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Drama. Intervista ad Annina Vallarino

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Drama è il romanzo di esordio di Annina Vallarino pubblicato nella Collana Iena per le edizioni Neo nel 2024 e racconta con profonda e complessa leggerezza alcuni aspetti che ci riguardano: il conformismo, il pregiudizio, o meglio la necessità di un capro espiatorio pur di mettere a tacere la propria cattiva coscienza. Il romanzo traccia con disinvolta precisione «le assurdità dell’era dei social media e della gogna mediatica» e la scrittura ci fa godere di una storia che per l’autrice è «una specie di sollievo». Vallarino sa miscelare tecnica e creatività, lavorare con lo spaziotempo condensando in dialoghi e colpi di scena l’atmosfera pop tipica di «una perfetta serie TV», calibrando lo slang londinese e una sottile, penetrante critica a quel «conformismo, […] sorta di auto-castrazione» che ormai ci caratterizza e accompagna il deleterio esibizionismo social. Alla fine del godibilissimo Drama facciamo i conti con noi stessi, nel fulminante epilogo mettiamo in discussione, si spera, le nostre aspettative immaginarie, le nostre patetiche convinzioni. Un romanzo, secondo le parole di Annina Vallarino, non fa una rivoluzione e non è nemmeno un atto di contestazione, però, e non è poco, ci sprona a una contestazione più radicale e profonda del nostro ormai sdoganato narcisismo: «[…] ci stiamo lasciando friggere il cervello dai like. Ecco la vera tragedia dei nostri tempi» e in questa tragedia, ancora, a salvarci, la bellezza e l’eleganza di una scrittura, quella di Annina Vallarino, che non tralascia intelligenza, ironia e il desiderio dell’autoconsapevolezza…

Gianluca Garrapa

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Qual è stata la genesi e il desiderio a scrivere il tuo libro?

Più che desiderio, parlerei di ossessione, un’ossessione indotta da una dose eccessiva di realtà contemporanea. Ho voluto dare forma a una storia su una donna alle prese con le assurdità dell’era dei social media e della gogna mediatica – un mondo in cui il dramma personale è diventato merce di scambio.

Quando scrivi, godi?

È come chiedere a un chirurgo se gode nel praticare un’autopsia. C’è una certa soddisfazione tecnica, certo, c’è anche del divertimento, ma è più un esorcismo che un piacere. Lo direi alla Dorothy Parker: «Odio scrivere, amo aver scritto». Il godimento, se così si può chiamare, arriva nei momenti in cui uno, basta uno, ti dice: «Hey, il tuo romanzo mi è piaciuto». Ma, ecco, parlerei di una specie di sollievo, più che di godimento.

Un estratto dal libro che è risultato più difficile o particolarmente importante: perché? Lo puoi trascrivere qui?

Scelgo quello preferito da Neo:

Ho bevuto due calici di prosecco con l’auspicio che non mi chiedessero opinioni su niente, e per fortuna non l’hanno fatto, convinti, credo, che le mie  coincidessero esattamente con le loro, su ogni questione, dal conflitto israelo-palestinese alla politica americana, dal capitalismo all’ambientalismo, dal femminismo all’islamofobia, dall’ecosostenibilità al poliamore, dall’asessualità al patriarcato, al linguaggio oppressivo, linguaggio inclusivo, veganismo, abilismo, fat liberation, liberazione dagli stereotipi, libera-zione dalla carne, decostruzione, chakra, pedofilia, espressione sessuale, sex positivity, libertà sessuale, OnlyFans, oggettivazione sessuale, diversity, stigma, Kanye West, neurodivergenza, mascolinità tossica, yoga, pilates, terf, swerf, misoginia interiorizzata, intolleranze alimentari e tutto, tutto il resto. In ogni caso, non avrei saputo cosa dire. Su tutto ciò di cui loro hanno un’idea chiarissima, granitica, ovvia, io mi limito a coltivare dubbi. Avrei discusso con piacere di questo, piuttosto: delle mie incertezze. Ma la paura di essere fraintesa, di non riuscire a trovare le parole giuste, mi paralizzava, sebbene dentro di me bruciasse il desiderio di lanciarmi in un confronto a tutto campo. Intanto, a piccoli sorsi, assaporavo la leggera frustrazione che mi pervadeva, alimentata dal timore del giudizio e dello scherno, e dalla necessità sempre più impellente di rivendicare il diritto di avere opinioni anche impopolari. An-che sbagliate.”

Se non fosse scrittura, cosa potrebbe essere il tuo libro?

Drama potrebbe essere un virus informatico. Ma certo, Drama, banalmente, sarebbe una perfetta serie TV, tutta Londra, party, solitudini e gogne mediatiche.

Che rapporto hai con la censura?

Di censura si parla, e molto, ma lo si fa con la leggerezza di un popolo viziato, un poco mitomane, che di essa non ha conoscenza diretta, non patendola. E di ciò, certo, possiamo ritenerci fortunati. In quest’epoca dominata dall’esibizionismo digitale e mediatico, dove a ciascuno è concesso un palcoscenico, la censura si è tramutata in uno strumento retorico abusato, svuotato di senso. Parlerei, piuttosto, di un diffuso conformismo intellettuale e morale. Questo conformismo, a ben vedere, non è che una forma più subdola di auto-censura, una sorta di auto-castrazione.

Per te scrivere è un mestiere o un modo di contestare lo status quo?

Non credo si faccia la rivoluzione tramite i romanzi. In assenza di costrizioni, lo scrivere si riduce a mestiere, e – bandito ogni romanticismo – a un lavoro: ripetitivo, tedioso. Eppure, è un lavoro che concede un peculiare senso di libertà. Ma non parlerei di contestazione. Quando scrivo, l’unico oggetto che contesto è me stessa: le mie convinzioni, la mia ignoranza e quella patetica, disperata brama d’essere amata, proprio come un’adolescente. Il vero dramma della nostra epoca è che ci stiamo lasciando friggere il cervello dai like. Ecco la vera tragedia dei nostri tempi.

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