Breve e conciso.
Le cose stanno così: ciò che avviene è che ogni volta che si prova a far presente a chi occupa la totalità della sfera semiotica poetica, che la poesia può darsi anche oralizzata, la reazione coatta che ne consegue è che costoro strillino come aquile accusando l’altro di voler costituire gerarchie, di voler escludere chi preferisce scrivere solo su carta, ed amenità similari.
Non ci credete? Provate a fare un giro nei commenti al mio dialogo con Andrea Inglese su Nazione Indiana e ne avrete l’ennesima prova.
Mitico! Dopo secoli nei quali era vietato parlare di spoken word, quando, grazie a cambiamenti antropologici e culturali innegabili, si prova a far presente che tale divieto è dissennato, la risposta che se ne ricava è che si vuol vietare…
Paradosso logico. Fariseismo critico. Insomma se si cerca di rientrare nella casa comune poetica, sinora occupata manu armata (editoriale, comunicativa, lobbystica) da certuni, costoro si mettono a urlare che li si vuole cacciar fuori…
Con il rischio di passare noi per quelli che sono intolleranti.
Sorry ma è giochino stenterello: a dire per primi che la poesia non è solo ciò che ognuno di noi fa, ma è ‘pluriversa’, non devono essere i poeti dello spoken word, ma voi, amici letterati, siete voi che avete messo su steccati e convenzioni fatti apposta per escludere chi non si adeguasse alla vostra idea di letteratura, è singolare che oggi lo chiediate a noi e che continuiate a chiedercelo anche dopo che a questa domanda abbiamo già risposto centinaia di volte.
Ditelo prima voi, forte e chiaro, diamine! Oppure ci farete sospettare che l’unica ragione per la quale strillate tanto non sia che noi vogliamo scacciarvi dalla casa comune, ma che voi stiate ciurlando nel manico per continuare a tenerci fuori.
Dice il vecchio proverbio toscano: poveri sì, ma bischeri mai..