Cosa ti aspetteresti da un libro di poesia che s’intitola Schiuma di quanti? Questo è il titolo della splendida raccolta pubblicata da Einaudi che porta nelle librerie italiane, attraverso la finissima traduzione di Anna Maria Crespi, la voce poetica di Durs Grünbein, uno dei più grandi poeti tedeschi viventi e vincitore di numerosissimi premi, tra cui il prestigioso Premio Hölderlin e il Premio Pasolini.
Ma perché s’intitola così? Immaginate di guardare il mare dal finestrino di un aereo: vedrete una distesa piatta e regolare di colore azzurro. Ma avvicinandosi sempre di più, si scoprirà che il mare è un insieme di vento e onde e di schiuma frastagliata. Lo stesso è per la luce, che per secoli si è creduto che fosse costituita da linee dal movimento ondulatorio regolare, ma che in realtà, – e questo è stato scoperto grazie agli studi di Planck e di Einstein – è formata a livello microscopico da una vera e propria schiuma di quanti, frammenti di materia portatori di energia. E infatti la contemporaneità, che Grünbein nella sua raccolta dipinge in un grande e complesso affresco, esattamente come la luce, nasconde dietro la sua apparente armonia il caos dolce-amaro della vita umana che affronta la velocità del tempo.
Non a caso, il poeta tedesco, nato nel 1962 a Dresda, città il cui splendore barocco è stato distrutto dalla guerra, intreccia il suo interesse per le scienze, favorito dall’ambiente familiare (la madre aveva studiato chimica e il padre era un ingegnere aeronautico) all’amore per la poesia e per la storia, acceso dalla lettura di autori come Novalis, Hölderlin e Pound.
«Nella stanza splende la luna. Nulla è reale./ Ogni istante insondabile, il mondo/ un’eco colossale nel labirinto di sensi./ Gufo, illuminami, apri gli occhi. Animale sul quattro dracme dell’Attica, soccorrimi.»
Nella raccolta, che contiene le ultime tre pubblicazioni poetiche di Grünbein in Germania più una serie di versi inediti, il tema predominante è quello di un’incessante lotta, dialogo, scissione tra spazio interiore e reale, tra filosofia e concretezza, tra scienza e mondo, tra l’io e la storia.
I componimenti, caratterizzati da un ritmo tormentato, anche grazie all’uso costante dell’enjambement e a una forma stilistica che tende al frammento, sono musiche che dipingono il reale dopo averlo compreso, dopo averne colta l’essenza, cercando di trovare un significato nel senso di vuoto del caotico mondo contemporaneo, di vizi, fragilità, controsensi, ipocrisie e limiti, che necessita radici, quelle radici che sono la storia.
«La pubblicità ci strema. Il fuoco dei manifesti ci fa lacrimare gli occhi […]
Cos’avrebbe detto Catullo, maturo e precoce primo poeta della modernità?/ Amare e
odiare, e qua resti, mentre ormai /la mia testa è un decanter per cognac.
L’ultimagoccia/ e apora al sorgere del sole. È come se non avessi/scritto mai una riga. Le ho tutte dimenticate.»
È così che Grünbein, con una scrittura musicale e allo stesso pregna di filosofia, arte e scienza, traccia linee nell’universo tormentato della contemporaneità o, meglio, le intreccia al passato che è di fatto le sue radici, ricercando una pace, un’interpretazione, uno squarcio di verità.