scrivere di spazzatura.
Devo riuscire a dare al pezzo il taglio giusto per non perdere la faccia.
Mentre penso a questo mi dirigo verso un villone davanti al Parco che pare corrispondere all’indirizzo del biglietto. Sono le 18:55, sono in anticipo che è l’unico modo che conosco per arrivar puntuale, mi accendo una foto-sigaretta e quando l’ho finita suono il campanello.
***
<<Attenda in salone, il dottore sta concludendo un incontro e la raggiungerà subito>> mi dice il maggiordomo che mi accoglie con un abito rosso vino in stile neoimperiale e mi conduce in una sala di sei metri per otto, piena di oggetti interessanti.
Spade, lance, pistole, armature e quadri che emanano i profumi di un’altra epoca, della polvere, del vecchio. Ma c’è anche un odore immobile, profondo e quasi santo, quello del Vero.
Mentre osservo rapito la collezione finalmente mi raggiunge il mio ospite.
<<Dottor Gilberti, è un piacere averla a cena!>> esclama un vecchietto arzillo con un completo verde chiaro vecchio stile. <<Ed è un piacere conoscerla, mi permette? Sono Eugenio Franchini>>.
<<Buonasera, mi dice il direttore che lei è un mio estimatore>> dico per rompere il ghiaccio.
Sembra strano ma il vecchietto mi sembra normale, il luogo, l’aspetto e il tono mi ispirano fiducia e sarei perfettamente a mio agio se non sapessi perché sono qui.
<<Leggo sempre le sue recensioni, che trovo davvero sincere e azzeccate, lei mi piace perché esprime con libertà quello che pensa>>.
<<La ringrazio>> rispondo educatamente.
<<Ma non sarebbe mai venuto qui spontaneamente>>.
<<Certo che no!>> reagisco di getto.
<<Le faccio paura?>>.
<<Assolutamente, mi chiedo però come può essere coinvolto lei in certe teorie cospirazioniste, non mi sembra avere il profilo adatto>>.
<<Intanto si accomodi>> mi indica delle poltrone <<Tra poco serviranno la cena ma se vuole posso offrirle un bicchiere di vino>>.
<<Con piacere!>> non mi sembra vero dato che il vino ormai è quasi introvabile.
<<Cosa vuol sapere della Sicilia?>>.
<<Perché c’è qualcosa da sapere?>>.
<<C’è molto anzi, moltissimo. Potremmo parlare per ore della Magna Grecia, di Agrigento, della valle dei Templi, di Siracusa, di Archimede>>.
<<Archimede il Pitagorico? >> mentre lo dico mi guarda divertito.
<<Esatto, lo ha presente? Da chi pensa abbia preso il nome?>>.
<<Non ne ho idea>>.
<<Da un antico scienziato siciliano di Siracusa>>.
<< Ma veramente nel 2062 mi vuol raccontare che un tempo, non si capisce quando, sotto la Calabria c’era un’isola enorme che si chiamava Sicilia?>> chiedo in maniera ironica ed un po’ sprezzante.
<< Che ci fosse non c’è dubbio ed era lì almeno fino al 2022>>.
<<Fino al 2022? E come avrebbe fatto a sparire all’improvviso?>>.
<<Accadde durante la terza guerra mondiale del 22, l’isola venne colpita da delle bombe atomiche>> mi dice con sguardo affaticato.
<<Così tante da far sparire un’isola?>>.
<<In effetti la cosa fu complessa, nell’isola vi era un grande vulcano e le esplosioni atomiche innescarono un effetto catena che lo fecero esplodere e poi collassare facendo sprofondare l’intera Isola>>.
<<Perché mai avrebbero dovuto tirare delle bombe atomiche in questa Sicilia?>>.
<<Perché c’erano delle basi militari della NATO e anche un sistema di comunicazioni satellitari militari che si chiamava MUOS che era un obbiettivo strategico>>.
<<Va bene, e se anche fosse vero Lei come sa tutte queste cose?>>.
Risponde amareggiato: <<Mio padre era siciliano, ogni estate scendevo in Sicilia dai miei nonni a passare le vacanze, la Sicilia l’ho conosciuta, l’ho vissuta, l’ho amata e poi l’ho vista sparire>>.
<<Ma come faccio a crederLe? Già è difficile pensare che un’isola possa sparire all’improvviso, ma come si fa a credere che possa essere cancellata dalla Storia e sopravvivere soltanto come leggenda metropolitana da cospirazionisti?>>.
<< Questo fu facile>>.
<<Com’è possibile?>>
<<All’inizio fu uno shock per tutti ma poi qualcuno iniziò a dire che la Sicilia non era mai esistita, chi ne parlava e postava delle foto veniva subito bannato dai social, così pian piano si smise di parlarne e della Sicilia venne fatta sparire la storia, la cultura, tutto. Alla fine, continuarono a parlarne solo i complottisti>>.
<<Ma adesso è ora di cenare continueremo a discutere dopo cena>>.
Una cena semplice ma ottima.
Mentre mangio penso a che pezzo potrei mai fare con questo racconto di sicuro insolito ma che non ha niente da spartire col mio lavoro di critico letterario.
A fine cena Franchini mi invita a seguirlo e mi dice: << Si chiederà perché l’ho fatta chiamare? La stimo e non vorrei mai che si rovinasse scrivendo cose che possano comprometterla>>.
<<E allora perché mi ha chiamato?>>.
E Franchini aprendo un armadio a muro: << Voglio mostrarle alcune prove che deve assolutamente vedere>>.
Quando l’armadio si apre davanti a me appaiono scaffali pieni di libri! Libri di carta intendo!!!
Tutta roba scampata al Grande macero del 2024 quando abolirono la carta e distrussero tutti i libri dopo aver scoperto che la variante Covid 23 poteva resistere nella carta per oltre trent’anni.
Qualcosa si era salvato nei musei Vaticani e in qualche Biblioteca privata ma erano tutte cose sotto teca.
Franchini mi porge anche delle copie cartacee di giornali.
C’è una copia di Libero del 21 Settembre 2022 con un titolone inquietante: ”ANCORA PROFUGHI” – e “EUROPA INVASA” come sottotitolo.
Poi vedo una copia del Corriere della Sera del 22 Settembre 2022 con il titolo drammatico: “LA SICILIA NON C’È PIÙ”.
Adesso il problema è che inizio a pensare che sia tutto vero.
“Vede Gilberti, gli italiani non sono ancora a pronti ad accettare la verità ma le voglio fare un dono” e mi porge un pacchetto.
“Qui dentro ci sono per Lei tre libri in carta di tre scrittori Siciliani, li legga e si potrà fare un’idea di cos’era la Sicilia. Invece per il pezzo si inventi una storia, un racconto fantastico senza esporsi troppo. Parli di quanto sono malinconici i complottisti anziani”.
Ci salutiamo e ritorno a casa mia con il pacchetto di libri in mano. Tra me penso che ho tre libri di carta e mi sento ricchissimo.
Appena entrato mi siedo sulla scrivania. Apro il pacchetto e trovo questi libri: – Leonardo Sciascia Il giorno della civetta, Torino, Einaudi, 1961; – Luigi Pirandello, Il fu Mattia Pascal, Roma, puntate della Nuova antologia rilegate, 1904; – Vitaliano Brancati, Don Giovanni in Sicilia, Milano-Roma, Rizzoli & C., 1941.
Sono tutte case editrici che esistevano e ancora esistono nei repertori.
Leggere questi autori sconosciuti sarà sicuramente una bella avventura.
Mentre metto a posto i libri cade un biglietto. Lo apro, è firmato da Franchini e c’è scritto questo.
“Caro Gilberti,
quando leggerà questo biglietto il nostro incontro sarà terminato e forse noi non ci vedremo più.
Le ho fatto un dono perché possa capire che nella Storia accadono strane cose, perché noi uomini siamo fatti per sopravvivere e per farlo a volte possiamo rinunciare a tutto, passare sopra alla nostra storia, alla storia di interi popoli.
I libri che Le ho donato sono per me il meglio di quanto è rimasto della cultura di un popolo di cui ormai non si ricorda nessuno.
Se li leggerà potrà capire qualcosa di quelle persone e alla fine crederà anche che quel luogo è veramente esistito.
Voglio che li legga Lei che è un vero letterato perché oggi l’Italia non è ancora pronta, ci sono ancora troppe persone coinvolte per poter fare chiarezza ma forse domani sarà diverso.
E quando i tempi saranno maturi forse uno come Lei potrà spiegare agli altri che un tempo in Italia c’era un popolo che è stato dimenticato e con lui la sua cultura e le sue tradizioni.
E quegli uomini vivevano in un’isola in fondo all’Italia, sotto la Calabria, dove c’è il mare.
E.F. ”